Menu principale:
Dal testo curato dall’allora Amministrazione Ospedaliera di Cassano d’Adda “Guarire sul fiume – 1821-
In Cassano, in campo assistenziale, ci si rifaceva allo spirito che aveva animato le prime Confraternite. La storia delle Confraternite si intreccia con quella della Parrocchia almeno dal 1568. E' a questa data, infatti, che risale la fondazione della più antica confraternita caritevole: quella di S. Maria dei poveri. Essa aveva il dichiarato scopo di aiutare i poveri ma, nel 1821, avrebbe dato il nome al primo Ospedale di Cassano.
Per finalità più dichiaratamente assistenziali era sorto a Cassano il Luogo Pio Elemosiniere dei poveri. Nel suo Statuto Organico originale si diceva che suo scopo principale era: «sussidiare i poveri del paese con medicinali e denaro, ricoverare gratuitamente individui poveri di ambo i sessi, assistere gli invalidi, gli orfani, […] togliere il deplorevole e noioso accattonaggio ». Le origini del L.P. Elemosiniere di Cassano si perdono nel buio dei tempi andati. Si dice che il suo fondatore si chiamasse BISOGNO e non si può escludere che la leggenda abbia dato al presunto fondatore il nome dell'oggetto delle sue attenzioni. Questo ciclo storico si chiuse sotto il Regno Italico. Nel 1807 sorsero e vennero imposte a tutte le città del Regno le prime congregazioni di carità che accentravano l'amministrazione della pubblica beneficenza nelle mani di un Consiglio formato per metà da laici nominati dal Presidente della Repubblica, per metà da religiosi nominati direttamente dal Vescovo. Con il ritorno degli austriaci si registrò un formale passo indietro (ricostituzione dei Luoghi Pii Elemosinieri) ma le Congregazioni di Carità rimasero con le caratteristiche del 1807, costituendo con ciò le premesse per le successive forme assistenziali. Pare dimostrativo, in tal senso, la nascita a Cassano nel 1811 di una Compagnia di Infermiere e Infermieri. Si trattava di brave persone che, pur dedite al lavoro nei campi, trovavano il tempo per assistere nelle loro case, anche di notte, i malati bisognosi. Prestavano la loro opera gratuitamente, avvicendandosi secondo turni prestabiliti. Naturalmente non si poteva parlare di una assistenza infermieristica come la concepiamo oggidì, ma era pur sempre una provvida iniziativa in epoche nelle quali perfino gli albergatori erano tenuti, per legge, a curare quei viaggiatori che fossero caduti ammalati nelle loro locande. Il merito della nascita della predetta Compagnia di Infermieri va ascritto al parroco del tempo, e la nuova iniziativa venne vista di malocchio; fu anzi vivacemente avversata dalle Autorità Comunali. Per fortuna prevalse il buon senso e fu proprio da quella stessa Compagnia che vennero attinti i primi due infermieri dell'Ospedale.
Nel suo Statuto originario l'Ospedale Maggiore di Milano era tenuto a dare ricovero indistintamente a tutti i malati dei Comuni facenti parte del Ducato di Milano. Cassano era fra questi ed a Milano (che non aveva molto da offrire) mandava i suoi malati più gravi o quelli bisognosi di cure particolari di tipo chirurgico. Si pensi poi che, fino al 1791, i malati venivano sistemati a due a due su letti costituiti da un'unica asse di legno, inclinata verso i piedi per favorire lo scolo delle perdite, e ricoperta da un pagliericcio. << Come mai essi si chiedevano -
Prese quindi una decisione. Il 6 agosto 1814 modificò il suo testamento originale e, stilandone uno nuovo, olografo dispose che ogni sua sostanza e rendita esistente in Cassano fosse devoluta alla istituzione di un ospedale per i poveri del paese. Non solo, ma, con una visione pratica probabilmente più chiara di quanto non fosse quella dei suoi sollecitatori, si premurò di « levare il paludamento che circondava la sua casa », dilatando il giardino; di erigere un mulino i cui proventi sarebbero andati a vantaggio della nuova istituzione. Obbligò infine l'Ospedale Maggiore di Milano a versare, una tantum, a Cassano, la somma di lire tremila, a titolo di ulteriore aiuto finanziario.
