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Questa scheda proviene dal sito "carte da legare " http://www.cartedalegare.san.beniculturali.it/ ; è un progetto della Direzione generale archivi del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo nato per proporre una visione organica di tutela del patrimonio archivistico di queste istituzioni. Partito nel 1999 con un primo programma di finanziamento per i complessi archivistici degli ospedali Santa Maria della Pietà di Roma e Leonardo Bianchi di Napoli. Il portale mette a disposizione della comunità i risultati . Essi possono essere utilizzati per scopi di studio e ricerca da parte degli addetti ai lavori e per la semplice conoscenza del fenomeno manicomiale da parte di un pubblico più vasto.
Sono liberamente consultabili i dati del censimento degli archivi, alcuni strumenti di ricerca e le statistiche dei dati socio-
Carte da legare costituisce anche un percorso tematico specifico del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche).
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Quando l'assistenza psichiatrica fu posta a carico delle Province, con legge n° 2248 del 20 marzo 1865, a Genova vi erano oltre ottocento malati di mente ricoverati in diversi istituti cittadini, di cui 591 nel Manicomio di via Galata, di proprietà degli Spedali civili, 204 nell'Ospedale degli Incurabili e circa 10 nell'Ospedale di Pammatone. Nel 1878 una commissione composta dai dottori Tamburini, Biffi e Pini decretò la chiusura dell'edificio di via Galata, ormai inadeguato sotto il profilo igienico e sanitario oltre che sovraffollato. Si iniziò quindi a cercare un'area in una zona isolata e salubre con l'intento di costruire un moderno istituto circondato da campi ove i malati potessero fare attività all'aria aperta ed anche praticare l'agricoltura con finalità sia terapeutica che di contributo alla sussistenza dell'istituto.
Furono ispezionate diverse zone e s'individuò un'area di 100 ettari in località Pratozanino, sulle colline di Cogoleto, ad una trentina di chilometri a ovest di Genova. La cittadinanza genovese e il sindaco erano scettici nei confronti dell'ubicazione, ritenendola troppo lontana dalla città e quindi disagevole per i congiunti dei ricoverati.
Nel 1888 la Provincia bandì il "Concorso per il nuovo Manicomio provinciale", al quale risposero diversi illustri professori. A conclusione del concorso il Consiglio provinciale giunse alla sospensione del progetto, affermando che non erano state fatte tutte le valutazioni necessarie sulla località e che un manicomio per 1000 degenti fosse un istituto troppo grande e non adeguato dal punto di vista sanitario.
Nel 1895 fu inaugurato il Manicomio di Quarto, ma già nel 1904, il direttore dottor Luigi Maccabruni, nella sua relazione, rilevò che il numero di ammalati da assistere superava ormai il numero di 2000 e che pertanto il solo istituto di Quarto non bastava. In quegli anni, per rimediare almeno in parte alla cronica carenza di posti, era stata costituita una succursale che poteva ospitare circa 190 pazienti nell'ex convento delle suore Giannelline in via Mondonuovo. La condizione di sovraffollamento e la prossima demolizione del Manicomio di via Galata rendevano ormai improrogabile la costruzione di un nuovo istituto.
Nel 1908 l'Ufficio tecnico della Provincia realizzò il progetto per l'ospedale a Pratozanino. Una commissione formata da direttori di importanti manicomi, tra cui il prof. Enrico Morselli, direttore di una clinica per malattie nervose a Genova, ed un architetto, diede un parere tecnico sul progetto, che venne infine approvato dal Consiglio provinciale il 25 novembre 1908. Ben presto iniziò la costruzione e già nel gennaio-
Al 1° gennaio del 1912 vi erano 404 ricoverati, mentre alla fine di dicembre ne risultavano 941. All'inizio del 1912 c'erano sette padiglioni, di cui quattro per gli uomini e tre per le donne. Nel 1913 erano pronti un palazzo con sei appartamenti per gli impiegati e al piano terreno la farmacia e i locali dell'ufficio economato; erano inoltre completati la palazzina della direzione, della segreteria e della biblioteca con i sottostanti gabinetti scientifici e la sala per le vivisezioni, la palazzina con la residenza del direttore, le cucine, i laboratori delle cucitrici e vari altri locali di servizio. In quell'anno fu proposta la costruzione di una chiesa e di un salone per i divertimenti. Fu inoltre approvato il progetto di un padiglione per i piccoli frenastenici. In posizione più distanziata, recintato da un muro sormontato da griglia metallica, c'era il padiglione per i criminali in osservazione, i prosciolti e i malati di difficile custodia. Nel 1913 furono costruiti due padiglioni in campagna in cui risiedevano i ricoverati lavoratori della colonia agricola. In questa lavoravano nove dipendenti e circa trenta degenti. Ciò permetteva di mettere in atto i principi dell'ergoterapia al fine di contribuire al recupero dei malati e garantiva all'istituto una certa autosufficienza alimentare. Oltre alle coltivazioni vi si praticava l'allevamento di bovini, suini e pollame.
