Menu principale:
La Società Tarquiniense d’Arte e Storia, che ringrazio per l'autorizzazione alla divulgazione di questo contenuto, è Ente Morale per decreto del Presidente della Repubblica (n. 23 del 1973), ed è tra le Società culturali e di Storia Patria riconosciute dal Ministero per i Beni Culturali ed è inserita nell’elenco delle Associazioni culturali della Regione Lazio.
Tra i suoi scopi statutari, quello di valorizzare il patrimonio storico, artistico e letterario di Tarquinia – promuovendo iniziative finalizzate alla tutela e alla conoscenza della cultura cittadina e del suo territorio, e dell’Alto Lazio.
Possibile erede delle finalità statutarie della Società Archeologica di Arte e Storia, antico sodalizio istituito nel 1763, viene fondata nel 1917, dall’archeologo siciliano Giuseppe Cultrera, primo direttore del Museo Archeologico Nazionale. https://www.artestoriatarquinia.it/
https://www.artestoriatarquinia.it/wp-
https://www.artestoriatarquinia.it/wp-
“Beato si può dir che sia colui ch’impara il viver suo a spese altrui”. Con questa massima si apre uno dei numerosi registri degli infermi dell’Ospedale di Santa Croce di Corneto, custodito presso l’archivio storico dell’Ospedale civile di Tarquinia. Fin dal 1600 erano tenuti appositi registri in cui venivano segnati i dati anagrafici e le cause del ricovero dell’infermo. Fin dall’antichità esistevano in Corneto numerosi ricoveri per malati, ed il primo di cui si abbia notizia è quello di Santo Spirito in Sassia, gestito dai frati dello stesso Ordine. Nel 1447 iniziò la costruzione di un nuovo ospedale la cui erezione venne ricordata da una epigrafe situata sulla porta d’ingresso: “1447. Pietro di Matteo, nominato da Nicola V, Pontefice Massimo, curò questo ospedale, cui dette inizio da Priore e che terminò da Precettore di tutto l’ordine generale di S. Spirito”. Sempre nello stesso periodo fu eretto l’ospedale di S. Giovanni Gerosolomitano appartenente all’ordine degli Ospedalieri di Malta. Di questo ospedale si hanno poche e discordanti notizie. Ordini monastici e ospedalieri e varie Confraternite gestivano a Corneto altri luoghi di ricovero: l’Ospedale della Misericordia; l’Ospedale di San Clemente; l’Ospedale delle Repentite; l’Ospedale di Santa Caterina. Questi luoghi erano considerati tuttavia solo come centri di accoglienza per anziani e pellegrini in quanto di veri e propri ospedali si possono citare solo l’Ospedale di Santa Croce e quello femminile del quale non ci è stato tramandato correttamente il nome. L’Ospedale di Santa Croce fu fondato da Arcangelo Carli, Mario Cerrini, Gabriele Polidori, Scipione De Alexandris, tutti cornetani i quali contribuirono economicamente alla sua erezione avvenuta nel 1530, anche se alcune leggende la fanno risalire alla fine del 1000. Gestito inizialmente dalla Confraternita del Gonfalone di Corneto, fu ceduto dalla stessa Confraternita al Comune che lo gestì fino al 1586, tramite i Regolari di San Giovanni di Dio. Nel 1570 Pio V aveva affidato a Fra Rodrigo Segunte dell’Ordine di San Giovanni di Dio di Granada la gestione degli ospedali in funzione o da fondare a patto che i frati vivessero e operassero secondo la Regola di S. Agostino. I Sacerdoti, il rettore ed i confratelli dovevano sottoporsi alla regolamentazione giuridica del vescovo locale, erano tenuti a giustificare le elemosine ricevute per l’ospedale anche se quanto riscosso era amministrato dagli stessi ecclesiastici. Il 12 maggio 1576, Papa Gregorio XIII sancì che tutti i fedeli, senza distinzione di sesso o di classe sociale, potessero essere accolti in ospedale per farsi curare. “... Facciano a gara di carità per curare gli infermi, cercando in essi il vero Cristo e, nelle piaghe dei malati, le piaghe di Cristo”. Gregorio XIII dettò alcune regole anche sul funzionamento dell’ospedale: “I pazienti debbono soggiacere all’ordine delle persone incaricate [...]. Venuto l’infermo e messosi a letto, si inviti e si appresti alla confessione [...]