L'11 giugno 1821 l'Ospedale di S. Maria dei Poveri di Cassano veniva solennemente inaugurato: il parroco, alla testa di tutta la popolazione in processione solenne, lo raggiunse e lo benedì, e un Te Deum di ringraziamento fu cantato nella Chiesa Parrocchiale. I primi due ammalati vi arrivarono il 22 giugno 1821. A pianterreno, sulla destra dell'ingresso, vi era la sala capitolare; a sinistra l'anticamera della cucina, la cantina, la cucina grande, il lavandino, la dispensa, la legnaia. Infine un ripostiglio per gli attrezzi ove, fra l'altro, si sistemavano i morti in attesa di funerale. Si raggiungeva il piano superiore a mezzo di una scala padronale che immetteva su di una veranda affacciata sopra l'ingresso, da detta veranda si accedeva direttamente alla sala di ricevimento (con camino). Posteriormente correva un corridoio di disimpegno dal quale si raggiungevano sulla destra l'infermeria uomini (dedicata a S. Camillo) il guardaroba e una latrina; sulla sinistra l'anticamera delle donne e la loro infermeria (dedicata a S. Elisabetta). Si trattava dunque di una struttura edilizia molto elementare, tipica di una casa privata, con un certo tono padronale, ma con limitate possibilità funzionali. Quale ne fosse l'arredamento al tempo in cui cominciò a funzionare da ospedale è facilmente desumibile dall'inventario fatto nel 1822. Sulla corridora dello scalone: 4 tende verdi con fiocchi, il quadro dello Zappatoni, un orologio con corde e contrappesi, una lampada. Anticamera degli uomini: comeau di noce, sei scagni, uno specchio, due quadri antichi. Dormitorio uomini: quattro materassi di lana, quattro pagliericci, otto cavalletti di ferro tinto, tre tavoli, nove scagni, due comode, due sidelli, due catini con tazze, una lampada. Guardaroba: un letto, due cavalletti, una braciera, due pappagalli, una padella, due cilindri. Anticamera donne: un letto. Dormitorio donne: quattro letti, quattro materassi, quattro pagliericci, otto cavalletti di ferro tinto, quattro tavoli, sei scagni, due comode, tre catini con sidelli e tazze, una lampada. Sala Capitolare: un tavolo, otto cadreghe, un calamaio con polverino di vetro, un armadio per archivio, due quadretti per l'orario ed il piano dietetico, un bernazzo con molla e soffietto. Mezzani: due portantine con materazzi e rispettive tende di tela. Cucina: un tavolo rustico, due catini grossi, un armadio, soffietto e molle per il camino. Nel giardino: otto piante di limoni, una sidella di rame. Il primo ospedale di Cassano si presenta né più né meno che come una casa di campagna con qualche pretesa padronale (lo scalone, la veranda, il salone di ricevimento), arredata, però, in maniera del tutto rustica: con cavalletti al posto dei letti, scagni al posto delle sedie, tavoli ed armadi rustici. Con servizi igienici, riscaldamento, illuminazione del tutto simili a quelli che erano in uso nelle case rurali dell'epoca. ([…]la necessità di contenere le spese [...] per il momento si prevedono solo sette letti [...] non si è ancora in grado di fornire di ricoverati una biancheria propria[…]). Malgrado ciò dobbiamo onestamente riconoscere che se le possibilità economiche del momento non risultavano pari alla buona volontà degli amministratori, a questi, però, non mancava chiarezza di idee in tema di finalità e funzionamento di un istituto ospedaliero. L'amministrazione dell'ospedale, per disposizione dello stesso Zappatoni, era affidata al Luogo Pio Elemosiniere locale, il quale operava a mezzo della Congregazione di Carità. Presidente ne era persona nominata, per cinque anni, direttamente dal Comune; anche se, per la sua scelta, interveniva anche il « placet » dell'Arcivescovado di Milano. Il primo organico era costituito da un impiegato o amministratore di residenza, da due infermieri, un custode e una cuciniera. La funzione dell'impiegato o amministratore di residenza