CASSANO D'ADDA dall'Ospedale Santa Maria dei poveri allo Zappatoni - Ospedali d'Italia

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CASSANO D'ADDA dall'Ospedale Santa Maria dei poveri allo Zappatoni

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Dal testo curato dall’allora Amministrazione Ospedaliera di Cassano d’Adda “Guarire sul fiume – 1821-1971- un secolo e mezzo di vita dell’Ospedale Zappatoni di Cassano d’Adda- Leone Calvi Parisetti


In Cassano, in campo assistenziale, ci si rifaceva allo spirito che aveva animato le prime Confraternite. La storia delle Confraternite si intreccia con quella della Parrocchia almeno dal 1568. E' a questa data, infatti, che risale la fondazione della più antica confraternita caritevole: quella di S. Maria dei poveri. Essa aveva il dichiarato scopo di aiutare i poveri ma, nel 1821, avrebbe dato il nome al primo Ospedale di Cassano.
Per finalità più dichiaratamente assistenziali era sorto a Cassano il Luogo Pio Elemosiniere dei poveri. Nel suo Statuto Organico originale si diceva  che suo scopo principale era: «sussidiare i poveri del paese con medicinali e denaro, ricoverare gratuitamente individui poveri di ambo i sessi, assistere gli invalidi, gli orfani, […] togliere il deplorevole e noioso accattonaggio ». Le origini del L.P. Elemosiniere di Cassano si perdono nel buio dei tempi andati. Si dice che il suo fondatore si chiamasse BISOGNO e non si può escludere che la leggenda abbia dato al presunto fondatore il nome dell'oggetto delle sue attenzioni. Questo ciclo storico si chiuse sotto il Regno Italico. Nel 1807 sorsero e vennero imposte a tutte le città del Regno le prime congregazioni di carità che accentravano l'amministrazione della pubblica beneficenza nelle mani di un Consiglio formato per metà da laici nominati dal Presidente della Repubblica, per metà da religiosi nominati direttamente dal Vescovo. Con il ritorno degli austriaci si registrò un formale passo indietro (ricostituzione dei Luoghi Pii Elemosinieri) ma le Congregazioni di Carità rimasero con le caratteristiche del 1807,  costituendo con ciò le premesse per le successive forme assistenziali. Pare dimostrativo, in tal senso, la nascita a Cassano nel 1811 di una Compagnia di Infermiere e Infermieri. Si trattava di brave persone che, pur dedite al lavoro nei campi, trovavano il tempo per assistere nelle loro case, anche di notte, i malati bisognosi. Prestavano la loro opera gratuitamente, avvicendandosi secondo turni prestabiliti.  Naturalmente non si poteva parlare di una assistenza infermieristica come la concepiamo oggidì, ma era pur sempre una provvida iniziativa in epoche nelle quali perfino gli albergatori erano tenuti, per legge, a curare quei viaggiatori che fossero caduti ammalati nelle loro locande. Il merito della nascita della predetta Compagnia di Infermieri va ascritto al parroco del tempo, e la nuova iniziativa venne vista di malocchio; fu anzi vivacemente avversata dalle Autorità Comunali. Per fortuna prevalse il buon senso e fu proprio da quella stessa Compagnia che vennero attinti i primi due infermieri dell'Ospedale.
Nel suo Statuto originario l'Ospedale Maggiore di Milano era tenuto a dare ricovero indistintamente a tutti i malati dei Comuni facenti parte del Ducato di Milano. Cassano era fra questi ed a Milano (che non aveva molto da offrire) mandava i suoi malati più gravi o quelli bisognosi di cure particolari di tipo chirurgico. Si pensi poi che, fino al 1791, i malati venivano sistemati a due a due su letti costituiti da un'unica asse di legno, inclinata verso i piedi per favorire lo scolo delle perdite, e ricoperta da un pagliericcio. << Come mai essi si chiedevano - una donna sottoposta a taglio cesareo con gli stessi ferri che poco prima egregiamente avevano servito per incidere un ascesso, moriva rapidamente fra atroci dolori e febbri altissime? E perché nella stessa corsia si verificavano a catena episodi del genere? ».  Possiamo immaginare senza fatica cosa dovessero essere questi trasferimenti fatti in carrozza o addirittura su carri agricoli, lungo rotabili polverose e dissestate, sotto il sole cocente o la pioggia, fra nebbie e gelo. E possiamo capire come, dopo tutto, i Cassanesi preferissero la via fluviale loro offerta dal Naviglio della Martesana. In una lettera a data 2 febbraio 1805, di Anastasio Zappatoni artigiano orefice e gioielliere, indirizzata al Ministro del Culto testualmente si legge:  […] trovandosi in villeggiatura nelle terre di Cassano dovette più volte vedere gli infermi di quella borgata e territorio trasportati sino al canale, ove, poi, in barca, vengono tradotti all'Ospedale di Milano per essere curati, ed essere testimonio oculare dei disagi cui sono sottoposti quegli infelici, tali certamente da spingerli alla morte più presto che se rimanessero senza cura. Commosso pertanto da un sì tacito spettacolo e convinto nell'animo suo che non siasi da ricercare altra occasione più degna delle benefiche sue intenzioni, sarebbe Egli determinato di erigere nella summenzionata terra di Cassano, un Ospedale civico[…]».
