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L'Amministrazione Ospedaliera mi ha fatto dono del volume: 100 anni dell’Ospedale Costantino Cantù di Abbiategrasso.
Ho estrapolato la parte di mio interesse comunicata poi all'Amministrazione per la condivisione.
La nascita dell’ospedale di Abbiategrasso, il 26 novembre 1882, ha segnato l’inizio di una svolta storica. La carità del fondatore filantropo Costantino Cantù la saggezza, l’impegno responsabile, la capacità realizzatrice e lungimirante di quanti come lui coadiuvarono e interpretarono la sua volontà nel concretizzare la nascita dell’Ospedale.
Così il suo testamento: Costituisco eredi del mio patrimonio il Comune di Abbiategrasso, col peso dei seguenti legati, raccomandando ad esso di prendere il più presto possibile l’iniziativa della fondazione di esso ospedale per gli ammalati del Comune stesso sperando che dietro il mio esempio ed a quello già data dal signor Conte Annoni, altri benefattori abbiano concorrervi a quest’opera di tanta necessità, di decoro, ed utile del paese. Per rapporto i miei funerali, desidero che siano modesti e semplici ed evitare ogni cosa che possa avere l’idea della vanità. A maggior chiarimento di quanto è portato dalla disposizione del presente testamento, dichiaro e voglio che il Comune di Abbiategrasso sia mio erede con l’obbligo e sotto condizione dell’istituzione dell’ospedale, come sopra, con la raccomandazione di prendere al più presto l’iniziativa, cioè non oltre il termine di due anni dalla mia morte: un termine posto con tono perentorio, da osservarsi appena di decadenza della liberalità.
Il 26 novembre 1882 il nuovo ospedale veniva inaugurato: Cantù era morto il 22 dicembre di due anni prima. Il fondo disposto per la fondazione di un ospedale per Comune di Abbiategrasso può essere calcolato nella somma di lire 487.000. Che cosa si potesse fare con 500.000 lire nel 1880 si può arguire, considerando, tanto per avere una misura di paragone, che l’ultimo stipendio del Cantù nel 1867, anno del suo pensionamento, lo stipendio di un funzionario statale ai più alti livelli era di lire 3000 annue e che la pensione accordatagli quell’anno era di lire 2100 circa . Un Regio Decreto del 23 giugno 1881 autorizzava il Comune di Abbiategrasso ad accettare l’eredità, che risultò del valore complessivo di lire 518.364; l’erigendo Ospedale fu riconosciuto Ente Morale, quindi con la personalità giuridica necessaria per gestirsi autonomamente. Un altro Regio decreto del 23 febbraio 1882 ne approvava lo statuto. Il nosocomio era stato allestito nella villa settecentesca del Cantù appena ereditata, dove rimarrà fino al 1910, anno di costruzione del nuovo ospedale; la villa verrà allora alienata alla congregazione di carità , che lo destina a sede del ricovero di mendicità e di cronici; con il trasferimento di questo nel complesso di strada Cassinetta, Villa Cantù venne abbattuta nel 1965 per la costruzione della galleria Europa. Il nuovo ospedale poteva accogliere fino a 20 persone (10 maschi ed altrettante femmine). Al piano terra erano stati ricavati l’ufficio amministrativo, la portineria, la sala accettazione, la cucina, i bagni, il magazzino, la cella mortuaria, l’oratorio; al piano superiore le due infermerie, qualche vano per gli ammalati contagiosi, l’abitazione per la guardarobiera e la stanza per il medico. Anteriormente all’apertura al pubblico è stata fissata la pianta organica del personale amministrativo (un segretario, un contabile, un tesoriere), e sanitario (un medico direttore, un aiuto medico, un cuciniere e due infermieri).
Si acquistarono pochi mobili e suppellettili, perché si convenne di utilizzare per i primi momenti quelli lasciati dal defunto. Si presero contatti con i fornitori, sorteggiati fra gli esercenti del borgo, mentre per la somministrazione delle medicine si scelse il sistema della rotazione settimanale fra le tre farmacie locali. Le sale destinate ad infermerie risultano poco areati e la temperatura invernale non supera i 10°. I servizi igienici di una dimora signorile settecentesca non erano certo adeguati ad un ospedale seppur piccolo. Il vitto invece non dava luogo a reclami e così pure le prestazioni degli infermieri. L’ambiente e la situazione igienica quali fattori di morbilità manifestano la loro influenza anche nei riguardi dei ricoveri dei primi anni. Fino al 1910 circa, non sono rari i casi di pellagra.