era particolarmente interessante. Nel tratteggiarne la figura e i compiti, lo Statuto parlava di lui come di un vero padre che amorevolmente vigilava su tutto e su tutti. Si occupava personalmente degli acquisti («[…] il pane sarà particolare oggetto delle sue cure […] »); controllava in cucina che i cibi non fossero né troppo né poco cotti; sorvegliava lo stato dei locali con sopralluoghi anche “improvvisi”; interrogava i pazienti uno ad uno per conoscerne le esigenze (anche di notte!); in caso di morte si accertava di persona dell'avvenuto decesso, mentre, in caso di aggravamenti, a suo giudizio, chiamava il medico o il sacerdote; seguiva il medico nella visita prendendo nota delle prescrizioni e delle diete; in caso di accettazione di ferito o maltrattato per opera altrui faceva rapporto alle competenti autorità, segnalando gli estremi del fatto e tutte quelle notizie atte a favorire la ricerca dei responsabili. Gli infermieri erano due. Agli infermieri competeva la pulizia dei malati e dei loro abiti; l'ordine dei locali, di cui si consigliava in modo particolare una buona e frequente ventilazione; la somministrazione del cibo e delle medicine. Il tutto, è precisato, con dolci modi e parole confortanti “[…] con virtuosa compassione a linimento dei mali morali che da quelli fisici dipendono”. L'infermiere, inoltre, dormiva nella stessa camerata dei ricoverati, e ad esso spettava la recita del Rosario prima del riposo notturno. Il primo custode era, in pratica, un uomo di fatica, anche se, come è specificato, « deve sapere discretamente leggere, scrivere e fare conti »; e ciò perché da un lato doveva aiutare l'impiegato nella spesa quotidiana, e dall'altro doveva anche espletare funzioni di portineria, servizio di accettazione compreso.
La cuciniera aveva, con l'infermiera, anche l'obbligo del bucato. La cura medica e chirurgica era affidata e « raccomandata vivamente » ai medici condotti del paese. Per le loro prestazioni ospedaliere non era previsto alcun emolumento aggiuntivo; al più potevano contare su di un onorario di lire sei per ogni forestiero ricoverato. Impiegato di residenza, infermieri, custode e cuciniera rappresentavano nel complesso un organico piuttosto limitato, ma non insufficiente se si pensa che, dopo tutto, esso doveva accudire alle elementari esigenze di non più di 10-
Sul fronte interno i ricoverati «[…] non solo dimostreranno gratitudine alle caritatevoli maniere degli infermieri, ma dovranno dimostrarsi anche ubbidienti e pazienti: non irrequieti od inopportuni[…] ». Sul fronte esterno i parenti che si recavano a visitare i malati <<[…] dovranno presentarsi il più possibile netti negli indumenti, non dovranno portare cibi o bevande, dovranno attenersi strettamente agli orari di visita... ». Nella seconda metà del 19° secolo il governo fece accertare l'esistenza e la consistenza del patrimonio ospedaliero del nuovo Stato. L'inchiesta fu affidata all'Ufficio Statistico del Ministero dell'Agricoltura, e così, sui tavoli dell'Amministrazione dello Zappatoni cominciarono ad arrivare e ad accumularsi, spesso inevase, circolari e richieste della Prefettura miranti a conoscere la consistenza, le attrezzature, gli organici e il funzionamento dell’ospedale. La dotazione chirurgica del 1867 consisteva in: 1 sega grande, 1 tenaglia, 3 coltelli grandi, 3 bisturi, 1 uncino, 1 forbice, 2 pinzette da torsione, 6 aghi da cucitura, 1 apparecchio per le ernie (astuccio in cuoio contenente 1 bisturi retto, 1 convesso, 1 arcuato, 1 pinzetta, 1 forbice, 1 sonda), 1 istromento per l'asportazione delle tonsille, 1 siringa (catetere) per uomo ed 1 per donna. Nel 1866 la terza guerra d'Indipendenza aveva portato a Cassano militari feriti e reduci ed all'ospedale un aumento di ricoveri. Il lavoro straordinario che ne derivò fu riconosciuto con una gratifica di lire 30 all'economo e di lire 20 all'infermiere e fornì l'occasione all'Amministrazione per completare la sostituzione dei vecchi giacigli a cavalletti con veri letti completi in ferro. Nel 1874, giusta le disposizioni della Prefettura, l'Amministrazione dell'Ospedale provvide a compilare un nuovo statuto-