Prese quindi una decisione. Il 6 agosto 1814 modificò il suo testamento originale e, stilandone uno nuovo, olografo dispose che ogni sua sostanza e rendita esistente in Cassano fosse devoluta alla istituzione di un ospedale per i poveri del paese. Non solo, ma, con una visione pratica probabilmente più chiara di quanto non fosse quella dei suoi sollecitatori, si premurò di « levare il paludamento che circondava la sua casa », dilatando il giardino; di erigere un mulino i cui proventi sarebbero andati a vantaggio della nuova istituzione. Obbligò infine l'Ospedale Maggiore di Milano a versare, una tantum, a Cassano, la somma di lire tremila, a titolo di ulteriore aiuto finanziario.
L'11 giugno 1821 l'Ospedale di S. Maria dei Poveri di Cassano veniva solennemente inaugurato: il parroco, alla testa di tutta la popolazione in processione solenne, lo raggiunse e lo benedì, e un Te Deum di ringraziamento fu cantato nella Chiesa Parrocchiale. I primi due ammalati vi arrivarono il 22 giugno 1821. A pianterreno, sulla destra dell'ingresso, vi era la sala capitolare; a sinistra l'anticamera della cucina, la cantina, la cucina grande, il lavandino, la dispensa, la legnaia. Infine un ripostiglio per gli attrezzi ove, fra l'altro, si sistemavano i morti in attesa di funerale.  Si raggiungeva il piano superiore a mezzo di una scala padronale che immetteva su di una veranda affacciata sopra l'ingresso, da detta veranda si accedeva direttamente alla sala di ricevimento (con camino). Posteriormente correva un corridoio di disimpegno dal quale si raggiungevano sulla destra l'infermeria uomini (dedicata a S. Camillo) il guardaroba e una latrina; sulla sinistra l'anticamera delle donne e la loro infermeria (dedicata a S. Elisabetta).  Si trattava dunque di una struttura edilizia molto elementare, tipica di una casa privata, con un certo tono padronale, ma con limitate possibilità funzionali. Quale ne fosse l'arredamento al tempo in cui cominciò a funzionare da ospedale è facilmente desumibile dall'inventario fatto nel 1822.  Sulla corridora dello scalone: 4 tende verdi con fiocchi, il quadro dello Zappatoni, un orologio con corde e contrappesi, una lampada.  Anticamera degli uomini: comeau di noce, sei scagni, uno specchio, due quadri antichi.  Dormitorio uomini: quattro materassi di lana, quattro pagliericci, otto cavalletti di ferro tinto, tre tavoli, nove scagni, due comode, due sidelli, due catini con tazze, una lampada.  Guardaroba: un letto, due cavalletti, una braciera, due pappagalli, una padella, due cilindri.  Anticamera donne: un letto.  Dormitorio donne: quattro letti, quattro materassi, quattro pagliericci, otto cavalletti di ferro tinto, quattro tavoli, sei scagni, due comode, tre catini con sidelli e tazze, una lampada.  Sala Capitolare: un tavolo, otto cadreghe, un calamaio con polverino di vetro, un armadio per archivio, due quadretti per l'orario ed il piano dietetico, un bernazzo con molla e soffietto. Mezzani: due portantine con materazzi e rispettive tende di tela.  Cucina: un tavolo rustico, due catini grossi, un armadio, soffietto e molle per il camino. Nel giardino: otto piante di limoni, una sidella di rame.  Il primo ospedale di Cassano  si presenta né più né meno che come una casa di campagna con qualche pretesa padronale (lo scalone, la veranda, il salone di ricevimento),  arredata, però, in maniera del tutto rustica: con cavalletti al posto dei letti, scagni al posto delle sedie, tavoli ed armadi rustici. Con servizi igienici, riscaldamento, illuminazione del tutto simili a quelli che erano in uso nelle case rurali dell'epoca.  ([…]la necessità di contenere le spese [...] per il momento si prevedono solo sette letti [...] non si è ancora in grado di fornire di ricoverati una biancheria propria[…]).  Malgrado ciò dobbiamo onestamente riconoscere che se le possibilità economiche del momento non risultavano pari alla buona  volontà degli amministratori, a questi, però, non mancava chiarezza di idee in tema di finalità e funzionamento di un istituto ospedaliero.   L'amministrazione dell'ospedale, per disposizione dello stesso Zappatoni, era affidata al Luogo Pio Elemosiniere locale, il quale operava a mezzo della Congregazione di Carità. Presidente ne era persona nominata, per cinque anni, direttamente dal Comune; anche se, per la sua scelta, interveniva anche il « placet » dell'Arcivescovado di Milano.   Il primo organico era costituito da un impiegato o amministratore di residenza, da due infermieri, un custode e una cuciniera.  La funzione dell'impiegato o amministratore di residenza era particolarmente interessante. Nel tratteggiarne la figura e i compiti, lo Statuto parlava di lui come di un vero padre che amorevolmente vigilava su tutto e su tutti. Si occupava personalmente degli acquisti («[…] il pane sarà particolare oggetto delle sue cure […] »); controllava in cucina che i cibi non fossero né troppo né poco cotti; sorvegliava lo stato dei locali con sopralluoghi anche “improvvisi”; interrogava i pazienti uno ad uno per conoscerne le esigenze (anche di notte!); in caso di morte si accertava di persona dell'avvenuto decesso, mentre, in caso di aggravamenti, a suo giudizio, chiamava il medico o il sacerdote; seguiva il medico nella visita prendendo nota delle prescrizioni e delle diete; in caso di accettazione di ferito o maltrattato per opera altrui faceva rapporto alle competenti autorità, segnalando gli estremi del fatto e tutte quelle notizie atte a favorire la ricerca dei responsabili.  Gli infermieri erano due.   Agli infermieri competeva la pulizia dei malati e dei loro abiti; l'ordine dei locali, di cui si consigliava in modo particolare una buona e frequente ventilazione; la somministrazione del cibo e delle medicine. Il tutto, è precisato, con dolci modi e parole confortanti  “[…] con virtuosa compassione a linimento dei mali morali che da quelli fisici dipendono”.  L'infermiere, inoltre, dormiva nella stessa camerata dei ricoverati, e ad esso spettava la recita del Rosario prima del riposo notturno. Il primo custode era, in pratica, un uomo di fatica, anche se, come è specificato, « deve sapere discretamente leggere, scrivere e fare conti »; e ciò perché da un lato doveva aiutare l'impiegato nella spesa quotidiana, e dall'altro doveva anche espletare funzioni di portineria, servizio di accettazione compreso.
