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COLLEGNO Ospedale psichiatrico

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Sulla psichiatria si è scritto, e si scriveranno, fiumi di parole. Per quanto riguarda l'Ospedale psichiatrico di Collegno, nel WEB, mi sono imbattuto nel sito del Dott. Giorgio Tribbioli (e Dott. Ezio Cristina) che, contattato, si è dimostrato fortemente propositivo alla mia richiesta dandomi non solo l'autorizzazione ad usare quanto riportato nella scheda ma, soprattutto, mi ha invitato ad utilizzare quanto, per me utile "postato" sul sito  www.psichiatriaestoria.epizy.com che invito calorosamente alla consultazione.



http://www.eziocristina.it/psichiatria/bicentenario/informazioni.htm


1926 Inizia il caso de "Lo smemorato di Collegno"
«Ricoverato il giorno 10 marzo 1926 nel manicomio di  Torino (casa Collegno). Nulla egli è in condizione di dire sul  proprio nome, sul paese d’origine, sulla professione. Parla  correntemente l’italiano. Si rileva persona colta e distinta  dell’apparente età di anni 45»
L'ingombro dei malati nell'edificio di Torino diventava ogni giorno più eccessivo e dietro relazione del Medico Primario, il quale rappresentava i pericoli dell'affollamento e. le conseguenze perniciose che ne sarebbero derivate, se non si ricorreva a pronti ripari, anche sotto la nuova minaccia del colera, la Direzione esponeva al Ministro degli Interni ed all'Intendente Generale lo stato delle cose, sollecitando i necessari provvedimenti, declinando ogni responsabilità ed invocando anzi una visita da parte di una deputazione del Consiglio Superiore di Sanità, che, accordata, non potè a meno di constatare e confermare la gravità della situazione.
Si stava già in quel tempo escogitando la soppressione delle corporazioni religiose ed i Certosini di Collegno, che in scarso numero abitavano l'immenso locale, allo scopo forse di allontanare da loro il pericolo che li sovrastava, spontaneamente offersero al Governo l'occupazione gratuita temporanea di parte del loro convento per sfollare il Manicomio di Torino e precisamente l'ala a notte capace di ricoverare circa 80 maniaci, oltre al personale di servizio.
L’offerta fu accettata con vero entusiasmo dall'Amministrazione, su favorevolissima relazione di una Commissione recatasi a visitare la località, sia per l'ampiezza di sito da passeggio e di terreni da coltivare, sia per l'acqua eccellente ed abbondante, sia per l'aria salubre, tanto che il luogo venne riconosciuto « presentare tutte le condizioni più appropriate » oltre a quella specialissima di non dover corrispondere alcun prezzo di cessione o d'affitto, senza contare inoltre che la condizione di « provvisoria occupazione ottenuta mercè l'intervento governativo e la conciliante, generosa adesione dei Padri Certosini» doveva durare finchè lo richiedessero le strettezze del Manicomio, il che era quanto dire per sempre.
A motivo della clausura vigente nel convento, fu stabilito di trasferirvi unicamente maniaci maschi, e di facile custodia, conservando al Medico Primario piena ed intera la sorveglianza per la parte sanitaria, deferita sulla località al Medico Ordinario Dott. Porporati , mentre l'accettazione dei malati doveva continuare ad effettuarsi esclusivamente alla Casa di Torino.
I Padri Certosini però, avendo ben compresa l'intenzione dell'Amministrazione di stabilirsi colà in via definitiva cominciarono fin da principio a sollevare difficoltà di ogni genere, accampando altre pretese e ponendo nuove condizioni, che la Direzione rifiutò di accettare ritenendo atto improvvido d'amministrazione, l'addossarsi ingenti spese di adattamento dei locali per una occupazione di breve durata, e dichiarandosi piuttosto disposta a declinare l'offerta.
A troncare ogni discussione intervenne il Governo, ordinando senz'altro al R. Manicomio di procedere all'occupazione dei locali offerti, limitando i lavori di sicurezza al minimo indispensabile, per la speranza di aver presto l'intero locale, la cui cessione pareva già in massima decisa dai Certosini stessi.
