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Il contenuto della scheda proviene dal testo: Archivio storico per le province parmensi pubblicato dalla Regia Deputazione di storia patria -
Naturalmente la sezione è ben più ricca di quanto noi abbiamo riassunto
In appendice vengono riportati, in latino, gli Statuti dell'ospedale di San Lazzaro emanati dal vescovo Fulco, quelli emanati dal Monsignor Castelli ed infine la licenza Ducale a B. Boroni di potersi dedicare all'ospedale di San Lazzaro col privilegio delle esenzioni.
Forse è da collegare alla fondazione avvenuta nell'anno 1090 di un ospedale in onore dello Spirito Santo. Contemporaneamente a questo sarebbe sorto dalla parte opposta della città anche l'Ospedale della Misericordia. L'ospedale di San Lazzaro ebbe quindi vita, in rapporto alla denominazione, con destinazione specifica alla cura della lebbra in un'epoca imprecisata a che è da assegnare agli ultimi decenni del secolo XI o ai primissimi decenni del secolo XII, conseguenza diretta della prima crociata con tutti i caratteri di una istituzione di beneficenza locale diretta all'assistenza locale. Soppresso nel 1732. I documenti tutt'ora conservati, specialmente presso l'archivio del collegio Alberoni, ci sono sufficienti per abbozzare un profilo giuridico abbastanza sicuro che riesca più interessante, storicamente, delle menzioni dettagliate dei lasciti che troviamo in buon numero elencati nel corso del secolo XII e XIII. Vari beni vennero via via arricchendo l'ospedale che si manteneva oltre che per i lasciti di stabili e di capitali, per le elemosine ricavate nelle questue. Nel secolo XIII dovevano essere puoi essere attribuiti al nostro ospedale i beni dell'analogo ospedale di San Lazzaro di Fiorenzuola.
Sul principio del secolo XIII una notevole memoria ci viene data, dall'emanazione degli Statuti detti “nuovi” dell'ospedale, emanazione avvenuta nel 1214 per opera del vescovo di Piacenza San Folco Scotti: Statuti che traggono origine da controversie tra i preposti all'ospedale e gli “infermi” (così definiti in tutti i documenti) controversie che certamente erano causate dalla mancanza di precise regole, controversie, del resto, che si ripeteranno nel corso dei secoli.
I Conversi, fratres e soreres, dovevano promettere la povertà, la castità, l'obbedienza “catholico magistro” che è poi il Minister, e avere il consenso del coniuge o del padrone se erano sposati o se erano servi. Le regole sono assai minute per quanto si riferisce alle funzioni religiose comuni e all'ufficio, ai digiuni, all'abito, modesto, chiuso e solo aperto i lati, alla rigorosa separazione di casa e di mensa tra i due sessi, ai pasti comuni, al contegno nei dormitori, all'obbligo del silenzio; le norme sono assai caratteristiche e curiose.
È notevole osservare, per quanto si può desumere per una migliore conoscenza della vita e della natura canonica di questi Conversi, la graduatoria delle punizioni. Chi trasgredisce le regole, dopo la terza ammonizione data dal sacerdote del Magistro, per autorità vescovile delegata, e se non si corregge, il “Minister consilio fratrum” espellerà il colpevole.
I conversi non appaiono essere molti, nel 1372 in un atto che ricorda pure il frater ministro si nomina un solo frater converso. Un particolare interesse presenta un atto di dedicazione del 1496 per illuminarci sulla natura di questi conversi. Il Ractor della Domus e il procurator infirmorum, ricevono Lazono Granelli il quale servirà l'ospedale come famulo, promettendo fedeltà con le formule di carattere quasi feudale che si trovano di frequente e con particolari clausole per i suoi beni posti a Pontenure anch’essi offerti all'istituto e pertanto esenti e immuni. Poiché in questo conferimento di beni si nascondeva, con sempre maggiore evidenza nei secoli successivi, una finzione giuridica che tendeva a sottrarre alla giurisdizione civile non poche persone e soprattutto al fisco molti terreni qualificati come beni ecclesiastici cioè intestati a persone dedicate ad Enti Pii. Dedicate soltanto nel nome, in quanto nè residenti nè inservienti all'ospedale, ma pacifici agricoltori i quali ritenendo il possesso e lo sfruttamento completo delle terre offerte nominalmente in proprietà, tentavano di alleggerire così il loro carico tributario che non era lieve quando si trattava di beni accatastati ai rurali, limitandosi poi a fare piccole offerte in denaro all'ospedale. Particolari privilegi di immunità venivano di frequente concessi o rinnovati ad Enti Pii particolarmente cari alle autorità civili. Vari decreti del secolo XVI dichiarano però che questi dedicati devono essere trattati come gli altri e possono essere convenuti avanti i giudici laici. Comunque col tempo si deve essere venuti ad un accordo nel senso che si trovano elencati nei ruoli delle tasse comunali, ma con quote particolari, e inferiori anche questi Dedicati, laici non residenti, la cui posizione giuridica-
Gli “Infirmi” giuridicamente, i veri padroni dell'Istituto, muniti di particolari distintivi, dovendo essi portare costantemente sulle spalle e sul petto il “signum” in piombo del Santo titolare dell'ospedale, la Domus dava anche ad essi un mantello, un abito e poca biancheria. I lebbrosi nel 500 dovevano portare però abiti propri per non infettare gli altri malati. Il Vescovo poteva disporre per l'internamento diretto di questi malati contagiosi. Gli Statuti del Vescovo Fulco ci danno altre notizie secondarie di interesse disciplinare interno; l'esonero dal digiuno, gli abiti, le preghiere, il divieto di uscire dai confini della casa e di giocare a scacchi.