La cuciniera aveva, con l'infermiera, anche l'obbligo del bucato.  La cura medica e chirurgica era affidata e « raccomandata vivamente » ai medici condotti del paese. Per le loro prestazioni ospedaliere non era previsto alcun emolumento aggiuntivo; al più potevano contare su di un onorario di lire sei per ogni forestiero ricoverato.  Impiegato di residenza, infermieri, custode e cuciniera rappresentavano nel complesso un organico piuttosto limitato, ma non insufficiente se si pensa che, dopo tutto, esso doveva accudire alle elementari esigenze di non più di 10-12 ricoverati, senza particolari incombenze di tipo più strettamente medico.   Il regolamento del 1822 si chiudeva con alcuni precetti disciplinari.
Sul fronte interno i ricoverati «[…] non solo dimostreranno gratitudine alle caritatevoli maniere degli infermieri, ma dovranno dimostrarsi anche ubbidienti e pazienti: non irrequieti od inopportuni[…] ».  Sul fronte esterno i parenti che si recavano a visitare i malati <<[…] dovranno presentarsi il più possibile netti negli indumenti, non dovranno portare cibi o bevande, dovranno attenersi strettamente agli orari di visita... ».  Nella seconda metà del 19° secolo il governo fece accertare l'esistenza e la consistenza del patrimonio ospedaliero del nuovo Stato.  L'inchiesta fu affidata all'Ufficio Statistico del Ministero dell'Agricoltura, e così, sui tavoli dell'Amministrazione dello Zappatoni cominciarono ad arrivare e ad accumularsi, spesso inevase, circolari e richieste della Prefettura miranti a conoscere la consistenza, le attrezzature, gli organici e il funzionamento dell’ospedale.  La dotazione chirurgica del 1867 consisteva in: 1 sega grande, 1 tenaglia, 3 coltelli grandi, 3 bisturi, 1 uncino, 1 forbice, 2 pinzette da torsione, 6 aghi da cucitura, 1 apparecchio per le ernie (astuccio in cuoio contenente 1 bisturi retto, 1 convesso, 1 arcuato, 1 pinzetta, 1 forbice, 1 sonda), 1 istromento per l'asportazione delle tonsille, 1 siringa (catetere) per uomo ed 1 per donna.  Nel 1866 la terza guerra d'Indipendenza aveva portato a Cassano militari feriti e reduci ed all'ospedale un aumento di ricoveri. Il lavoro straordinario che ne derivò fu riconosciuto con una gratifica di lire 30 all'economo e di lire 20 all'infermiere e fornì l'occasione all'Amministrazione per completare la sostituzione dei vecchi giacigli a cavalletti con veri letti completi in ferro.  Nel 1874, giusta le disposizioni della Prefettura, l'Amministrazione dell'Ospedale provvide a compilare un nuovo statuto-organico. Fu il secondo, in ordine di tempo, comparso dopo quello originale del 1822.  L'ospedale era amministrato dalla locale Congregazione di Carità.  Nell'organico, sempre costituito da un infermiere, una infermiera, un custode e una cuciniera, non figurava più l'impiegato o amministratore di residenza. Le sue plurime funzioni erano state demandate alla superiora delle Suore di S. Vincenzo che, nel 1873, erano arrivate a Cassano in numero di tre.  Nel 1884 venne fatto un inventario dell'ospedale, e poiché esso rappresentava la situazione di « arrivo » del vecchio Ospedale di S. Maria dei Poveri, è riportato nel testo pressoché integralmente per dar modo al lettore di confrontarlo con quello di « partenza » del 1821.  I letti delle infermiere sono aumentati e sono scomparsi i vecchi cavalletti: l'infermiere, poi, che dorme sempre coi ricoverati, dispone di un elastico.