. Gli si taglino i capelli e le unghie e gli si lavino le mani, i piedi e tutto il corpo con acqua tiepida, o come parrà al medico. Gli si faccia vestire una camicia bianca ed una berretta e si metta a letto con lenzuoli e cuscini bianchi e, se sarà necessario, si scaldi il letto. Dopo che sarà a letto, verrà un fratello che se ne prenderà cura ed annoterà in un libro tutti i suoi averi: nome, cognome, patria, se avrà moglie e non, con altre notizie necessarie e quando uscirà dall’Ospedale, lo si annoti a margine, e lo stesso si faccia se morirà. In caso di decesso tutto ciò che apparteneva al defunto, indipendentemente dalla quantità del valore, rimarrà in possesso dell’ospedale, in virtù di una antica consuetudine di questo Ordine religioso. Il medico visiterà i malati due volte al giorno e allora si suonerà una campanella, affinché accorrano gli infermi, speziale e barbiere. Ciascuno di essi avrà un libro dove verranno riportati gli ordini del medico sul mangiare, bere e prescrizioni mediche. L’infermiere maggiore avrà cura che sia adempiuto quanto prescritto; il fratello maggiore si procuri di assistervi [...]. Si esortino i malati a sopportare il male e le sofferenze come penitenza per i peccati. Ai deboli si diano energetici e quanto altro ordinato dal medico. Non si dimetta alcuno fino che non sarà ordinato dal medico e, se nell’ospedale ci sarà un luogo per convalescenti, vi si tengano alcuni giorni. Se non vi fosse un tal posto, si mandi ad altro luogo o città, ove saranno tali comodità [...]. Si abbia cura grandissima di aiutare a morire bene ed il fratello maggiore incarichi almeno un fratello di buon spirito e con lumi accesi, acqua benedetta e quant’altro usato in simili circostanze. Quando sarà morto, si tolga dalla corsia con un lenzuolo; con Crocefisso e candele e, recitando il Miserere, si porti in cappella e si predisponga il cataletto e, recitando il Responsorio, vi si lasci [...]. Ogni lunedì si reciti una messa cantata per le anime dei defunti in ospedale, e, se fosse festivo, si trasferisca detto obbligo il primo giorno libero [...]. Dove si è soliti ricoverare le donne, si predisponga un luogo separato, ove non possono entrare gli uomini, ad eccezione dei medici. Si prenda un’infermiera di almeno quaranta anni, dello stesso Ordine dei Fatebenefratelli, la quale si regolerà con le stesse norme dettate per gli uomini, alla quale sarà consegnato quanto sarà necessario. Alla visita delle malate si presenti sempre un fratello maggiore, il farmacista ed il barbiere”. Il 1 Ottobre 1588 il Papa Sisto V stabilì che i frati professassero un quarto voto, oltre ai tre già previsti: aiutare i poveri e i bisognosi. Stabilì inoltre che la Compagnia fosse denominata dei Fratelli di S. Giovanni di Dio e che i Frati si riunissero in un Capitolo Generale. Furono infine eletti il Generale, il Priore e altri superiori ai quali fu demandato il compito di visionare ed ispezionare gli ospedali. A causa delle pessime condizioni ambientali, nel 1590 i frati abbandonarono l’Ospedale di Santa Croce. Fu un duro colpo per la città e per il Comune che, in risposta al gesto, adottò una deliberazione nella quale stabiliva che per il futuro l’Ospedale non sarebbe stato più conferito a questo ordine. Ma nell’agosto del 1592 l’ordine fu revocato e l’ospedale venne concesso nuovamente ai Fatebenefratelli, stavolta a condizioni ben precise. Fu sottoscritta una convenzione nel palazzo del magistrato alla presenza di Nardo Benedetti, Raffaele Tubicina, Sante Raffaellis di Orbetello, del notaio Fabio Lelj e del Padre Priore. Il Gonfaloniere Antonino Risi e l’Ufficiale Comunale, Antonio Rota, firmarono per il Comune. Interessante da un punto di vista storico è la lettera al Monsignor Governatore di Viterbo con cui lo si informava del nuovo insediamento dei frati Fatebenefratelli nell’Ospedale di Santa Croce: “Illustrissimo e Reverendissimo[...] Monsignor Reverendissimo nostro Vescovo ci ha inviati alcuni Fatebenefratelli esortandoci a doverli ammettere al governo dell’Ospetal nostro di Santa Croce assicurandoci che loro si contenteranno come essi ancora ci hanno promesso che da noi li sia amministrata quella medesima provisione che altre volte della Comunità nostra gli fu destinata di cinquecento scudi l’anno oltre all’entrate di detto Hospitale, et che di più