Da una relazione del 1913 si apprende che talora i ricoverati più "gestibili" venivano portati a fare gite nei paesi circostanti. Nell'istituto fu costruito sin dall'inizio un teatrino, dotato di pianoforte, nel quale si svolgevano spettacoli per i ricoverati.
Nel 1915, in seguito alla mobilitazione di numerosi infermieri a causa della guerra, si incominciò a fare ricorso a personale di assistenza femminile in reparti maschili, assumendo di preferenza mogli, madri e vedove di uomini sotto le armi.
Il numero degli uomini ricoverati rimase alto nel periodo della prima guerra mondiale per l'ammissione dei militari, molti dei quali in osservazione. Alla fine del 1916 fu militarizzato un padiglione che accoglieva numerosi soldati, sostituendo il personale civile con personale della Direzione militare di sanità.
Nel 1917 fu costituito un secondo padiglione militare nel quale furono raccolti soldati evacuati da istituti del fronte.
Nel 1916 vi erano 114 infermieri e 34 infermiere, che avevano l'obbligo di risiedere nell'istituto. Gli infermieri erano perlopiù arruolati tra persone di semplice condizione, contadini e pescatori. Per essere assunti, i candidati dovevano avere la 3° elementare o sapere leggere e scrivere e dovevano poi frequentare dei corsi interni di formazione teorico pratica.
Tra la fine del 1918 e i primi mesi del 1919 vi furono ben 494 ricoverati e 87 persone di assistenza colpiti dall'epidemia di spagnola.
Nei primi giorni di novembre del 1919 si verificò uno sciopero della maggior parte del personale di assistenza e di quello addetto ai servizi generali che rivendicavano una modifica dell'orario di servizio e miglioramenti economici. Dopo un primo accordo con l'autorità prefettizia, il personale riprese il lavoro, ma non vedendo esaudite le proprie richieste ricominciò l'ostruzionismo. Il 10 novembre la Prefettura inviò da Savona il commissario di Pubblica Sicurezza ed alcuni soldati. In quei giorni vi furono malati che dimostrarono solidarietà con gli scioperanti. Si riuscì tuttavia ad evitare episodi di violenza. Il tutto si concluse dopo una settimana con un comizio sul piazzale del Manicomio al quale intervennero persone da Cogoleto recando la bandiera rossa.
Nel 1921 fu redatto un progetto di massima per una funicolare che collegasse la stazione di Cogoleto al Manicomio, distante per strada normale 2,5 km. L'opera non fu realizzata e, per ovviare alla difficoltà di raggiungimento dell'istituto, nel 1922 fu istituito un servizio di autobus dalla stazione ferroviaria di Cogoleto, con diverse corse giornaliere in coincidenza con i treni in arrivo e in partenza.
Il 18 dicembre 1922 giunsero i primi quaranta "piccoli frenastenici" nel padiglione appena ultimato. L'edificio era a due piani: al piano terreno vi erano il refettorio, il soggiorno e il laboratorio. Al piano superiore i dormitori per degenti e assistenti. Per questi bambini, in base alle patologie e alle capacità, furono organizzati dei corsi di scuola elementare e diverse attività manuali e ginniche, con finalità educative oltre che ricreative.
Nel 1924 il manicomio di Cogoleto, che contava ormai 16 padiglioni, registrò un numero di ricoverati pari a 2200, diventando l'istituto più popolato di tutta la provincia.
Il 17 novembre 1927 fu approvato dalla Giunta provinciale amministrativa di Genova il "Regolamento speciale dell'Ospedale psichiatrico provinciale". L'Ospedale psichiatrico provinciale di Genova veniva così strutturato su due istituti: l'Ospedale di Genova Quarto, con sezione temporanea a Genova Paverano, e l'Ospedale di Cogoleto. I due stabilimenti costituivano "un unico organismo assistenziale", pertanto anche il personale formava un unico ruolo e poteva essere spostato da una sede all'altra a discrezione della direzione. L'organico prevedeva le seguenti categorie: personale superiore (direttore, vice direttori, medici, farmacisti, economi , impiegati della direzione e dell'economato) e personale subalterno (sorveglianza, assistenza diretta, addetti ai servizi generali). Il direttore, il vice direttore e l'economo avevano diritto all'alloggio gratuito nell'ospedale. A Cogoleto anche il medico farmacista aveva diritto all'alloggio in quanto la sede era considerate "disagiata".