Sempre invece straordinariamente deficienti i servizi igienici. Le comode con ante rappresentano ancora il mezzo di elezione per bisogni corporali ed in quanto a catini per la pulizia personale siamo al punto che nell'infermeria donne ve n'è uno solo per 11 letti.  Decisamente razionale è per contro l'impianto bagni (anche se funzionano solo nei mesi estivi), l'annesso locale di lavanderia e la produzione di acqua calda.  Da un dispaccio luogotenenziale asburgico del 29 giugno 1855 veniamo a sapere che sul famoso quadretto appeso nella sala capitolare dell’ospedale erano contemplate quattro formule dietetiche da applicarsi secondo i casi, ma i cui componenti fondamentali erano sempre gli stessi: brodo, panata, pantrito, vermicelli, polentine, pane, verdura, vino.  Questi ingredienti ruotavano nella settimana secondo un ordine  giustificato unicamente dalla necessità di non ingenerare una assoluta ripugnanza per il cibo nei pazienti stessi: minestra di pasta fina il lunedì, il giovedì, il sabato, riso puro il mercoledì, riso con verdura martedì, venerdì, domenica. Frittura ed arrosto venizione del vino.  Nel 1884 la cantina dello Zappatoni possedeva 30 bottiglie di vino nero; nel 1903 esse erano salite a ben 1090 (44 da due litri, 644 da un litro) ed erano comparsi vini nobili come il Barbera (25 bottiglie), il Chiaretto (55), il Marsala (26).  A questo punto chiudiamo gli occhi e rivediamo mentalmente quanto si verifica in occasione della « entrata dei parenti», fin dalla fondazione dell'ospedale e a dispetto di tutte le ordinanze che fin da allora sono comparse sull'argomento. Vediamo una torma di persone sovraccariche di pacchi, pacchetti, bottiglie più o meno mimetizzati,
pronta ad eludere la sorveglianza dei guardiani nel generoso intento di far giungere un soccorso al povero ricoverato che, a parenti ed amici, sembra prossimo alla morte per inedia.  Questa brava gente è convinta in buona fede che ad esempio un buon salame casalingo tornerà utilissimo al malato tenuto a dieta dopo un intervento sullo stomaco; che un buon bicchierotto di vino generoso aiuterà il degente a rifarsi delle perdite di sangue legate all'esistenza di una cirrosi alcoolica; che un dolcetto giungerà graditissimo al diabetico cui i medici negano perfino un po' di zucchero nel caffè.  Lo stabile lasciato in eredità dallo Zappatoni si trovava in condizioni tali da richiedere in pratica un completo riattamento interno ed esterno.   Qualcosa si muove dopo il 1860. Nel 1869 è  il Comune che impone all'amministrazione dell'ospedale di ristrutturare l'interno dell'edificio, invitandola a costruire in modo « lodevole e salubre» due latrine, abbattendo nel contempo le « informi» preesistenti. Ingiungeva inoltre di togliere gli odori e gli scoli stagnanti, dipendenti dall'esistenza dei porcili nei cortili.  Nel 1878 era l'amministrazione dell'ospedale che richiedeva al Comune di sistemare una buona volta la strada antistante l'ingresso, la quale scorreva ancora su di un piano sopraelevato rispetto allo stesso.  Nel 1880 si dava mano a un primo sostanziale riassetto interno. Al pianterreno veniva migliorato il locale bagni, venivano rese indipendenti le cucine dalla lavanderia e dalla dispensa; al piano superiore si ricavavano gli ambienti per le suore (un dormitorio e una sala di soggiorno) e nel 1884 compariva il primo gabinetto medico, annesso all'infermeria uomini e con funzioni di camera di medicazione, operatoria, ecc. Si cercava in ogni modo di spremere dalle limitate possibilità ambientali dell'edificio tutto quanto era possibile, per far fronte al progredire dei tempi.
Nel 1883 una Commissione prefettizia che svolgeva indagini sulla pellagra, visitò l'ospedale di Cassano. Ebbe parole di elogio per il modo col quale erano assistiti i pazienti ma non poté esimersi dall'esprimere un netto parere sfavorevole per quanto riguardava le condizioni igieniche dello stabile stesso. Propose di conseguenza una alternativa al presidente della Congregazione di Carità: o sistemare radicalmente il vecchio edificio o costruirne uno nuovo.  L'amministrazione si orientò verso la seconda soluzione e nel marzo del 1886 dava incarico di studiare la situazione. Nacque così un progetto che fu approvato dall'amministrazione, la quale di conseguenza decideva l'erezione di un nuovo ospedale nel fondo detto di S. Dionigi, di sua proprietà.  I lavori per la nuova sede iniziarono trionfalmente nel marzo del 1889 ma ben presto ci si accorse che gli impegni economici relativi crescevano in maniera preoccupante di pari passo con le mura.
Anche vendendo lo stabile del vecchio ospedale e mettendo insieme tutto il possibile la cifra era ben lontana dalle esigenze che erano maturate oltre il previsto.
I lavori di conseguenza ristagnavano. Sul giornale "La Lombardia"    del 24 gennaio 1891 si poteva leggere: « […] un'opera veramente lodevole e degna è stata intrapresa dalla Congregazione di Carità di Cassano: la costruzione di un nuovo ospedale. Ma la spesa, come spesso capita, sorpassa il preventivo. Ed ecco là, la nuova casa che aspetta nuove risorse per essere compiuta[…] ».  Fu il momento in cui Cassano dimostrò la sua maturità civica e confermò quanto le stesse a cuore l'iniziativa. Si costituì un « Comitato di Beneficienza pel compimento del Nuovo Ospedale » che tra pesche di beneficenza, aste arrivò alla somma globale di lire 138.277,36 ed entro questi limiti, oculatamente, l'amministrazione si sforzò di contenere le spese della nuova costruzione. Tanto che alcune aggiunte, peraltro necessarie, furono realizzate in anni successivi: la camera mortuaria nel 1904, la veranda con tettoia sopra l'ingresso nel 1908, la portineria nel 1913. Il corpo centrale fu comunque portato a termine e il 1° settembre 1891 si poteva finalmente inaugurare il nuovo Ospedale Zappatoni di Cassano.  Secondo la pianta originale, al piano terreno trovavano sede una sala per militari (7 letti), una per malati cronici (7 letti) una per i paganti (4 letti); al piano superiore, una sala per malati chirurgici (7 letti) e un reparto per malati acuti (20 letti).  Nel corpo posteriore troviamo al pianterreno i bagni pubblici ed alcuni servizi; al piano superiore la camera operatoria e gli alloggi per le suore.  I così detti servizi igienici erano sistemati alle estremità dei corridoi.  Non dimentichiamo in proposito che l'acqua potabile arrivò in tutto lo stabile solo nel 1929 e che, ancora nel 1925, al pozzo nero, che andava svuotato ogni due giorni, si accedeva direttamente dalla cucina!  In compenso vi era una « bella e comoda lavanderia » e soprattutto « due grandi caloriferi » che finalmente ponevano termine all'epoca dei bernazzi, dei bracieri, delle stufe Franklin. Se si pensa che in quell'epoca il riscaldamento centrale era ancora un lusso di poche abitazioni, anche cittadine, si potrà facilmente valutare il pregio di questo servizio del nuovo ospedale di Cassano. Esso per altro aveva un difetto: si trattava infatti di un riscaldamento ad aria calda e spesso capitava che le bocchette, a livello delle sale di degenza, con l'aria portassero anche zaffate di fumo e di polvere, non certo igienici né salutari per i ricoverati.