staranno sotto obbedienza di Vs. Illustrissimo et che loro siano deputati dui homini che li possino veder[...] loro; dove che habbino risposto a Reverendissima che avendo noi un decreto di Vostra Signoria Ill.ma che ci ordina che intorno a questo non dovranno eseguire altro stante necessità della Comunità nostra. Ma perché questo ci è parso un partito molto buono e necessario per servizio di questi infermi et la Comunità nostra non vi cresce spesa alcuna ci è parso darne ragguaglio a Vs. Ill.ma la qual ancora ne verrà avvisata da Mons. R.mo nostro Vescovo, perché parendogli che questa buon opera s’habbi a seguire ce ne voglia dar ordine revocando in tutto e per tutto il decreto fatto da Vs. Ill.ma in visita sopra questo particolare. Inoltre perché M. Antonio Coluzzello quale andò a Roma ad esaminarsi sopra la lite che habbiamo con il Sig. Viperesco ci promise che avrebbe mandato un altro ingelligente a rivedere i condotti sotterranei per mandarlo poi a Roma e farlo esaminare [...] et ancora non viene; però preghiamo che l’autorità sua ci aiuti con detto M. Antonio che ci voglia mandar subito detto huomo perché il tardare ci potrebbe nocere assai in negotio di tanta importanza. In Corneto addì 23 luglio 1592”. Dal punto di vista strutturale, l’Ospedale maschile era formato da due corsie ed una farmacia. Nella prima corsia si trovavano dieci letti, nella seconda invece quattro letti. La farmacia era ampia e funzionava come l’attuale pronto soccorso. Il corpo sanitario era composto da due medici, due infermieri, un priore, un vicepriore, un farmacista ed un barbiere. L’ospedale non accoglieva i fanciulli abbandonati, compito affidato all’ospedale di Santo Spirito, mentre i malati contagiosi venivano immediatamente inviati al lazzaretto nei pressi della chiesa di San Leonardo. I sifilitici venivano subito trasferiti tra i malati incurabili dell’Ospedale Minore di San Leonardo. Coloro che morivano in ospedale erano sepolti nel cimitero di San Giacomo. A San Giovanni invece, vicino l’ospedale di Santa Croce, esisteva un piccolo ospedale femminile. Era composto da due stanze con tre letti e la sua gestione era affidata ad Illuminata Fani. La rettrice dell’ospedale veniva eletta dalla comunità cornetana mentre le cure mediche erano prestate dai Fatebenefratelli. Nel 1729 il Procuratore dei poveri di Corneto fece istanza al vescovo Bonaventura affinché si provvedesse all’erezione di un nuovo ospedale femminile che avvenne successivamente. Era composto da due piani: al primo fu insediato l’orfanotrofio femminile, al secondo l’ospedale vero e proprio. La gestione del nuovo complesso fu affidata inizialmente ad una certa Vincenza mentre la cura religiosa al Prevosto Cesari. Fu predisposto anche uno statuto riguardante l’amministrazione dell’ospedale che prevedeva un Consiglio formato dal Vescovo, da due sacerdoti e da quattro consiglieri secolari. Nel 1818 l’ospedale, ormai deterioratosi, si trasferì in Via dell’Orfanotrofio e fu ampliato per ben due volte. Nel 1863 il Vescovo Bisleti affidò l’ospedale e l’orfanotrofio alle suore dell’Ordine di San Vincenzo dé Paoli. Analizzando i registri degli infermi dell’Ospedale di Santa Croce di Corneto scaturiscono alcuni punti. Innanzitutto veniva registrata solo l’entrata in ospedale dell’infermo e non l’uscita. In caso di morte veniva apposta, accanto al nome del paziente, la paternità (nel caso in cui il padre del malato era defunto veniva usato il termine “quondam”, gli anni, l’occupazione e la causa, molto sommaria, del ricovero. La calligrafia a volte cambiava anche nel giro di pochi giorni e questo lascia presupporre che non era sempre la stessa persona addetta a questo compito. Riportiamo dunque qui di seguito alcuni passi tratti dal registro degli infermi dell’Ospedale di Santa Croce di Corneto. Addì 9 lullio. Francesco figlio del quondam Antonio Stortino di Orvieto di anni 23 arte sua contadino venne tarantolato. Feline Antonio figlio del quondam Cintia Di Tommaso di Santo Felice Stato di Caserta di anni 40 arte sua vacharo venne con febre. Morto. Giacomino figlio di Domenico Di Francesco di Arezzo di Toscana di anni 21 arte sua contadino