L'istituto di Cogoleto aveva un ruolo sussidiario rispetto al Manicomio di Quarto, ove aveva sede la direzione. L'istituto di Genova-
I malati che giungevano a Cogoleto, dopo essere stati selezionati a Quarto, erano essenzialmente cronici e tranquilli.
In quegli anni fu decretata la chiusura della succursale di Paverano e lo smistamento dei 430 ricoverati.
Fu poi mutata la denominazione di "Manicomio" in "Ospedale psichiatrico" e furono vietate espressioni per designare gli ammalati che risultavano offensive, ma che prima di quell'anno erano ampiamente utilizzate negli atti, quali demente, cretino, mentecatto, alienato, ecc.
Nel 1933 venne approvato il piano regolatore dell'Istituto di Cogoleto, che prevedeva la costruzione di sette nuovi padiglioni per portare la capienza a 3600 unità e la realizzazione di un pastificio e di un panificio ove i pazienti potevano lavorare conseguendone un modesto compenso. Furono ampliate le cucine, costruiti una tipografia, una falegnameria, un laboratorio di un fabbro ed un salone per gli intrattenimenti.
Negli anni 1936-
Dopo la II guerra mondiale i ricoverati aumentarono sensibilmente: già nel 1951 assommavano a 2689 tra gli istituti di Quarto e Cogoleto, sino ad arrivare, nel 1955, al numero complessivo di 3304. Tra i ricoverati sempre più non erano malati psichici, ma semplicemente poveri senza famiglia, anziani o anche bambini con qualche disabilità. Gradualmente, nel corso degli anni Sessanta incominciarono a mutare i metodi di cura.
Si fece sempre meno ricorso all'elettroshock, fu adottata, per un numero limitato di pazienti, la psicoterapia di gruppo e fu introdotta la figura professionale dell'assistente sociale.
Nel 1973 una commissione nominata dall'Amministrazione provinciale, formata da Pier Andrea Mazzoni, Franco Basaglia, Franco Giberti, Pier Luigi Spadolini, Elio Casetta, al termine di accertamenti sulla gestione amministrativa e tecnico-
Gli ammalati vennero distribuiti nei padiglioni non più in relazione alla patologia, come avveniva in passato, ma in base al territorio di provenienza. Ciò al fine di poter riaffidare i pazienti, una volta dimessi, alle strutture di igiene mentale presenti nel territorio. Si affermò inoltre il concetto di "deospedalizzazione", quindi di assistenza ai malati psichiatrici mediante forme diverse, quali il day hospital e l'inserimento in piccole comunità legate al tessuto sociale locale.
Nel 1975 fu approvato un nuovo regolamento per gli ospedali psichiatrici provinciali, al quale concorse il personale sanitario. Progressivamente si cercò in vari modi di migliorare le condizioni di vita degli ammalati e di favorire ove possibile il reinserimento nella società: fu adottato un abbigliamento civile, aumentò la cura dell'igiene e del decoro personale, fu aumentata la retribuzione dei degenti lavoratori, furono introdotti giornali e pubblicazioni. Fu inoltre dato un sussidio economico ai malati dimessi. Tutte queste misure erano volte ad uno smantellamento della tradizionale struttura ospedaliera. Fu organizzato un servizio di salute mentale che faceva riferimento a quanto rimaneva dell'Ospedale di Cogoleto e ai reparti psichiatrici degli ospedali di Sestri Ponente, Sampierdarena, Galliera, San Martino, Chiavari.
Nel luglio 1979, con una deliberazione del Consiglio regionale l'assistenza psichiatrica fu inserita nelle competenze delle Unità sanitarie locali previste dalla legge di riforma del servizio sanitario nazionale.
A partire dal 1° marzo 1980, anche il personale infermieristico, già dell'ospedale psichiatrico, iniziò ad operare a domicilio e in strutture decentrate. I padiglioni di Cogoleto furono progressivamente abbandonati. L'intera area nel 2009 fu venduta dalla Regione Liguria, che mantenne in uso gratuito per vent'anni i padiglioni 7 e 9, riadattati con mini appartamenti per l'accoglienza di malati seguiti dal Servizio di salute mentale.