Come si può arguire da questi brevi cenni, la nuova costruzione costituiva un enorme passo avanti rispetto alle strutture che l'avevano preceduta, tanto che per lunghi anni essa fu senza ombra di dubbio la più razionale soluzione ospedaliera esistente nel raggio di almeno 50 chilometri. Ma rimaneva pur sempre figlia del suo tempo.  La monumentalità delle sue linee esterne, celava un interno singolarmente povero. Le angustie economiche in cui era nato il nuovo ospedale non avevano lasciato molti margini all'amministrazione, tanto che, almeno agli inizi, il suo arredamento rimase né più né meno quello del vecchio edificio.  I letti denunciati erano 80 ma in realtà ne esistevano una quarantina; le lenzuola da 427 nel 1890, erano divenute 428 nel 1894; le coperte di lana erano passate da 62 a 85, i guanciali da 58 a 60; fra la « lingerie » i materassi di lana compariranno solo dopo il 1900.  Lo strumentario più specificatamente medico-chirurgico era timidamente aumentato;   in tutto l'ospedale c’erano solo due termometri clinici;   Ancora più paradossale ai nostri occhi può apparire l'esistenza di una sola siringa per endomuscolari.   Un'ultima pennellata sulla medicina dell'epoca ci viene dalla notizie che nello strumentario dell’ospedale esisteva una macchina tipo Grenel erogatrice di stimolazioni elettriche. Dobbiamo onestamente riconoscere che non siamo riusciti a sapere in cosa questa macchina consistesse ed a cosa fosse destinata.  Nel 1899 era arrivato a Cassano un distaccamento del Genio pontieri e l'ospedale si era visto nella necessità di riordinare la sala adibita sulla carta ai militari. La nuova incombenza strinse il cuore ai signori amministratori impegnati in una austera politica di economia: si premette sui farmacisti e sui medici perché in materia di medicine si prescrivesse poco e di poco prezzo, si dovette disdire l'abbonamento a quella « Gazzetta Sanitaria » che, nel vecchio ospedale, aveva portato una solitaria voce di aggiornamento scientifico.  Nel 1904 il periodo più critico per il nuovo ospedale si poteva dir superato: una maggior disponibilità economica permetteva di dare la carne ai ricoverati anche alla sera e ci si poteva permettere il lusso di istaurare la consuetudine, nuova per Cassano, di chiamare consulenti illustri per i casi e gli interventi più difficili.   Si poteva finalmente dare una collocazione dignitosa ai nomi dei benefattori. Nel vecchio ospedale essi erano ricordati in quadretti appesi al muro dello scalone e poi della stanza del segretario; ora risultavano incisi nel marmo ad opera dello scultore trevigliese Bottinelli, su di una lapide collocata nell'atrio d'ingresso.  Nel 1913 l'organico dell'ospedale era sempre poverello: segretario cassiere, agente di campagna a lire 900 annue; 5 suore di Carità per complessive 1000 lire annue; 1 infermiere, 1 infermiera, 3 domestiche a lire 649 ciascuno.  Durante la prima guerra mondiale l'ospedale vestì il grigio-verde, poiché, fin dai primi mesi delle ostilità, divenne sede di un ospedale militare di riserva che svolse egregiamente la sua opera, tanto da meritarsi alla fine del suo servizio (settembre 1919) un encomio solenne da parte del generale Cammarana, capo dei servizi sanitari dell'esercito.  Ma se una metà dello Zappatoni, quella « militare », procedeva così spedita, l'altra sua metà, quella « civile », continuava a dibattersi in angustie che le svalutazioni e le tassazioni di guerra non avevano certo contribuito ad alleviare.  Come ospedale militare di riserva, aveva conosciuto un periodo di intensa attività proficua anche sul piano economico; con le 9800 giornate di degenza annuale media, con la saturazione fin di 120 letti, con gli aiuti e le garanzie fornite dall'Amministrazione Militare, fino al 1919 non aveva avuto problemi. I guai cominciarono con la partenza degli ultimi militari il 5 settembre 1919: l'ospedale si vuotò e le sue finanze di fronte all'enorme aumento delle imposte cominciarono a vacillare.  All'inizio vi fu un tentativo di protrarre i rapporti con l'Amministrazione Militare dando ricovero ad ex-militari tubercolotici; ma fu un disastro! All'interno dell'ospedale essi generarono il caos fumando, bevendo, ignorando i regolamenti e dimostrando una rissosità che li spinse addirittura a richiedere l'espulsione del segretario.  Nel 1924  per la prima volta figurava nell'organico la figura di un medico-direttore proprio.  Il medico-direttore veniva nominato dall'amministrazione ospedaliera per un periodo di cinque anni; era il responsabile della conduzione medica e dell'igiene dell'istituto; doveva curare il servizio di ambulanza ed eseguire gli interventi di chirurgia ed ostetricia più elementari, nonché aiutare i consulenti in quelli più impegnativi; doveva, infine, dimostrare di avere competenza di analisi di laboratorio, di microscopia e di radiologia.