In data 8 settembre 1852 si addiveniva all'occupazione stabilita, redigendo il relativo verbale ed approvando subito dopo il « Regolamento per la succursale di Collegno » .
Per quanto fosse possibile prevedere che la coesistenza di una sezione manicomiale in un convento di clausura non poteva di per sè stessa che essere fonte di guai, non tardarono i fatti a dimostrare come a malincuore i Certosini si fossero per esclusiva forza degli eventi, adattati a fare la loro offerta; e neppure un mese dopo l'occupazione, cominciarono direttamente ed a mezzo del loro fittavolo a creare continui ostacoli al funzionamento della Succursale, negando passaggi indispensabili, rifiutando il passeggio dei malati nel chiostro, rifiutando di ammettere ai lavori agricoli i ricoverati - il che diede pure origine ad una vertenza giudiziaria - costringendo infine la Direzione a ricorrere più volte al Governo e ad insistere per la risoluzione della pratica relativa alla cessione definitiva della Certosa.
Preoccupato dalle condizioni sanitarie del paese, sotto l'incubo di una nuova epidemia colerica, il Governo ancora intervenne prontamente e con nota 29 luglio 1853 a firma di Urbano Rattazzi, annunziava alla Direzione di aver risolto di far occupare la Certosa per destinarla a beneficio dell'Ospedale, per gravi motivi di salute pubblica, invitandola a volerne prendere immediato possesso in un prossimo giorno stabilito, previa redazione di regolari testimoniali di stato, da compilarsi alla presenza del Questore o dell'Assessore Capo di Polizia, il quale, diffidato il Rettore del Convento perchè procedesse al sollecito sgombro, doveva, se del caso. ricorrere all'uso della forza .
I nuovi locali furono occupati il 10 agosto 1853, col trasloco da Torino di parte delle donne, che vennero allogate negli ambienti prima destinati ai ricoverati maschi, trasferiti invece nel fabbricato del convento propriamente detto.
Da parte dell' Amministrazione, persuasa che il Governo avrebbe favorita la completa cessione dell'intera Certosa, vennero contemporaneamente iniziati gli studi « per l'erezione di un Manicomio che onori il paese e sia capace ed adatto alle esigenze tutte » , affidando al Medico Primario Dott. Bonacossa, l'incarico di presentare un completo programma per la definitiva e totale sistemazione a Collegno dell'intero Ospedale.
Il temuto colera intanto, nel settembre del 1854, fece la sua poco gradita comparsa nell' ospedale di città, mietendo numerose vittime, e poco dopo si manifestò anche nella succursale di Collegno; motivo per cui si sospese !'invio di nuovi malati.
A quell' epoca la popolazione del Manicomio era di 310 uomini, di cui 159 a Collegno, e 201 donne delle quali 59 a Collegno.
Appena scomparso il morbo epidemico, furono ripresi gli interrotti studi ed il Bonacossa presentava la sua relazione, conchiudendo favorevolmente al trasloco a Collegno, dove però si sarebbero dovuti eseguire non adattamenti di locali esistenti ma costruzioni ex novo, rispondenti alle esigenze della scienza psichiatrica, e da effettuarsi grado a grado fino a stabilire una capacità di 1000 malati circa, ma non di più , non essendo convenienti i manicomi troppo numerosi.
Anche una Commissione Governativa, all'uopo nominata , si pronunciava favorevole al trasloco totale a Collegno.
Senonchè alla realizzazione di queste idee si opponeva una difficoltà insormontabile: quella finanziaria, essendosi riscontrata occorrente una spesa totale di quattro milioni circa; e quantunque lo Stato, pressato dalla Direzione da tempo invocante lo stesso trattamento fatto al Manicomio di Genova, ancora avesse acconsentito ad elevare la retta a L. 1,25 giornaliere a decorrere dal 1856; tuttavia, dato il rincaro enorme dei viveri in quell'epoca, che aveva costretto l'Ente ad alienare rendite per poter sopperire ai più urgenti bisogni, non era possibile, con tutta la buona volontà, trovare i fondi necessari per far fronte alla spesa.
