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Il contenuto di questa scheda deriva dal sito sotto riportato nato con lo scopo di contribuire al salvataggio e alla condivisione di libri, opuscoli, documenti, rari o esauriti che costituiscono il patrimonio Storico-
Sopravvissuti per decenni, negli scaffali di archivi privati e abbastanza antichi per essere di dominio pubblico, tornano a nuova vita on-
Ho trovato quanto di interesse della storia dell'Ospedale di Castellamonte che voglio condividere con voi.
http://archivi.terramiacanavese.it/ArchivioLazzarinpdf/castellamonteesuastoriaAL.pdf
Per commentare anche sommariamente le vicende dell'assistenza ospedaliere in Castellamonte occorre risalire alle tradizioni medievali del borgo.
Il Cristianesimo, nell'attuazione del fondamentale suo precetto dell'amore per il prossimo, aveva potenziato le opere di assistenza per i malati, facendo però assumere a quelle un carattere più caritativo che sanitario.
I mezzi per queste opere di assistenza traevano la loro linfa dalle offerte dei fedeli che avevano l'obbligo di aiutare i poveri e gli ammalati.
L'assistenza organizzata faceva capo alla "Confraria del Santo Spirito", diretta da un Diacono che sovente si identificava nella persona del Parroco.
L'istituzione curava la direzione delle case di ricovero, che di solito sorgevano accanto alla chiesa parrocchiale: ciò in tempi normali, perché in tempi di epidemie e di contagio, l'ospedale, o meglio, il lazzaretto veniva trasferito in località appartata, lontano dal centro abitato e dalle vie di comunicazione. Quando la malattia si chiamava lebbra o peste o colera, i colpiti erano messi al bando dell'umano consorzio e si cacciavano fuori dal borgo.
Secondo una tradizione riferita dal Giorda, l'antico lebbrosario castellamontese sorgeva nei cosiddetti "Prati della Valle", dietro la collina del Castello e ai piedi della Croce di legno detta ancora del "Ciap " si portava ai lebbrosi la ciotola o il "ciap" per il loro nutrimento.
Castellamonte sopportò nel corso della sua storia molte spaventose epidemie di lebbra, peste, vaiolo e colera, che ne dimezzarono talvolta la popolazione; il flagello era comunemente considerato un segno dell'ira celeste e per impetrare la divina clemenza sorsero da noi innumerevoli cappelletto, piloni votivi e, agli albori del 1600, chiese sparse nelle varie zone del paese, ad onore specialmente di S. Rocco e di S. Sebastiano, ritenuti protettori contro la peste.
Durante le epidemie, le case dei malati erano barricate, le 279 chiese chiuse e i medici visitavano i malati dalle porte o dalle finestre, mentre i morti si seppellivano anche in cantina, in quanto le esequie erano soppresse onde evitare contatti e nuove morìe.
Purtroppo gli ospedali, essendo del tutto ignoto il sistema di immunizzazione dal contagio, divennero focolai di malattie e si dovette talvolta ordinarne la soppressione, perché ritenuti più dannosi che utili.
La Confraria del Santo Spirito, incaricata per l'assistenza ai malati, era costituita da "fratelli" d'ambo i sessi, tenuta a pagare annualmente una quota o in denaro o in segala o in vino;
Sin dal 1400, le Confrarìe del Santo Spirito fiorirono nel Canavese; a Castellamonte, detta Confraria si radunava alla domenica nella chiesa parrocchiale, antecedentemente alla prima messa; ebbe un notevole impulso specie nel 1600 e più ancora nel 1700, grazie ai considerevoli lasciti da parte dei castellamontesi più abbienti.
In quel secolo, la sede sociale della Confraria trovavasi nella "Ruta Nova" (attuale Via Educ), ove attualmente è aperta la "Cantina Nuova" con i locali ad essa adiacenti, mentre il più antico ospedale castellamontese, di cui si conosce l'ubicazione, aveva ricetto nella stessa via, dal lato opposto della carreggiata, nell'edificio di recente demolito di proprietà delle Concerie Alta Italia, ove ora sorge il Condominio "S. Elisabetta".