Sempre invece straordinariamente deficienti i servizi igienici. Le comode con ante rappresentano ancora il mezzo di elezione per bisogni corporali ed in quanto a catini per la pulizia personale siamo al punto che nell'infermeria donne ve n'è uno solo per 11 letti. Decisamente razionale è per contro l'impianto bagni (anche se funzionano solo nei mesi estivi), l'annesso locale di lavanderia e la produzione di acqua calda. Da un dispaccio luogotenenziale asburgico del 29 giugno 1855 veniamo a sapere che sul famoso quadretto appeso nella sala capitolare dell’ospedale erano contemplate quattro formule dietetiche da applicarsi secondo i casi, ma i cui componenti fondamentali erano sempre gli stessi: brodo, panata, pantrito, vermicelli, polentine, pane, verdura, vino. Questi ingredienti ruotavano nella settimana secondo un ordine giustificato unicamente dalla necessità di non ingenerare una assoluta ripugnanza per il cibo nei pazienti stessi: minestra di pasta fina il lunedì, il giovedì, il sabato, riso puro il mercoledì, riso con verdura martedì, venerdì, domenica. Frittura ed arrosto venizione del vino. Nel 1884 la cantina dello Zappatoni possedeva 30 bottiglie di vino nero; nel 1903 esse erano salite a ben 1090 (44 da due litri, 644 da un litro) ed erano comparsi vini nobili come il Barbera (25 bottiglie), il Chiaretto (55), il Marsala (26). A questo punto chiudiamo gli occhi e rivediamo mentalmente quanto si verifica in occasione della « entrata dei parenti», fin dalla fondazione dell'ospedale e a dispetto di tutte le ordinanze che fin da allora sono comparse sull'argomento. Vediamo una torma di persone sovraccariche di pacchi, pacchetti, bottiglie più o meno mimetizzati,
pronta ad eludere la sorveglianza dei guardiani nel generoso intento di far giungere un soccorso al povero ricoverato che, a parenti ed amici, sembra prossimo alla morte per inedia. Questa brava gente è convinta in buona fede che ad esempio un buon salame casalingo tornerà utilissimo al malato tenuto a dieta dopo un intervento sullo stomaco; che un buon bicchierotto di vino generoso aiuterà il degente a rifarsi delle perdite di sangue legate all'esistenza di una cirrosi alcoolica; che un dolcetto giungerà graditissimo al diabetico cui i medici negano perfino un po' di zucchero nel caffè. Lo stabile lasciato in eredità dallo Zappatoni si trovava in condizioni tali da richiedere in pratica un completo riattamento interno ed esterno. Qualcosa si muove dopo il 1860. Nel 1869 è il Comune che impone all'amministrazione dell'ospedale di ristrutturare l'interno dell'edificio, invitandola a costruire in modo « lodevole e salubre» due latrine, abbattendo nel contempo le « informi» preesistenti. Ingiungeva inoltre di togliere gli odori e gli scoli stagnanti, dipendenti dall'esistenza dei porcili nei cortili. Nel 1878 era l'amministrazione dell'ospedale che richiedeva al Comune di sistemare una buona volta la strada antistante l'ingresso, la quale scorreva ancora su di un piano sopraelevato rispetto allo stesso. Nel 1880 si dava mano a un primo sostanziale riassetto interno. Al pianterreno veniva migliorato il locale bagni, venivano rese indipendenti le cucine dalla lavanderia e dalla dispensa; al piano superiore si ricavavano gli ambienti per le suore (un dormitorio e una sala di soggiorno) e nel 1884 compariva il primo gabinetto medico, annesso all'infermeria uomini e con funzioni di camera di medicazione, operatoria, ecc. Si cercava in ogni modo di spremere dalle limitate possibilità ambientali dell'edificio tutto quanto era possibile, per far fronte al progredire dei tempi.