venne ferito; Addì 20 dic. Gio del quondam Bastiano Brinafino di Faenza di anni 23 arte di campagna venne col mal di petto; Addì 22 dic. Pietr’Antonio del quondam Sebastiano Franceschelli di Arcidosso di anni 37 ortolano venne con puntura. Morto; Addì 27 dic. Domenico del quondam Lodovico Carli di Faenza d’anni 40 arte di campagna venne con mal di petto. Morto; Addì 2 gennaio. Domenico di Giacomo da Pistoia d’anni 30 arte di campagna venne con febbre e stordito. Morto; Addì del 31 gennaio Simone del quondam Gio da Castelnuovo dioc. di Sistino di anni 60 arte di campagna venne con mal di petto, Rocco di Paolo Cionni di Pistoia di anni 23 vignarolo venne con febbre. Paolo Maria di Francesco di anni 25 calzolaio con piaghe in una gamba. Andrea di Francesco di Gio Caprese di anni 10 monello con Rossalia. Il termine un po' vago di “febbre”, o “febre” che contraddistingue il settanta per cento delle cause del ricovero si riferisce, presumibilmente, alla malaria o ad altre malattie infettive molto diffuse in questo periodo. La malattia causò molte vittime nel cornetano in quanto il clima caldo e umido ne favoriva lo sviluppo dell’infestazione anche se questo non ne costituiva una regola. Tra le malattie più diffuse in questo periodo bisogna menzionare anche la tisi, vocabolo oggi in disuso con cui si designava il periodo più grave e terminale della tubercolosi, malattia infettiva dei polmoni che ha fatto numerose vittime anche nel cornetano. Sulla morte, per tisi, di una donna abbiamo una rara quanto ricca documentazione:
“Noi sottoscritti Medici condotti in questa città, avendo visitata per obbligo del nostro impiego la signora Angela Rosa Marsuzi, abbiamo giudicato, e giudichiamo, che la medesima sia attaccata da un tabe polmonare del genere delle contagiose. Che è quanto, in fede Corneto 16 settembre 1802. Luigi De Bernardis, dico ed affermo mano propria, Ciriaco Camerari, dico ed affermo mano propria”. Sull’autopsia eseguita alla donna risulta questo documento:
“Sig. Vice Commissario di Corneto. Essendosi per ordine di questo tribunale sezionato il cadavere di Angela Rosa Marsuzi, morta col sospetto di tisichezza, si è da me sottoscritto medico osservato, che i di lei polmoni non erano più viscere spugnose, di una sostanza cavernosa e vascolare, ma bensì il destro lobo molto diminuito nella sua naturale mole era un intero ammasso di tubercoli, parte duri, e parte suppurantivo; ed il sinistro lobo era quasi interamente consunto da una icorosa suppurazione, e quella piccola porzione che restava, era ancora essa piena di tubercoli, che affatto ne avevano cambiato la naturale sostanza, motivo per cui sono certo parere, che donna Angela Rosa sia morta per una tabe tubercolare dei polmoni, di sua natura contaggioda, tanto posso e debbo deporre, ed affermare di averlo veduto, e toccato con mano, e di certa scienza. In fede Corneto 30 settembre 1802”.
“Ciriaco dott. Camerari medico condotto. Exhibitus die prima octobris. Petrus notarius et cancellatius criminalis. Nota. Di tutte le robbe rinvenute nella stanza, nella quale passò all’altra vita Angela Rosa Marsuzi sospetta di Etisia, come in appresso. Un letto composto da un materasso, pagliaccio, due lenzuola, tre cuscini con fodera, coperta bianca, tavoli e due banchi di ferro. N 11 quadri, n. 6 sedie, un lavamano di legno con sua baccinetta, un tavolinetto di legno con suo tiretto con entro un pettine e tre ciambelle, una polacchina di seta, un fazzoletto torchino da naso, un abito di Calangà, una tenda di seta gialla, altra bianca da finestra con soprafinestra di legno. Quali robbe furono chiuse di chiave nella medesima stanza e quelle portate in curia per ogni buon fine, presenti a detto atto Giuseppe Benedetti del quondam Luigi Cornetano, e di Antonio fr.lli da Caprarola testimoni chiamati e rogati. Corneto questo di 2 ottobre 1802. Così è Pietro Bovi notaro pubblico e cancellier criminale. Delle suddette cose dichiaro il medico a riserva de banchi di ferro, esser tutte sospette di contagio”. Proprio temendo il propagarsi del contagio, si diede inizio alla procedura per eliminare tutti gli oggetti venuti in contatto con la defunta.