L'unico responsabile tecnico dell'ospedale era quindi tenuto almeno a conoscere i principali progressi che la Medicina aveva maturato nei primi anni del secolo. Medicina ed ospedale del secolo precedente richiedevano ben di meno al medico: nell'ospedale di Treviglio, nel 1874, si poneva come clausola per l'ammissione di un sanitario che «[…]  conoscesse e sapesse bene eseguire un salasso[…]>>.
Col regolamento del 1924, dunque, fece la sua entrata ufficiale nell'ospedale la figura del medico, ma essa rimaneva pur sempre una figura solitaria e ben si comprende come lo stesso regolamento ancora riversasse sulle spalle della superiora, una grossa parte di incarichi e di responsabilità. Le spettava infatti la registrazione di tutte le attrezzature dei reparti, il controllo del personale subalterno, la vigilanza sull'esecuzione delle prescrizioni, sull'andamento della cucina, del guardaroba e del servizio bagni pubblici.  Povera superiora! L'ospedale, dopo tutto, aveva circa quaranta letti ed essa poteva contare sull'opera di due, al massimo tre infermieri; le altre consorelle, nella tabella organica, avevano una ben precisa collocazione come guardarobiera, vegliatrice, infermiera e cuciniera.  Dobbiamo anche pensare che esse prestassero servizio in camera operatoria se nel 1926 lo stesso dottor Spizzi riportava una lamentela del chirurgo Della Torre «[…] perché, ai ferri, serviva una suora adibita in corsia a malati settici ».  Del resto anche la figura dell'inserviente risulta ibrida nel predetto regolamento se si pensa che gli competeva l'approvvigionamento della legna, la riparazione di rubinetti, il trasporto dei morti e... le mansioni di infermiere quando se ne presentasse la necessità.  Nel 1927  una circolare prefettizia sanciva l'apertura di una Sezione sanatoriale femminile; venne ricavata a spese del piano superiore dell'edificio ed aveva accesso indipendente.  Disponeva di trenta letti modernamente arredati, di un'ampia sala di soggiorno, di un gabinetto per analisi, di un servizio di radioscopia e di un impianto per ultravioletti.
Ma la scintillante medaglia di cui sopra aveva un rovescio. La sistemazione del Reparto sanatoriale aveva scombussolato l'interno dell'ospedale. Le povere suore si erano trovate il Consultorio adiacente al loro refettorio (donde una vibrata protesta della Casa Madre la quale invocava che « almeno » il loro dormitorio venisse sistemato in faccia alla camera operatoria); gli altri degenti risultavano compressi in una disdicevole promiscuità di sessi e di forme morbose, accomunati da un'ulteriore riduzione dei servizi. La Sezione sanatoriale non ebbe quella fortuna che si erano augurati i suoi promotori; non ebbe vita gloriosa né lunga poiché, già nell'agosto del 1933, nell'ospedale non vi erano più tubercolotici, smistati a Garbagnate.  Sempre nel 1927 un «ciclone» si abbatté su Cassano; alberi secolari vennero divelti; il tetto dell'ospedale venne per la più parte portato via e l'acqua inondò il piano superiore danneggiando in maniera cospicua il già scarso arredamento. Sembrava che anche la natura volesse accanirsi contro l’ospedale.  Nel 1928 il riscaldamento lasciava molto a desiderare; non solo vi furono lamentele perché il servizio bagni funzionava solo d'estate, ma si lamentava anche (il rilievo è dello stesso direttore) che l'antisala della camera operatoria fosse del tutto priva di riscaldamento. A seguito di pressanti ingiunzioni del Comune, il servizio dell'acqua potabile fu esteso a tutto l'ospedale.  Le Casse di Mutuo Soccorso erano comparse fin dall'inizio del secolo quale risposta dell'iniziativa privata ad un vuoto legislativo in un campo sociale che andava cambiando rapidamente.  A Cassano, la Società Operaia di Mutuo Soccorso fu fondata nel 1882; intorno al '21 era sorta quella Mutua Sanitaria Volontaria con la quale lo Zappatoni si era convenzionato. Con l'avvento del Fascismo essa fu ben presto sostituita dalla Mutua Sanitaria Fascista, seguita dalla Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali ed infine dall'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.  Questa nuova forma di assistenza sanitaria comportò un vero e proprio terremoto nell'istituto ospedaliero che era rimasto prevalentemente incentrato sull'assistenza di una particolare categoria sociale: i poveri. Ora, con l'avvento della Mutualità, le porte dell'ospedale si aprirono praticamente a tutte le categorie; le garanzie economiche fornite fino ad allora dalla beneficenza passarono in seconda fila rispetto a quelle offerte dalle Assicurazioni sociali.  E così, nell'ambiente ospedaliero, giunse una nuova figura di paziente: il mutuato.  Sarà una fatale combinazione, ma è da questo periodo che, fra le carte dell'amministrazione, cominciano a comparire scritti di tal fatta: «[…] mia figlia è stata medicata con garza sporca di sangue ed è stata trattata come un cane (1925)... mi sembra che i due dottori non siano affatto affiatati; ed intanto chi soffre è l'ammalato e chi spreca i soldi è la famiglia, il Comune, la Mutua (1926)[…] gli infermieri distribuiscono cibo scarso ed immangiabile (1927) ».  In occasione del secondo conflitto mondiale, lo Zappatoni non fu impegnato in servizi di guerra come nel 1915-'18, ma fu la guerra stessa a venirlo a trovare. Il 9 agosto 1944 un mitragliamento aereo sul tram in partenza da Cassano portò all'ospedale 17 feriti gravi ed altri gliene vennero da una nuova azione il 10 dicembre dello stesso anno. Gli echi della lotta partigiana gli arrivavano sotto forma di ingiunzioni da parte del Comando tedesco a voler denunciare tutti i feriti da arma da fuoco provenienti da azioni di guerriglia.  Gli anni del dopoguerra furono difficili per un'Italia ancora coperta di macerie, con molte piaghe aperte, disorientata fra l'ieri, l'oggi e il domani.  