Era intanto avvenuta la soppressione, sancita nel maggio 1855, delle Corporazioni religiose, i cui beni vennero amministrati dalla Cassa Ecclesiastica, la quale avanzò subito pretese per il pagamento da parte del R. Manicomio di un canone d'affitto in annue L. 7500 per la Certosa.
Interessato il Governo nella vertenza, il Consiglio dei Ministri, erettosi ad arbitro, fissò il prezzo d'acquisto in L. 40.000 e il fitto annuo dovuto dal 29 maggio 1855 in L. 4500.
Finalmente nel 1856 si potè addivenire alla stipulazione dell'atto notarile di cessione e la Certosa di Collegno, con tutti i suoi terreni annessi, entrò così definitivamente a far parte del patrimonio dell'Ente, il quale per pagarne il prezzo convenuto dovette procedere alla vendita di parecchi altri suoi stabili.
In tali condizioni di cose, sempre più ardua si presentava la difficoltà di affrontare l'altra ingente spesa richiesta per il trasferimento totale dell' Ospedale a Collegno, tanto più che essendo per la legge 23 ottobre 1856 ed a decorrere dal 1860, passato a carico totale dello Stato l'onere del mantenimento dei maniaci poveri, invece di un vantaggio si aveva un danno in quanto si verificava allora ciò che purtroppo oggi si ripete pei maniaci carcerati e stranieri a carico dello Stato stesso, e cioè che le rette non vengono puntualmente corrisposte alle singole scadenze trimestrali, ma occorre attenderne per anni interi il pagamento.
Di più, opposizioni sorte da parte della Città di Torino, contraria in fondo al trasferimento, ed il continuo e vertiginoso aumento dei ricoverati, nonostante gli sfollamenti eseguiti in seguito all'istituzione dei Manicomi nelle altre Provincie, fecero tramontare ogni speranza di trasporto totale a Collegno dell'Ospedale, di guisa che continua tuttora ad essere affollato fino all'inverosimile il vecchio edificio di Torino, mentre da ottant'anni circa si parla, si discute e si progetta il suo abbandono.
L'impressionante aumento dei ricoverati, da 511 presenti nel 1855 saliti a 897 nel 1866, obbligava la Direzione ad improvvisati adattamenti, restauri ed ampliamenti nella Casa di Collegno, attuati senza un ordine prestabilito, man mano che se ne presentava la necessità.
Non appena ultimati i lavori, nuovi ospiti venivano colà inviati, tanto che la popolazione della Succursale non tardò molto a raggiungere ed a superare numericamente quella della Sede centrale. Con tale sistema inoltre si profondevano nei lavori stessi ingenti somme, che depauperavano l'Opera Pia, mancante da tempo del valido sussidio della carità privata, la quale si disinteressava sempre più dell'Ospedale, dopo aver constatato che ad esso veniva provveduto dalla carità legale e cioè dallo Stato e dalle Provincie col pagamento d'una retta giornaliera, per quanto costantemente questa fosse corrisposta in misura inferiore alle reali esigenze.
Ma di ogni difficoltà trovarono modo di trionfare le varie Direzioni succedutesi, che con opportune e tempestive vendite di tutti i beni stabili ancora posseduti - precorrendo così  le direttive imposte dal Governo nel 1864 - e coll'investimento in titoli del Debito Pubblico dei prezzi ricavati dalle vendite, si assicuravano un'annua rendita fissa, sulla quale poter con tutta tranquillità contare, senza più essere oberate dalle maggiori spese di coltivazione e di riparazioni inerenti agli stabili stessi.
Si studiavano inoltre tutte le possibili economie da introdursi nella gestione dell'Opera Pia, abolendo il superfluo, riscattando i censi e le passività gravanti sul patrimonio, in modo da poter ricondurre il bilancio al pareggio non solo, ma ad un avanzo annuo, che permise d'introdurre notevoli migliorie, sia nel trattamento di vitto ai ricoverati, sia nella sostituzione dell' antiquato e logoro arredamento delle due Case, sia nell'ampliamento dei locali ln guisa da poter disporre una più logica ripartizione dei malati, secondo le varie manifestazioni della pazzia, in conformità ai progressi immensi fatti nel frattempo dalla psichiatria in tale campo.