Nel 1883 una Commissione prefettizia che svolgeva indagini sulla pellagra, visitò l'ospedale di Cassano. Ebbe parole di elogio per il modo col quale erano assistiti i pazienti ma non poté esimersi dall'esprimere un netto parere sfavorevole per quanto riguardava le condizioni igieniche dello stabile stesso. Propose di conseguenza una alternativa al presidente della Congregazione di Carità: o sistemare radicalmente il vecchio edificio o costruirne uno nuovo. L'amministrazione si orientò verso la seconda soluzione e nel marzo del 1886 dava incarico di studiare la situazione. Nacque così un progetto che fu approvato dall'amministrazione, la quale di conseguenza decideva l'erezione di un nuovo ospedale nel fondo detto di S. Dionigi, di sua proprietà. I lavori per la nuova sede iniziarono trionfalmente nel marzo del 1889 ma ben presto ci si accorse che gli impegni economici relativi crescevano in maniera preoccupante di pari passo con le mura.
Anche vendendo lo stabile del vecchio ospedale e mettendo insieme tutto il possibile la cifra era ben lontana dalle esigenze che erano maturate oltre il previsto.
I lavori di conseguenza ristagnavano. Sul giornale "La Lombardia" del 24 gennaio 1891 si poteva leggere: « […] un'opera veramente lodevole e degna è stata intrapresa dalla Congregazione di Carità di Cassano: la costruzione di un nuovo ospedale. Ma la spesa, come spesso capita, sorpassa il preventivo. Ed ecco là, la nuova casa che aspetta nuove risorse per essere compiuta[…] ». Fu il momento in cui Cassano dimostrò la sua maturità civica e confermò quanto le stesse a cuore l'iniziativa. Si costituì un « Comitato di Beneficienza pel compimento del Nuovo Ospedale » che tra pesche di beneficenza, aste arrivò alla somma globale di lire 138.277,36 ed entro questi limiti, oculatamente, l'amministrazione si sforzò di contenere le spese della nuova costruzione. Tanto che alcune aggiunte, peraltro necessarie, furono realizzate in anni successivi: la camera mortuaria nel 1904, la veranda con tettoia sopra l'ingresso nel 1908, la portineria nel 1913. Il corpo centrale fu comunque portato a termine e il 1° settembre 1891 si poteva finalmente inaugurare il nuovo Ospedale Zappatoni di Cassano. Secondo la pianta originale, al piano terreno trovavano sede una sala per militari (7 letti), una per malati cronici (7 letti) una per i paganti (4 letti); al piano superiore, una sala per malati chirurgici (7 letti) e un reparto per malati acuti (20 letti). Nel corpo posteriore troviamo al pianterreno i bagni pubblici ed alcuni servizi; al piano superiore la camera operatoria e gli alloggi per le suore. I così detti servizi igienici erano sistemati alle estremità dei corridoi. Non dimentichiamo in proposito che l'acqua potabile arrivò in tutto lo stabile solo nel 1929 e che, ancora nel 1925, al pozzo nero, che andava svuotato ogni due giorni, si accedeva direttamente dalla cucina! In compenso vi era una « bella e comoda lavanderia » e soprattutto « due grandi caloriferi » che finalmente ponevano termine all'epoca dei bernazzi, dei bracieri, delle stufe Franklin. Se si pensa che in quell'epoca il riscaldamento centrale era ancora un lusso di poche abitazioni, anche cittadine, si potrà facilmente valutare il pregio di questo servizio del nuovo ospedale di Cassano. Esso per altro aveva un difetto: si trattava infatti di un riscaldamento ad aria calda e spesso capitava che le bocchette, a livello delle sale di degenza, con l'aria portassero anche zaffate di fumo e di polvere, non certo igienici né salutari per i ricoverati.
Come si può arguire da questi brevi cenni, la nuova costruzione costituiva un enorme passo avanti rispetto alle strutture che l'avevano preceduta, tanto che per lunghi anni essa fu senza ombra di dubbio la più razionale soluzione ospedaliera esistente nel raggio di almeno 50 chilometri. Ma rimaneva pur sempre figlia del suo tempo. La monumentalità delle sue linee esterne, celava un interno singolarmente povero. Le angustie economiche in cui era nato il nuovo ospedale non avevano lasciato molti margini all'amministrazione, tanto che, almeno agli inizi, il suo arredamento rimase né più né meno quello del vecchio edificio. I letti denunciati erano 80 ma in realtà ne esistevano una quarantina; le lenzuola da 427 nel 1890, erano divenute 428 nel 1894; le coperte di lana erano passate da 62 a 85, i guanciali da 58 a 60; fra la « lingerie » i materassi di lana compariranno solo dopo il 1900. Lo strumentario più specificatamente medico-
L'unico responsabile tecnico dell'ospedale era quindi tenuto almeno a conoscere i principali progressi che la Medicina aveva maturato nei primi anni del secolo. Medicina ed ospedale del secolo precedente richiedevano ben di meno al medico: nell'ospedale di Treviglio, nel 1874, si poneva come clausola per l'ammissione di un sanitario che «[…] conoscesse e sapesse bene eseguire un salasso[…]>>.