All'inizio di questo nuovo ciclo storico, la situazione dell'ospedale poteva dirsi pressoché fallimentare; al punto che, ancora una volta nella sua storia, nessuno voleva assumersi la responsabilità della sua amministrazione. Vi erano da liquidare delicate situazioni connesse col periodo fascista; in cassa non vi erano più liquidi tanto che mancava perfino il carbone per cucinare; incombevano problemi urgenti come il riattamento di stabili di campagna, proprietà dell'ospedale, danneggiati dai bombardamenti. Vi era il grosso problema di come pagare i dipendenti: a stento si poteva far fronte allo stipendio del direttore, tantoché, in deroga delle disposizioni del 1927, gli si concesse anche di ricoprire la carica di medico condotto. L'onere di un segretario risultava proprio insuperabile per cui si dovette ripiegare sulla formula di una collaborazione estemporanea da parte di un dipendente comuna il quale dava l'opera sua alle cose dell'ospedale, nelle ore serali o nei giorni festivi, obbligando lo stesso presidente a stendere  spesso i verbali delle assemblee e le pratiche amministrative.  Non parliamo poi dell'assetto interno: il piano superiore era più o meno occupato da cronici, ed al pianterreno, in forzata promiscuità, malati acuti e pazienti chirurgici si mescolavano alle puerpere e ai neonati del Reparto Maternità inaugurato nel 1942 ed intitolato al cavalier Corsini. Il montacarichi per le vivande era ancora azionato a mano, e mani e braccia volenterose portavano su e giù per le scale le lettighe degli operandi che dal pianterreno dovevano salire alla camera operatoria che era situata al piano superiore.  Quest'ultima, poi, era ancora priva di un impianto di sterilizzazione proprio e la sua dotazione in fatto di ferri chirurgici, era tale che il dottor Agliati che veniva da Vaprio (anche in bicicletta data la carenza della benzina) una o due volte alla settimana, spesso era obbligato a portare i suoi. Se si voleva il ghiaccio, infine, bisognava andarselo a comprare a Treviglio!  Non si finiva di determinare una retta di degenza che, subito, essa andava ritoccata; e con essa gli stipendi ai dipendenti, l'assegno alle suore, il compenso al parroco per le messe festive.   E così, si cominciò dal poco, recuperando dai residui lasciati dai Tedeschi un frigorifero, un microscopio, un apparecchio di marconiterapia; si comprò un nuovo apparecchio radiologico, un letto operatorio; si fornì finalmente la camera operatoria di una sterilizzatrice propria e della luce ausiliaria; si fecero rifacimenti interni dando ordine ai servizi di analisi, di ambulatorio, delle cure fisiche; si decise anche di «[…] verniciare letti e sedie ormai arrugginiti ed indecorosi ».  Erano tempi nei quali (1949) l'I.N.A.M. sentiva il bisogno di precisare agli ospedali che la somministrazione di penicillina doveva considerarsi compresa nella retta dei suoi assistiti;   tempi nei quali si era disposti a pagare di tasca propria per usufruire dell'anestesia fatta con la « puntura americana » (Penthotal). Si può ben immaginare quale nuova problematica incombesse in forza di tutto ciò sugli ospedali di allora, e in quali acque agitate essi dovessero dibattersi.  Molti dei problemi apparivano superati, ma altri se ne presentavano con caratteri di pari urgenza, e il primo punto dolente era rappresentato dai malati cronici. Si trattava di una presenza che di fronte al progressivo qualificarsi del nosocomio si faceva sempre più stridente, e non era presenza da poco se si pensa che, ancora nel 1962, essa rappresentava il 40% di tutti i ricoveri ospedalieri. Nei periodi invernali l'ospedale era letteralmente esaurito da poveri vecchi i quali più che di cure avevano bisogno di assistenza; i locali loro adibiti finivano per rappresentare nel contesto dell'istituto un qualcosa di autonomo, di tristemente indecoroso ove, spesso, non si aprivano nemmeno le finestre per non turbare l'equilibrio vacillante dei degenti.   La situazione era critica ed ormai manifesta anche ai più; lo stesso parroco premeva sull'amministrazione perché si addivenisse finalmente a una razionale sistemazione di questa categoria di bisognosi. E così, dopo che se ne era parlato fin dai primi anni del dopoguerra, prese corpo ed andò a buon fine l'iniziativa di costruire una Casa di riposo.   Per almeno cent'anni la cura dei ricoverati nello Zappatoni fu affidata all'opera dei medici condotti di Cassano: prima (1821) « vivamente raccomandati » e poi (1874) « doverosamente tenuti » a questo compito. Come tali essi percepivano un unico stipendio dal Comune, ma, fin dalle origini, l'amministrazione si era resa conto che era opportuno interessare » l'opera loro a favore dei ricoverati, ed aveva per ciò stabilito che ad essi spettassero lire 6 per ogni forestiero ricoverato. Verso la fine del secolo alcuni ospedali più dotati già corrispondevano ai medici condotti un più sostanziale riconoscimento dell'opera loro, sotto forma di veri e propri salari e di agevolazioni negli alloggi.  Presso l'ospedale di Treviglio ad esempio, nel 1874, ai medici condotti della città venivano corrisposte 127,42 lire annue e l'alloggio gratuito.  Nei piccoli centri come il nostro, tutto era ancora incentrato nello stipendio comunale, stipendio che nel 1908 a Cassano era di 2250 lire annue. I medici potevano contare su piccole quote addizionali derivanti questa volta non più dai « forestieri » ricoverati ma da quella categoria di « paganti in proprio » che era stata istituita verso la fine dell'800, ma evidentemente la situazione era precaria se, nel medesimo anno (1908) l'amministrazione dello Zappatoni era costretta ad ammettere che i medici, dopotutto, prestavano la loro opera all'ospedale quasi gratuitamente e che ciò costituiva senza dubbio un grave pregiudizio per le loro possibilità di aggiornamento professionale.