Gli Statuti del Mons. Castelli del 1579 sono assai interessanti anche per notizie riguardanti la vita interna dell'Ente e degli infermi: chi entrava come ricoverato doveva confessarsi e comunicarsi, nel refettorio Il più anziano degli Infermi doveva recitare le preghiere. Gli infermi non potevano uscire dall'ospedale senza il consenso del Ministro il quale doveva chiudere le porte alla sera.
Nel 1577 i disordini interni dell'ospedale non dovevano essere piccoli. Pare che molti infermi fossero stati espulsi e il comune si interessò perché venissero ripresi ad evitare che il contagio della Lebbra non si propagasse poiché pare, che non pochi fossero gli infetti dalla malattia che si tenevano celati: questi malati erano trattenuti nelle carceri vescovili nel 1578 e il Comune protestava negando la giurisdizione vescovile in proposito. Alcune persone, proteggendo due poveri espulsi dall'ospedale, fecero invadere “armata manu” il pio luogo, cacciandone il fattore, grave fatto al quale si oppose energicamente il vescovo Giglio, cui indubbiamente spettava l'alta giurisdizione sull'ospedale, intimando ai colpevoli un precetto di scomunica.
L'ospedale di San Lazzaro, decaduta la sua originaria funzione, subì un periodo di contrasti. Non che il numero degli ammalati e dei poveri fosse diminuito. Sarebbe piuttosto da osservare il contrario. Rileviamo che verso metà del Duecento gli infermi, uomini e donne per la massima parte provenienti dalla campagna, potevano essere circa 15, nella prima del metà del Trecento circa 20, con forte diminuzione sulla fine del secolo, non più di una decina; nel 1375 ne sono ricordati 21. Nel 400 e nel 500 si torna ad un numero oscillante tra i 10 e i 15, verso la fine del Cinquecento sono circa 20, una decina nel primo Seicento e una trentina sulla fine di quel secolo. Nel 1720 erano 64 i letti esistenti dopo un'importante ingrandimento del 1695, erano sempre occupati da malati oltre ai 20 poveri che abitavano in permanenza l'ospedale. Tutto ciò potrebbe meravigliare se si pensa alla soppressione avvenuta pochi anni dopo, se non si tenesse conto, probabilmente, dell'interesse del relatore di far apparire l'utilità dell'Istituto da lui amministrato e della tendenza di interpretare grossolanamente le statistiche secondo determinate direttive, tendenza che si verifica in tutti i tempi, se non si fa luogo ad elaborazioni critiche e a rilevamenti completi ed esatti affidati ad estranei, ciò che in pratica è difficile a riscontrarsi. Analogamente, sia pure in modo inverso si deve essere ragionato, quando si soppresse l'ospedale per far sorgere il collegio Alberoni. Il cardinale Alberoni scrive che trovò un miscuglio di uomini e donne di ogni condizione viventi senza regole e disciplina, risulterebbe che solo due volte all'anno, in occasione di purghe primaverili e autunnali, si riempiva l'ospedale di malati di morbi celtici e quali, peraltro, dopo una degenza di un mese per le cure più leggere, si allontanavano prima di prendere i rimedi mercuriali più energici, gente comunque, putride e disgraziate, fuoriusciti e malfattori lontani da ogni pratica religiosa.
L'ospedale di San Lazzaro era destinato ad essere trasformato. In altre città analoghe istituzioni avevano già terminata la loro vita per assorbimento in enti affini mentre in altre continuavano una modesta attività: la costruzione della grandiosa chiesa di San Lazzaro di Piacenza sembrava un indice di vitalità invece, nel 1732, il pontefice Papa Clemente XII con bolle del 1733 e del 1734, pur riconoscendo le benemerenze passate, con la motivazione della cessazione della funzione curativa e degli inconvenienti imputati all'ospedale lo soppresse in perpetuo come Ente, allontanando con il compenso di una pensione annua di 150 lire piacentine i poveri e gli impiegati e il rettore addetti al loro servizio, e poi la Commenda come beneficio; contemporaneamente si erige e si istituisce il Collegio sul quale nessun commendatario avrebbe potuto più avere giurisdizione. La prima costruzione iniziata nel 1732 terminò nel 1735 ma fu poi distrutta per le guerre che devastarono il territorio Piacentino. Nel 1746 si riprese la costruzione terminata nel 1751. Il Collegio iniziò così la sua esistenza fruttuosa nel 1752.
La dove per lunghi secoli la carità piacentina aveva provveduto alla salute di tanti poveri infermi assistendoli nelle loro miserie fisiche si erigeva un Istituto che avrebbe perpetuato in benedizione il nome di San Lazzaro e del suo Fondatore.