“Illustrissimo e molto eccellentissimo Signore. Qui annessi troverà fogli che ci ha trasmessi riguardanti l’ultima malattia della defunta Angela Rosa Marsuzi; risultando da essi fogli il sentimento del medico di essere cioè suscettibili le robbe rinvenute nella stanza della defunta, si contenterà Vs. richiamare a se il medico curante e coll’assistenza di esso e del notaio di lei tribunale venire all’incendio delle suddette robbe suscettibili, ritornando a noi in seguito i fogli suddetti con quest’altri che sarà di fare sull’incendio riferito. Così farà, che siegna, e Dio la prosperi. Civitavecchia 12 ottobre 1802. Affezionatissimo per servirla. A. Negrete Governatore generale”.
Questa la lettera di risposta al Governatore Generale:
“Die 13 Octobris 1802. Comparse in cancelleria criminale signor Giuseppe Selli. Pervenutami in questo punto una lettera di Sua Eccellenza Reverentissima Monsignor Negrete Governatore di Civitavecchia, diretta a questo Governo, nella quale si commette di incendiare le robbe sospette di etisia inventariate nella stanza, in cui passò all’altra vita la fu Angela Rosa Marsuzi alla presenza del sig. Ciriaco Camerari medico curante, in data lì 12 corrente, che in un foglio esibisco del tenore, facendo istanza che li si dia pronta esecuzione”.
Appare chiaro come allora non si nutriva una certa fiducia nei confronti dell’ospedale e della struttura sanitaria in generale. Molta gente ricorreva alle cure mediche preparate in casa, in quanto la parola ospedale incuteva terrore e grandissimo disagio. L’elevato tasso di mortalità riscontrato era dovuto non tanto alla inefficacia dei medici quanto alle carenze strutturali ed igieniche che caratterizzavano gli ospedali di quel periodo. Ed anche allora non mancavano proteste e ricorsi. Ecco, in particolare una protesta ufficiale di un paziente rivolta alla “Segreteria Pubblica Maggistrale” della città di Corneto:
“Die 16 luglio 1804 ; E’ comparso nella Segreteria Pubblica Maggistrale della città di Corneto Luigi de Santis Birro della stessa città, il quale ha reclamato come appresso, cioè: nei primi giorni del corrente mese di luglio ebbi la disgrazia di andare infermo nell’Ospedale di S. Croce di questa medesima città, dove rimanendo curato dal Sig. Dott. Luigi de Bernardis, in vista della qual cura giornalmente mi faceva delle ordinazioni, ed in particolare di alcuni bocconi, che mai mi vennero dati, ma bensì delle bevande che, riconosciute dallo stesso Professore, il medesimo si formalizzò grandemente, avendo usata la prudenza di non parlare, ed oltre a ciò è rimarchevole che quel Priore ad ogni occasione mi diceva, che se il medico mi domandava se avevo preso le medicine ordinatemi gli avessi risposto di sì, conforme ero astretto di fare, attesoché alla venuta di esso medico, mi faceva cenno che avessi risposto di sì, avendomi in ultimo licenziato dall’ospedale con tutte le febbri, delle quali ne sono rimasto libero per un vero prodigio. Che perciò in vantaggio dell’umanità ne faccio il presente rapporto, affinché vi si appresti, l’opportuno riparo, potendosi sentire in contestazione dell’esposto, il nominato Sig. Dottor De Bernardis. Luigi de Santi. Davide Chiarini affermo quanto sopra”.
Riportiamo di seguito alcuni passi tratti da un registro degli infermi dell’Ospedale di Santa Croce di Corneto.
5 Ottobre 1813. Biagio Eusebio. Figlio delli defunti Domenico e Brigida di Farnese diocesi di Acqua Pendente professione guardiano, ammogliato entrò con cancrena nella coscia asserendo di essere povero e indigente. 6 Novembre 1814. E’ sortito da questo ospedale degli uomini di S. Croce il dicontro Biagio Eusebio. Appare morto alle ora 3 pomeridiana del suddetto male.