Col regolamento del 1924, dunque, fece la sua entrata ufficiale nell'ospedale la figura del medico, ma essa rimaneva pur sempre una figura solitaria e ben si comprende come lo stesso regolamento ancora riversasse sulle spalle della superiora, una grossa parte di incarichi e di responsabilità. Le spettava infatti la registrazione di tutte le attrezzature dei reparti, il controllo del personale subalterno, la vigilanza sull'esecuzione delle prescrizioni, sull'andamento della cucina, del guardaroba e del servizio bagni pubblici. Povera superiora! L'ospedale, dopo tutto, aveva circa quaranta letti ed essa poteva contare sull'opera di due, al massimo tre infermieri; le altre consorelle, nella tabella organica, avevano una ben precisa collocazione come guardarobiera, vegliatrice, infermiera e cuciniera. Dobbiamo anche pensare che esse prestassero servizio in camera operatoria se nel 1926 lo stesso dottor Spizzi riportava una lamentela del chirurgo Della Torre «[…] perché, ai ferri, serviva una suora adibita in corsia a malati settici ». Del resto anche la figura dell'inserviente risulta ibrida nel predetto regolamento se si pensa che gli competeva l'approvvigionamento della legna, la riparazione di rubinetti, il trasporto dei morti e... le mansioni di infermiere quando se ne presentasse la necessità. Nel 1927 una circolare prefettizia sanciva l'apertura di una Sezione sanatoriale femminile; venne ricavata a spese del piano superiore dell'edificio ed aveva accesso indipendente. Disponeva di trenta letti modernamente arredati, di un'ampia sala di soggiorno, di un gabinetto per analisi, di un servizio di radioscopia e di un impianto per ultravioletti.
Ma la scintillante medaglia di cui sopra aveva un rovescio. La sistemazione del Reparto sanatoriale aveva scombussolato l'interno dell'ospedale. Le povere suore si erano trovate il Consultorio adiacente al loro refettorio (donde una vibrata protesta della Casa Madre la quale invocava che « almeno » il loro dormitorio venisse sistemato in faccia alla camera operatoria); gli altri degenti risultavano compressi in una disdicevole promiscuità di sessi e di forme morbose, accomunati da un'ulteriore riduzione dei servizi. La Sezione sanatoriale non ebbe quella fortuna che si erano augurati i suoi promotori; non ebbe vita gloriosa né lunga poiché, già nell'agosto del 1933, nell'ospedale non vi erano più tubercolotici, smistati a Garbagnate. Sempre nel 1927 un «ciclone» si abbatté su Cassano; alberi secolari vennero divelti; il tetto dell'ospedale venne per la più parte portato via e l'acqua inondò il piano superiore danneggiando in maniera cospicua il già scarso arredamento. Sembrava che anche la natura volesse accanirsi contro l’ospedale. Nel 1928 il riscaldamento lasciava molto a desiderare; non solo vi furono lamentele perché il servizio bagni funzionava solo d'estate, ma si lamentava anche (il rilievo è dello stesso direttore) che l'antisala della camera operatoria fosse del tutto priva di riscaldamento. A seguito di pressanti ingiunzioni del Comune, il servizio dell'acqua potabile fu esteso a tutto l'ospedale. Le Casse di Mutuo Soccorso erano comparse fin dall'inizio del secolo quale risposta dell'iniziativa privata ad un vuoto legislativo in un campo sociale che andava cambiando rapidamente. A Cassano, la Società Operaia di Mutuo Soccorso fu fondata nel 1882; intorno al '21 era sorta quella Mutua Sanitaria Volontaria con la quale lo Zappatoni si era convenzionato. Con l'avvento del Fascismo essa fu ben presto sostituita dalla Mutua Sanitaria Fascista, seguita dalla Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali ed infine dall'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. Questa nuova forma di assistenza sanitaria comportò un vero e proprio terremoto nell'istituto ospedaliero che era rimasto prevalentemente incentrato sull'assistenza di una particolare categoria sociale: i