Da ciò la necessità inevitabile di nuovi locali a Collegno, non essendo suscettibile di ulteriori ampliamenti la Casa di Torino. Ed anche allora fra i Direttori in carica uno se ne trovò, l'Ing. Ferrante, il quale, al pari del Talucchi, si assunse il non facile compito di provvedere all'elaborazione di un progetto, ponderatamente studiato, che usufruendo dei fabbricati già esistenti, permettesse di addivenire a nuove costruzioni man mano che se ne presentasse il bisogno e si possedessero i fondi occorrenti, secondò un piano prestabilito ed organico.
Tale programma di costruzioni venne difatti attuato, secondo le previsioni, in una non breve successione d'anni, col vantaggio però di non aver per nulla gravato in via straordinaria sul bilancio dell'Opera Pia e tanto meno su quello dello Stato e della Provincia.
Ai nostri giorni, dell'antica Certosa di Collegno, non resta che l'edificio di entrata, la Cappella, il gran chiostro, oltre ad altri vecchi locali centrali, mentre tutta la restante parte è stata successivamente fabbricata.
Essa ospita attualmente una popolazione di circa 1700 malati ai quali devonsi aggiungere gli addetti ai vari servizi in numero di quasi 400, e colle sue officine in cui ferve continuo il lavoro, col suo intenso movimento quotidiano, colle sue strade ed i suoi viali, coi suoi vasti cortili e giardini, presenta tutto l'aspetto di un vero paese lindo ed operoso, che, giammai a tutta prima, si direbbe destinato ad ospitare. nel suo immenso recinto, tanta sventura .
Ben poco resta a dire della storia del Manicomio nell'ultimo trentennio, anche perchè non è possibile ed opportuna la narrazione e la critica storica di avvenimenti troppo recenti.
L'importante riforma delle Istituzioni pubbliche di beneficenza, avvenuta colla legge del 1890 e più ancora la nuova legge sui Manicomi ed alienati, che, dopo una laboriosa gestazione durata circa un quarto di secolo, veniva finalmente promulgata nel 1904, tosto susseguita dal regolamento per la sua esecuzione, modificando sostanzialmente l'organizzazione dei Manicomi del Regno, che assoggettava a disposizioni regolamentari, per tutti uniformi, non poteva a meno di avere profonda ripercussione sulla amministrazione tutta speciale della nostra Opera Pia, la quale, data la sua autonomia, in maggior misura doveva sentire la necessità di una radicale trasformazione delle sue quasi secolari disposizioni statutarie ed organiche.
Di più ancora il regolamento governativo sopra accennato dando una maggior importanza ed una autorità speciale, che prima non aveva, alla carica  del Medico Direttore del Manicomio e deferendo a lui gran parte delle attribuzioni che in passato l'Amministrazione sempre si era gelosamente riservate, doveva di conseguenza creare una situazione di rapporti alquanto imbarazzante fra gli Amministratori ed il Medico Direttore stesso.
E come già nel 1837 un dissidio sorto per il servizio sanitario aveva provocato lo scioglimento dell' Amministrazione e la riforma dello Statuto, così a 70 anni di distanza, nel 1907, per un simile dissidio, la Direzione in carica si vide costretta a rassegnare le proprie dimissioni.
Assunsero allora la gestione temporanea dell'Ospedale diversi Commissari Regi, i quali si succedettero nella carica e posero ogni precipua cura nel riformare lo Statuto dell'Opera Pia, che, approvato con R. Decreto 29 luglio 1909, modificò in modo più corrispondente alle mutate esigenze dei tempi la composizione del vecchio Consiglio d'Amministrazione, sostituendovi quella attualmente in vigore e regolando inoltre in modo più razionale e moderno le norme direttive per lo svolgimento della vita amministrativa dell'Ente.