6 Ottobre 1813. Domenico Merlini figlio di Giovanni e di Maria diocesi di Macerata, anni 23 professione bifolco, giovane entrò con febbre asserendo di essere di condizione povera e indigente. 30 Ottobre 1813. E’ sortito da questo ospedale degli uomini di S. Croce il di contro Domenico Merlini, appare guarito dalla sua infermità.
17 Novembre 1813. Anastasio Meloni figlio delli defunti Giovanni e Margherita della Valle di S. Anastasio diocesi della Penna di Billo, anni 32, ammogliato con Maria Oliva, entrò con mal venereo, asserendo di essere di condizione povera ed indigente. E’ sortito da quest’ospedale degli uomini di S. Croce il di contro Anastasio Meloni. Appare guarito dalla sua infermità. Nel 1804, nel timore di una epidemia di peste, proveniente da territori limitrofi, furono adottati dei provvedimenti allo scopo di salvaguardare l’incolumità di tutte le popolazioni. Ecco lo scambio di lettere con cui si chiedeva l’isolamento dei presunti portatori del morbo: “Molto Illustre ed Eccellente Signore. Si è ricevuta la lettera di V.S. in data di ieri diretta a questo governo e consegnata dal capo Landi di codesta torre, in vista della quali li due indicati provenienti dalla Toscana sono stati posti con le debite cautele in questo lazzaretto inappresso ella invigilare, che introducendosi altri da simile provenienza non commercino con veruno, al che suppongo si saranno già dati gl’ordini corrispondenti da S.E. Reverendissima Monsignore. Mio governatore generale altro dovendole le auguro dal cielo ogni bene. Di V. Signoria. Civitavecchia 5 novembre 1804 Affezionatissimo per servirla Sua Eminenza Rev.ma Mons. Gov. Ge. G. Daligne Luogotenente Generale”.
“Illustrissimo e Molto Eccellente Signore. Ho ricevuto il rapporto originale dato in codesta cancelleria da Mattia Ajelli. Conviene ed interessa sommamente che ella faccia fare tutte le possibili indagini per riscoprire se in cotesto territorio trovasi Toscani introdotti clandestinamente. In caso affermativo Ella li farà immediatamente arrestare con tutte le robbe servate le cautele di Sanità, cioè senza che alcuno venga a contatto con i medesimi arrestati che saranno li trasmetterà qui con le medesime cautele.
Intanto le accludo Copia di Editto della Sagra Consulta. E Dio la prosperi. Di V. Signoria Montalto di Castro 19 nov. 1804 Commissario Corneto con Editto Affezionatissimo per servirla a Negrete Delegato Apost.
Ed ecco infine le “determinazioni” fissate dal governatore il 20 novembre 1804:
“Inerendo alle disposizioni dell’Editto della S. Consulta emanato li 17 andante oltre le Providenze prese dal Governo in una congregazione particolare si è stimato opportuno di fissare le determinazioni seguenti fermo sempre rimanente quanto nell’Editto suddetto prescrive. La Deputazione eretta di Sanità dovrà vigilare sopra tutti i forestieri, che dovranno introdursi in questa città e territorio ed esaminare i passaporti secondo le istruzioni che si daranno.
Tutti quelli che hanno delle persone in campagna addette al loro servizio, tanto direttamente che indirettamente, dovranno entro il termine di due giorni presentarne il ruolo alla cancelleria Criminale, col nome, cognome e patria ed esibirne copia conforme. Non potrà alcuno della giurisdizione benché Privilegiato, prendere al suo servizio alcun individuo proveniente da luoghi vicinori o lontani sia dello Stato, e molto meno senza licenza del Governo. Qualunque individuo che si sia introdotto nella città e territorio per servizio di chiunque, e da chiunque abbia ricetto debba denunziarsi immediatamente al governo. Finalmente e nonostante le provenienze suddette qualunque persona che non fosse di permanenza in città, benché addetta al servizio di campagna e che volesse entrare nella città stessa debba esibire alle Porte il Biglietto di sanità che verrà rilasciato dalla Segreteria gratis altimenti non avrà ingresso. Avverta pertanto ognuno di esattamente obbedire sotto le pene prescritte nell’Editto nominato, poiché in materia tanto gelosa si procederà col dovuto rigore contro qualsiasi trasgressore. L’Ospedale di Santa Croce si trasferì nel 1933 nel complesso attualmente operante. Il vecchio ospedale fu utilizzato come sede della Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.) fino a quando i bombardamenti della seconda guerra mondiale lo danneggiarono gravemente. Attualmente è utilizzato per abitazioni.