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Il contenuto della scheda è tratto integralmente dal blog https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.com/2018/05/il-
Verona, dopo Venezia e Milano, ritenne di dover provvedere all’isolamento dei portatori di malattie contagiose, che periodicamente infierivano su Verona, riunendoli in un luogo lontano dalla città. L’esperienza di precedenti epidemie sconsigliò di isolare gli ammalati all’interno dell’abitato o di dislocarli nelle sue immediate adiacenze, dove, quando imperversava il morbo, venivano ricoverati perfino nei cosiddetti casotti, costruzioni in legno allestite in fretta e furia per fronteggiare le impellenti necessità del momento.
L’occasione di istituire una apposita costruzione per isolare le persone infette da malattie contagiose si presentò nel 1539, quando l’amministrazione comunale si trovò ad avere a disposizione dei fondi provenienti dagli introiti dell’ospedale di Tomba che da tempo provvedeva alla prevenzione ed alla cura delle malattie contagiose.
Venne incaricato il priore per la realizzazione del progetto, avvalendosi dell’assistenza degli ordinari consiglieri e di tre cittadini, impegnandolo all’assunzione delle relative spese di costruzione. La commissione incaricata del progetto avrebbe dovuto riferire entro pochi mesi ma certamente più di una ragione ne ritardò l’esecuzione se solamente nel 1547, otto anni dopo, il Consiglio approvò il progetto e la località -
La costruzione del lazzaretto andò molto a rilento tanto che fu completata solamente nel 1628, ottanta anni dopo il suo inizio. Nel 1630, nei primi giorni dell’estate, due anni dopo la provvidenziale realizzazione dell’opera, scoppiò a Verona la grande epidemia introdotta da un soldato “con un gran fagotto di vesti comprate o rubate ai soldati alemanni” di nome Francesco Cevolini che prese alloggio in località S. Salvar Corte Regia. Dopo qualche giorno egli morì e seguirono la stessa sorte coloro che lo assistettero e curarono. In poco tempo il morbo, non riconosciuto e circoscritto, si diffuse rapidamente anche nei dintorni della città al punto che Venezia, seriamente preoccupata, mandò a Verona con pieni poteri il cavaliere Aloise Valleresso che una volta accertato trattarsi di peste, emanò, per arginare il diffondersi del morbo, una serie di severissime ordinanze. Chi si opponeva era “sotto pena di corda, bando, prigion, galera, confiscatione de’ beni, et anco della vita [...]”. La peste però, continuò a dilagare e la mortalità salì a un livello impressionante; coloro che manifestarono i primi sintomi della malattia furono caricati su barche e trasportati immediatamente al Lazzaretto che in poco tempo si riempì a tal punto da accogliere fino a 5.000 sfortunati ospiti. Le case funestate dalla peste vennero segnate con una croce e sbarrate dall’esterno; i sequestrati nelle case furono sostentati con quanto ricevevano calando con una corda la cesta dalla finestra.
Si ha notizia che a causa della peste morirono a Verona 33.000 persone su una popolazione di circa 54.000 abitanti. Un medico veronese Francesco Pona nel suo “Gran contagio di Verona” pubblicato nel 1631 descrisse con dovizia di particolare tutte le fasi della pestilenza e con raccapriccio si legge che sulle acque dell’Adige galleggiavano i morti; mancando “luoghi, modi e ministri per interrare i cadaveri ” fu deciso di gettarli nel fiume e abbandonarli alla corrente.
La paternità del Lazzaretto viene attribuita quasi unanimemente dagli storici al Sammicheli.
Una particolarità progettuale del Lazzaretto è stata l’attenzione all’acustica ambientale che permetteva, durante le celebrazioni eucaristiche dal tempio centrale, di udire distintamente la voce del sacerdote anche dalle celle poste agli angoli più lontani. Tutt’oggi questa caratteristica è ancora presente. La pianta del lazzaretto è di forma rettangolare orientata da est a ovest.
Due alte mura tagliavano longitudinalmente e trasversalmente l’area interna del Lazzaretto dividendo il cortile in quattro reparti, di forma trapezoidale, ognuno dei quali era uguale al suo opposto. La suddivisione in quattro sezioni permise la separazione degli ammalati a seconda della loro gravità; al centro dell’area troneggiava il tempietto.
Alla fine del 700 il suo uso sanitario cessò per essere successivamente destinato a deposito di polveri e munizioni. Il Lazzaretto riprese la sua funzione verso la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento, per dare asilo ai soldati degli eserciti austriaci e francesi, a mano a mano che venivano colpiti da malattie contagiose.
Successivamente, durante il periodo della dominazione Austriaca, il lazzaretto fu nuovamente utilizzato dalle autorità militari per deposito di esplosivi e munizioni e tale destinazione persistette fino alla fine della seconda guerra mondiale (1945). La sua struttura rimase intatta a eccezione della cupola del tempietto che alcuni storici riportavano già crollata agli inizi del 1900.
Nemmeno i tedeschi, nonostante avessero progettato di farlo saltare nel previsto momento della loro fuga, riuscirono a distruggerlo. Infatti, a causa della precipitosa ritirata non ebbero il tempo di mettere in atto il loro piano di smantellamento. Ciò avvenne per mano dei fascisti qualche tempo dopo come ci ricorda Giuseppe Silvestri che “rotte a colpi di mitra le porte si introdussero nel Lazzaretto, e dando fuoco agli esplosivi, determinarono la rovina del lato orientale.”
La distruzione completa però avvenne circa un mese dopo, il 20 maggio 1945. Una violenta deflagrazione distrusse l’antico edificio mentre al suo interno girovagavano decine di persone: alcune curiosavano intente a cercare qualcosa di utile, altre, incuranti del pericolo, rivolte al recupero dei bossoli dopo aver provveduto allo svuotamento dei proiettili. Nel tremendo scoppio, provocato dai presenti, per qualche incauta manovra nell’operazione di recupero dei bossoli, una trentina di persone persero la vita e con loro cadeva inesorabilmente al suolo la parte occidentale del lazzaretto. Dell’imponente costruzione del XVII secolo, rilevante esempio e testimonianza storica pressoché unica di architettura ospedaliera, rimasero solo tratti di fatiscenti mura e il tempietto in rovina completamente distrutto al centro dell’area che venne parzialmente ricostruito dall'Aprile a Novembre 1958 in occasione delle celebrazioni Sanmicheliane per i 400 anni dalla sua morte avvenuta nel 1559.