Il primo vero stipendio ospedaliero comparve a Cassano nel 1925 in occasione della nomina del primo medico esclusivamente destinato alla cura dei ricoverati; si trattava di 6500 lire annue e questa cifra confrontata con quella di 6300 che nel medesimo anno veniva data all'infermiere ci dice come ancora nelle menti degli amministratori perdurasse la visione di tempi nei quali, ai fini dell'assistenza vera e propria dei ricoverati, l'opera dell'infermiere finiva per essere preminente nei confronti di quella del medico.  Gli infermieri di Cassano sono praticamente nati dal cuore della stessa popolazione, per l'opera disinteressata ed altruista di quelle brave persone che si prestavano ad assistere i bisognosi nelle loro stesse case fornendo loro quanto era più o meno suggerito dalla tradizione familiare stessa.  Non è senza significato in tal senso il fatto che l'infermiere del prímo ospedale dormisse nella stessa camerata dei pazienti, fosse tenuto a sostenerli con le buone parole ed a recitare per loro il Rosario prima del riposo notturno.  Le amministrazioni riconobbero ufficialmente questa posizione e per oltre cent'anni lo stipendio dell'infermiere fu di gran lunga superiore a quello previsto per l'opera del medico nell'interno dell'ospedale. La stessa popolazione, anche fuori delle mura dell'istituto, non rifuggì dal ricorrere all'opera del « signor infermiere » per pareri, cure e assistenze domiciliari.  Anche per le suore i tempi scorrevano velocemente; dalle loro divise erano scomparsi i famosi « cappelloni » ad ali spiegate e tutto l'Ordine si trovava in progressiva difficoltà nel mantenere negli ospedali quella preziosa presenza di religiose che tanta parte aveva avuto nella storia degli stessi.  I locali che per effetto di questo trasloco si liberarono nel vecchio edificio furono in parte utilizzati come nuovi reparti di degenza (che portarono a 140 i posti letto del nosocomio), in parte per la costruzione della nuova cappella.
Si doveva fare i conti con una Medicina sempre più industrializzata e tecnicizzata che proponeva novità e progressi a ritmo crescente ed a costi sempre più elevati; si registrava un preoccupante aumento della spedalizzazione nei confronti della prevalente assistenza domiciliare che aveva caratterizzato i tempi precedenti; si aveva a che fare con una Mutualità che, quanto a forme e numero di Enti Assistenziali, aveva raggiunto livelli critici.  In questo pletorico divenire e sotto la pressione di costi sempre maggiori le Mutue avevano finito per impantanarsi in una situazione economica sempre più fallimentare, nella quale i crediti degli Enti Ospedalieri raggiungevano cifre astronomiche.  La Legislazione vigente non appariva più adeguata alla nuova problematica ospedaliera e poche novità in senso assoluto avevano portato l'istituzione del Ministero della Sanità nel 1958 e la comparsa di alcuni provvedimenti normativi nel 1954.  Sotto la pressione di questa situazione nazionale e dopo non poche vicissitudini politico-sindacali finalmente nel 1968 compariva la LEGGE MARIOTTI (12 febbraio 1968, n. 132).  Quando comparve la legge Mariotti, la situazione ospedaliera nazionale fu, in un certo senso, congelata, nel senso che fino all'avvento della programmazione ufficiale venne vietato ogni lavoro di rifacimento o ampliamento dei nosocomi già esistenti. La cosa mise in imbarazzo molti Enti perché era chiaro che la programmazione stessa, la qualificazione dei vari ospedali e di conseguenza il piano di aiuti economici avrebbe tenuto conto della consistenza e delle caratteristiche degli Enti in quel momento.  L'amministrazione dell'ospedale si mosse con sagacia e tempestività, riesumò vecchie pratiche e autorizzazioni e riuscì a far approvare l'ampliamento dello Zappatoni entro i termini fatali. L'ospedale Zappatoni di Cassano d'Adda fu conseguenzialmente dichiarato Ente ospedaliero e qualificato, nel 1969, come Ospedale Generale di Zona.  Grazie dunque a questa azione tempestiva, un bel giorno arrivarono le ruspe e il 20 aprile 1969 si poteva procedere alla posa della prima pietra del nuovo edificio che avrebbe completato ad H la precedente struttura.  I primi degenti entrarono nell'ala nuova il 21 aprile 1972, tre anni giusti dopo la posa della prima pietra, ed entrarono in un edificio non ancora completo nelle sue strutture e nel suo arredamento.






 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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