poveri. Ora, con l'avvento della Mutualità, le porte dell'ospedale si aprirono praticamente a tutte le categorie; le garanzie economiche fornite fino ad allora dalla beneficenza passarono in seconda fila rispetto a quelle offerte dalle Assicurazioni sociali. E così, nell'ambiente ospedaliero, giunse una nuova figura di paziente: il mutuato. Sarà una fatale combinazione, ma è da questo periodo che, fra le carte dell'amministrazione, cominciano a comparire scritti di tal fatta: «[…] mia figlia è stata medicata con garza sporca di sangue ed è stata trattata come un cane (1925)... mi sembra che i due dottori non siano affatto affiatati; ed intanto chi soffre è l'ammalato e chi spreca i soldi è la famiglia, il Comune, la Mutua (1926)[…] gli infermieri distribuiscono cibo scarso ed immangiabile (1927) ». In occasione del secondo conflitto mondiale, lo Zappatoni non fu impegnato in servizi di guerra come nel 1915-
Il primo vero stipendio ospedaliero comparve a Cassano nel 1925 in occasione della nomina del primo medico esclusivamente destinato alla cura dei ricoverati; si trattava di 6500 lire annue e questa cifra confrontata con quella di 6300 che nel medesimo anno veniva data all'infermiere ci dice come ancora nelle menti degli amministratori perdurasse la visione di tempi nei quali, ai fini dell'assistenza vera e propria dei ricoverati, l'opera dell'infermiere finiva per essere preminente nei confronti di quella del medico. Gli infermieri di Cassano sono praticamente nati dal cuore della stessa popolazione, per l'opera disinteressata ed altruista di quelle brave persone che si prestavano ad assistere i bisognosi nelle loro stesse case fornendo loro quanto era più o meno suggerito dalla tradizione familiare stessa. Non è senza significato in tal senso il fatto che l'infermiere del prímo ospedale dormisse nella stessa camerata dei pazienti, fosse tenuto a sostenerli con le buone parole ed a recitare per loro il Rosario prima del riposo notturno. Le amministrazioni riconobbero ufficialmente questa posizione e per oltre cent'anni lo stipendio dell'infermiere fu di gran lunga superiore a quello previsto per l'opera del medico nell'interno dell'ospedale. La stessa popolazione, anche fuori delle mura dell'istituto, non rifuggì dal ricorrere all'opera del « signor infermiere » per pareri, cure e assistenze domiciliari. Anche per le suore i tempi scorrevano velocemente; dalle loro divise erano scomparsi i famosi « cappelloni » ad ali spiegate e tutto l'Ordine si trovava in progressiva difficoltà nel mantenere negli ospedali quella preziosa presenza di religiose che tanta parte aveva avuto nella storia degli stessi. I locali che per effetto di questo trasloco si liberarono nel vecchio edificio furono in parte utilizzati come nuovi reparti di degenza (che portarono a 140 i posti letto del nosocomio), in parte per la costruzione della nuova cappella.
Si doveva fare i conti con una Medicina sempre più industrializzata e tecnicizzata che proponeva novità e progressi a ritmo crescente ed a costi sempre più elevati; si registrava un preoccupante aumento della spedalizzazione nei confronti della prevalente assistenza domiciliare che aveva caratterizzato i tempi precedenti; si aveva a che fare con una Mutualità che, quanto a forme e numero di Enti Assistenziali, aveva raggiunto livelli critici. In questo pletorico divenire e sotto la pressione di costi sempre maggiori le Mutue avevano finito per impantanarsi in una situazione economica sempre più fallimentare, nella quale i crediti degli Enti Ospedalieri raggiungevano cifre astronomiche. La Legislazione vigente non appariva più adeguata alla nuova problematica ospedaliera e poche novità in senso assoluto avevano portato l'istituzione del Ministero della Sanità nel 1958 e la comparsa di alcuni provvedimenti normativi nel 1954. Sotto la pressione di questa situazione nazionale e dopo non poche vicissitudini politico-