In base alle disposizioni del nuovo Statuto, il numero dei membri del Consiglio fu ridotto ragionevolmente da 16 a 9 soltanto.
In omaggio alle tradizioni del passato ed all'impegno preso nel rogito di separazione, fu mantenuto al Priore della Confraternita il titolo di membro onorario.
Al Predetto (col tempo sostituitosi al Vicario di Polizia nella carica di Conservatore dell'Opera, ed al quale in tempi più recenti era poi stata dal Sovrano delegata la facoltà di elezione dei membri della vecchia Direzione) fu conservato il diritto di nomina di due amministratori, mentre al Comune di Torino, in riconoscimento delle sue benemerenze per la gratuita cessione del terreno su cui sorse il Manicomio, venne attribuito lo stesso diritto per un altro membro.
Infine, 'poiché  dalla legge era stato totalmente accollato alle Provincie l'onere del mantenimento dei mentecatti poveri ed il R. Manicomio aveva assunto il servizio per conto della Provincia di Torino, come logica conseguenza, al Consiglio Provinciale fu deferita la nomina dei restanti sei amministratori. In simil guisa alla Provincia, che dell'Opera Pia era ed è la principale finanziatrice, veniva assicurata la maggioranza nella composizione del nuovo Consiglio, fornendole così il mezzo più atto ed efficace di sindacarne in modo continuo la gestione.
A salvaguardia dell'autonomia dell'Ente fu al Consiglio riservata la nomina del Presidente.
La nuova Amministrazione entrata in carica nel 1910 si trovò subito di fronte a due ponderosi problemi , che richiedevano entrambi una pronta e sollecita definizione. Il primo di essi fu la compilazione voluta dalla legge  di un completo Regolamento Organico dell'Opera Pia, riorganizzante tutto il servizio medico ed amministrativo, nelle sue varie suddivisioni, collo stabilire in modo preciso e minuto le attribuzioni singole dei funzionari e dei salariati, i loro diritti- ed i loro doveri; lavoro di profondo studio e di perfetta riuscita, che, tranne qualche modifica imposta da mutate esigenze di servizio, è in gran parte tuttora in vigore. Ad esso fece subito seguito la compilazione del Regolamento speciale disciplinare, pure richiesto dalle nuove disposizioni legislative sui Manicomi.
Ma il secondo problema richiedeva in effetti tutta l'attenzione e buona volontà del nuovo Consiglio, e solo per il valore amministrativo indiscutibile ed indiscusso dei suoi componenti, capeggiati da quella fulgida figura di amministratore sagace e sapiente che fu il compianto Senatore Palberti, si riuscì ad averne, almeno in parte, ragione.
Era ancora l'eterna questione dell' affollamento che si ripresentava In tutta la sua gravità ed urgenza.
Il numero dei ricoverati nelle due Case, infatti, che fino al 1904 si era mantenuto sulla media di 1600, aveva ripreso il suo vertiginoso cammino ascensionale, superando nel 1911 la cifra di 2500 .
Poichè per il passato la Provincia di Torino, aveva potuto, per fortunata situazione di cose e con evidente vantaggio sulle altre Provincie, evitare la gravosa ed inutile spesa dell' erezione di un Manicomio proprio e servirsi invece di quello già esistente e gestito dall'Opera Pia, ad esso affidando i maniaci posti dalla legge a suo carico, e ciò colla semplice corresponsione di una retta, che fu sempre la più bassa di quelle vigenti negli altri manicomi del Regno, alla Provincia stessa si rivolse allora l'Amministrazione, non potendo affrontare, coi soli suoi mezzi, la spesa di costruzione di un nuovo edificio.
Sorse così il Ricovero Provinciale, sito sullo stradale di Pianezza, costruito a cura e spese della Provincia, su progetto dell'Ing. Comm. Corazza e destinato ad ospitare oltre 550 alienate croniche, tranquille, la gestione del quale venne affidata al R. Manicomio.
L'apertura della nuova Casa, avvenuta nel 1913, fu un vero respiro di sollievo per le altre due Case esistenti, ma fu un respiro di troppo breve durata, poichè, per un curiosissimo fenomeno che sempre ebbe a verificarsi in simili casi e che sarebbe assai interessante studiare, i vuoti fatti vennero ben presto riempiti.