Nel 1838 Don Sebastiano Marmo donò una casa nei pressi della Chiesa Parrocchiale, con giardino annesso, per un nuovo ospedale, che doveva costituire il primo nucleo di quello ancora oggi in funzione, mentre in quegli stessi anni Don Giuseppe Gallo, l'Arch. Talentino Mussa, il Sacerdote Don Meuta, il Cav. Enrietti Grosso e il Sig. Gallasse contribuivano con lasciti notevoli all'arredamento e al potenziamento del nuovo ospedale, guadagnandosi una specie di immortalità, in quanto essi tutti risultano ancora oggi intestatari di vie e di vicoli del capoluogo di Castellamonte.
L'Arciprete di allora, Don Giuseppe Maria Nigra, è pure da ricordare fra questi benefattori, in quanto egli con la sua opera e con un considerevole lascito contribuì e rese 280 possibile nel 1832 affidare l'assistenza dei malati alle Suore di Carità di San Vincenzo da Paola, rendendo attuabile la loro continua permanenza in Castellamonte.
Tale affidamento merita un accenno particolare per la diuturna, disinteressata, silenziosa opera da allora svolta dalle Figlie della Carità a favore della nostra popolazione, sino ai giorni nostri.
Per imporre la giurisdizione regia in un organismo di fatto ecclesiastico, Vittorio Amedeo II sin dal 1717 aveva soppresso la Contrada del Santo Spirito, spogliandola dei beni e delle relative attribuzioni e istituendo la Congregazione della Carità avente per scopo di aiutare gli indigenti e di assistere i malati; tale innovazione fu aspramente osteggiata specie dal clero dominante e riuscì ad attecchire solo nella seconda metà del 1700.
In Castellamonte fu costituita con ogni crisma solo nel 1768 in seguito ad un lascito del medico Giuseppe Nigro.
Fu ingrandito nel 1855 e successivamente nel 1867, sì da portarne la capienza fino a venti posti letto per gli infermi. A partire dalla metà del secolo scorso, la tecnica ospedaliera ricevette un notevole impulso con il potenziamento e l'ammodernamento dei primitivi ricettacoli.
Con il decreto del 26 luglio 1836, Carlo Alberto su richiesta della locale Congregazione di Carità approvava l'erezione dell'Ospedale di Castellamonte in Ente Morale, con l'amministrazione della stessa Congregazione di Carità.
All'avvento del fascismo la Congregazione di Carità fu sostituita dal nuovo Ente Comunale di Assistenza (E.C.A.), senza però che la variazione apportasse un qualche vantaggio pratico.
Con altro decreto del 15 maggio 1939, Vittorio Emanuele III affidava la gestione dell'ospedale ad una amministrazione autonoma, decentrata dall'E.C.A.;
L'ospedale si sviluppò negli ultimi decenni mercé un fervore di opere e un sempre più vasto interessamento da parte dell'autorità comunale e della popolazione stessa; nel vetusto edificio venivano costruiti nuovi padiglioni, ammodernata la facciata con gli ingressi, installato un ascensore porta barelle, potenziato l'impianto di riscaldamento e dei servizi igienici e di cucina, sistemati i gabinetti medici, la sala operatoria e quella radiologica, gli uffici amministrativi e direzionali, gli ambulatori specializzati.
Tale sviluppo aveva come logico coronamento, in data 21 dicembre 1965, la classificazione, da parte del Ministero della Sanità, tramite il medico provinciale, dell'Ospedale di Castellamonte quale nosocomio di III categoria e successivamente di Ospedale di zona.
La recente costruzione del nuovo edificio, diviso dall'antico complesso soltanto dalla roggia comunale e dal Rio San Pietro, ma costituente un unico organismo funzionante, è la felice realtà dei giorni nostri.