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Questa scheda è tratta da una pubblicazione inviatami dalla Associazione Storico-
L’Istituto si trova a 1258 m di altitudine, la sua facciata bianca è ben visibile da gran parte dell'Altopiano. L.G., di Vicenza, fu il primo paziente ricoverato in Istituto. Entrò il 12 luglio 1936: due giorni dopo avrebbe compiuto sei anni. Rimase ricoverato più di tre anni, a causa di una grave infezione alle anche che aveva cominciato a causargli forti dolori all'età di due
anni e mezzo. Fu dimesso il giorno dell'antivigilia del Natale del 1939, dopo aver subito un importante intervento all'anca destra.
Tanti altri pazienti lo avrebbero seguito nel corso degli anni. All'inizio erano soprattutto bambini e giovani affetti da tubercolosi extrapolmonare.
Non c'erano, allora, nel periodo fra le due guerre, farmaci efficaci. Gli antibiotici non erano stati scoperti e la tubercolosi rappresentava un problema enorme, che veniva affrontato come meglio si poteva e, per lo più, cercando, con l'isolamento degli ammalati, di proteggere i sani.
Così il prof. Francesco Delitala, primo direttore, descriveva la situazione: Mancavano i letti per i tubercolotici polmonari e nessuno voleva accogliere le forme extrapolmonari, perché, si diceva, tanto non portavano contagio. Gli scrofolosi, i peritonitici, i coxitici, i pottici, rifiutati dagli ospedali comuni, venivano a occupare metà dei nostri reparti ortopedici. I fistolizzati, pallidi, febbricitanti, curati in città, languivano per anni finché la morte liberatrice poneva line alle loro sofferenze. I mal curati comparivano per le vie, claudicanti o deformati e tristi, con grandi gibbosità dorsali.
L'Amministrazione Provinciale di Vicenza, decise la costruzione, a Mezzaselva di Roana, dell’Istituto Elioterapico inaugurato il 18 giugno 1936.
Si chiamava, allora, "Istituto Elioterapico Chirurgico Vittorio Emanuele III.
Alla fine degli anni sessanta l'Istituto fu riconvertito in senso riabilitativo. Era, da tempo, ormai chiaro che le cure non sempre guarivano le malattie, ma cominciava a diventare altrettanto chiaro che gli esiti dovevano trovare risposte adeguate, mirate a ridurre almeno, se non a risolvere, la dipendenza dei pazienti nelle attività quotidiane e ad avviarli al raggiungimento della maggiore autonomia funzionale, sociale, lavorativa possibile.
Negli anni settanta, allo “storico" nucleo di letti per pazienti con motulesioni ortopediche furono affiancati dei letti per la riabilitazione dei pazienti neurolesi;
C'erano miopatici, osteomielitici, amputati, politraumatizzati, non pochi casi residui di tubercolosi ossea e la nuova e sempre più numerosa schiera di pazienti ai quali i progressi della Medicina avevano consentito di sopravvivere.