Si fu allora che dalle due Amministrazioni unite e concordi, la grave questione venne affrontata in pieno e studiata una soluzione radicale, colla costruzione di un nuovo Manicomio, rispondente a tutte le moderne esigenze della scienza psichiatrica, da erigersi a breve distanza dalla Città, abbandonando così al suo destino il vecchio edificio di Torino, che, non appena ultimato, già si era rivelato insufficiente ed inadatto al suo scopo e fin d'allora destinato al piccone demolitore per aprire le nuove arterie necessarie alla vita cittadina, per la quale costituisce, colla sua posizione ormai centrale, un ingombro poco desiderato.
Venne a tale scopo acquistato un ampio appezzamento di terreno in territorio di Grugliasco, di fronte quasi al Manicomio di Collegno, e con sollecitudine redatto dall'Ufficio Tecnico provinciale, convenientemente sussidiato dal competente parere della Direzione Medica del R. Manicomio, il nuovo completo progetto. Già stavano anzi per pubblicarsi gli avvisi d'appalto, allorchè lo scoppio della grande conflagrazione europea faceva necessariamente sospendere l'esecuzione del progetto stesso e rinviare ogni cosa ad epoca più opportuna.
Il brutto periodo dell'immediato dopo guerra, quando in un momento di follia collettiva tutto pareva che dovesse crollare, rendendo vani tanti sacrifici compiuti ed i risultati conseguiti dalla luminosa Vittoria dei nostri eroici soldati, ebbe per conseguenza, nella nostra Opera Pia, di travolgere l'Amministrazione in carica impotente ad arrestare, senza scapito del proprio prestigio e della propria dignità, il movimento di agitazione verificatosi nel personale salariato dipendente.
Ad essa successe ancora per breve tempo nel 1920 un' Amministrazione straordinaria impersonata da un Commissario Prefettizio, il quale, dando prova di non comune abilità e di opportuno tatto non disgiunti da una dignitosa fermezza e da un forte volere, efficacemente coadiuvato dai dirigenti i servizi, seppe tener fronte agli avvenimenti, superare la grave crisi ed in pochi mesi ricomporre l'Amministrazione regolare, che giustamente lo volle a suo Presidente.
L'affollamento in questo frattempo prendeva delle proporzioni sempre più allarmanti, quali mai si erano in passato verificate, raggiungendo e superando i ricoverati il numero di 3300; e mentre si studiavano tutti gli espedienti possibili per rimediarvi adattando locali, altri occupandone prima destinati a diverso uso, affrettando le dimissioni fin oltre al limite del normale, pur di speculare su pochi letti resi giornalmente disponibili, si dovette ancora, per necessità dolorosa, ma impellente ed ineluttabile, ricorrere al sistema di successivi trasferimenti di nostri ricoverati in altri Manicomi ed Ospizi del Regno: a Venezia, a Dolo, a Budrio, a Cingia de Botti, a San Bassano, ecc., dovunque si sapeva che eranvi posti disponibili.
Riprendeva però la Provincia di Torino appena le fu possibile lo studio di un progetto ridotto di erezione di qualche padiglione sul terreno di Grugliasco, ma una volta ancora lo smembramento della Provincia stessa nelle due minori circoscrizioni di Torino e di Aosta, doveva necessariamente portare ad un ulteriore ritardo nella realizzazione della decisione adottata.
E' da ritenersi però che, superata ogni difficoltà, le Amministrazioni delle due Provincie e quella Manicomiale potranno presto procedere concordi nel porre mano finalmente ai lavori per il nuovo Ospedale.
Ed è quanto mai sintomatico e di felice auspicio, il fatto che proprio nell'anno in cui il R. Manicomio celebra la data della sua bicentenaria esistenza, si veda dar principio alla nuova costruzione destinata ad ospitarlo, ripetendosi, per una singolare coincidenza di cose, quanto già si era verificato in passato, nel 1828, nell'occasione del suo primo centenario.



 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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