Diversi anche ricoveri per tifo e vaiolo. Ma predominante era la malaria, che costituiva fino al 15% delle cause di ricovero alla fine del secolo, poi ridottosi per l’introduzione della rotazione nella cultura dei risi, per la cessazione di immigrazione di manodopera stagionale proveniente da località in cui la malaria era endemica e per la diffusione del chinino. Al nostro clima umido andavano imputate le affezioni reumatiche e probabilmente anche le bronchiti e le polmoniti, favorite da ambienti malsani soprattutto rurali. Mentre diffuse forme di catarro intestinale a forma colerica e ancor più frequenti gastroenteriti andavano imputati, ancora una volta, alla alimentazione. I primi interventi di chirurgia richiesti furono soprattutto i flemmoni, una malattia molto temuta fino alla introduzione di sulfamidici ed antibiotici, consistente in una infiammazione sottocutanea con tendenza alla suppurazione e alla necrosi; altri interventi molto frequenti erano quelli su fratture. Già nel 1883 l’ospedale era dotato di un apparecchio Wolkmann , per la trazione dei pesi; Nello stesso anno si rifiutava l’acquisto di un polverizzatoore a vapore, come una semplice barella o poltrona per portare i malati più gravi dall’accettazione, posta al piano terra, all’infermeria al piano superiore: dinieghi di questo genere possono dare idea della scarsità di attrezzature sanitarie a disposizione del nuovo ospedale; dinieghi che gli amministratori opponevano per una prudenza forse eccessiva nelle spese, che però servì a superare i primi difficili anni di rodaggio economico, sempre chiuso in attivo, nonostante le continue inderogabili spese per l’avviamento. I primi decenni dell’ospedale furono di crescita lenta ma costante. Nel 1884 i letti da 20 passarono a 35, anche se l’assistenza rimase ai medici condotti locali fino al 1913. Già pochi anni dopo la fondazione emersero le prime carenze: il palazzo Cantù non solo non poteva rispondere, per la sua struttura, alle moderne esigenze, ma risultava ormai troppo angusto per le crescenti richieste dei ricoverati. Tali carenze vengono rilevate ai primi del secolo anche dalla commissione di inchiesta sulle condizioni degli ospedali di campagna che, durante un’ispezione sul posto, non esitò a giudicare essere ormai indispensabile la costruzione di un apposito fabbricato. Allo scopo di sollecitare la costruzione del nuovo ospedale, la commissione lasciava intravvedere la non lontana possibilità di allargare la sfera d’azione del nosocomio costituendo un cosiddetto circolo ospedaliero, al servizio di più comuni, con la possibilità di raddoppiare il numero dei posti letto. Il progetto prese corpo quando la Cassa di Risparmio delle province lombarde, nell’ambito dei contributi stanziati per la soluzione della questione ospedaliera nella provincia di Milano, nel 1904 erogò un sussidio di 50.000 lire per l’acquisto del terreno.
Così nel 1905 si acquistò l’area dove sorge attualmente l’ospedale e nel 1906 si bandì il concorso per il progetto assegnato poi, nel 1907, al vincitore. In definitiva vennero edificati: il corpo centrale, due padiglioni con 16 letti ciascuno, un piccolo padiglione da destinare agli interventi chirurgici, un padiglione per le malattie infettive, un piccolo fabbricato ad uso di camera mortuaria. Negli anni 20 i due padiglioni vennero destinati esclusivamente alla medicina, mentre solo successivamente si diede sviluppo alla chirurgia con la costruzione di un nuovo padiglione ultimato nel 1928.
Nello stesso anno verrà iniziato anche il padiglione Vittorio Emanuele III per i tubercolotici aperto nel 1931 in quanto, già nel 1920, la direzione del commissariato militare di corpo d’armata di Milano aveva destinato alcune baracche-
Lo sviluppo, accelerato e decisivo dopo la guerra, è stato contrassegnato dall’incremento edilizio, con completamento e ammodernamento di tutti i reparti e delle attrezzature diagnostiche e terapeutiche dei servizi.
Da anni l’ospedale era stato riconosciuto idoneo, dalle facoltà universitarie di Milano e Pavia, anche per il tirocinio obbligatorio per la clinica medica, clinica chirurgica e successivamente anche per la clinica ostetrica ginecologica, e un discreto numero furono gli studenti e laureati in medicina che ne approfittarono. Così, con l’edificazione tra i padiglioni di medicina di chirurgia, dal lato dei reparti donne, di un piccolo corpo di fabbrica sovraelevabile al bisogno, il nosocomio fu dotato di un autonomo reparto di ostetricia ginecologia, modernissimo che incontrò subito grande favore.
Prolungando la corsia uomini della chirurgia, con conseguente incremento dei suoi letti, fino a congiungerla a quella della corsia uomini della medicina, i due padiglioni, prima separati, vennero collegati e il nosocomio divenne in parte un monoblocco orizzontale, molto funzionale.
Per gli accresciuti bisogni fu costruita nel 1951 anche una nuova sede dell’amministrazione, con abitazione soprastante per il primario chirurgo.
nel 1974 la Regione Lombardia definiva, all’interno di un disegno che razionalizzava e trasformava l’organizzazione ospedaliera, l’ospedale di Abbiategrasso come ospedale generale di zona, prevedendo una struttura complessa di 290 posti letto.