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Il contenuto della scheda deriva integralmente dal testo: Dalla carità al Credito – ricchezza e povertà ad Asti dal Medioevo all’800 – a cura di Renato Bordone – edito dalla Cassa di Risparmio di Asti – 2005.
Ringrazio la Direzione della Banca d’Asti per l'autorizzazione e condivisione all'uso dei contenuti.
Naturalmente ho dovuto riportare e condensare in poche righe un lavoro, ben più ampio ed articolato, contenuto in un volume di sicuro pregio, e credo anche di difficile reperibilità, che invito a leggere in quanto in esso ho trovato diversi passaggi che ricalcano, nel 700, molte situazioni di attualità.
Un ulteriore sviluppo della società del Corpus Domini si ebbe nel 1558, negli ultimi anni del pesante dominio spagnolo, quando alcuni mercanti di questa magnifica città, vedendo che molti poveri et miserabili infermi languendo nelle case e al fine morivano di necessitade senza soccorso alcuno, non avendo che per loro ricercare dalle persone aiuto, considerando le parole del Salvatore nostro ei sarano nel giorno del Iiudicio improperate in faccia: infirmus eram et non visitastis me, deliberarono di istituire il Pio ufficio della bussola dei poveri infermi. I rettori della compagnia del Corpus Domini, convocato il consiglio, dovevano eleggere ogni anno, la prima domenica di maggio, duoi rettori o sia theuraii d’essi mercanti che avessero cura di deputare due incaricati mensili che ogni sabato con una bussola (cassetta delle offerte) chiusa a chiave si recassero, dopo la fine del mercato, per tutte le botteghe dei Mercanti e artisti (artigiani) a raccogliere l'elemosina per i poveri infermi. Altri quattro incaricati si recavano in ogni parte della città passando ogni domenica presso le case delli gentil huomini con altre bussole, poi consegnate ai tesorieri. Altre bussole ancora, con su scritta l'indicazione “la limosina de’ poveri infermi”, erano infine collocate presso le chiese più frequentate. Tutte le somme raccolte venivano poi consegnate ai tesorieri che le registravano nel libro dell'ufficio; nel medesimo registro venivano anche indicati tutti gli infermi poveri ed alcuni altri poveri vergognosi, segnalati da informazioni “de reverendi Curati delle parochie et altri”, e ogni lunedì i tesorieri si recavano presso le case dei malati, consegnando loro, a seconda delle necessità, denaro e medicine e registrando nel medesimo libro il nome e il cognome dell'infermo e l'entità dell'aiuto prestato. Alla fine dell'anno i tesorieri presentavano a quattro ragionatori designati dalla Compagnia che rilasciavano ricevuta dopo aver trasferito le rimanenze nelle mani dei nuovi tesorieri. Come già la Confraternita di San Giuliano, anche la Bussola non aveva reddito stabile, all'infuori di una casa e di una bottega, lasciate in eredità da Giovanni Battista Schino, con una resa di circa 3 scudi e mezzo l'anno, e un capitale di 20 scudi pervenuto dal lascito del sacerdote Michele Ferraris.
La Bussola dei poveri, amministrata con efficienza dai mercanti artigiani della società del Corpus Domini, divenne in breve il principale organo di assistenza cittadino, specie nei difficili anni succeduti al dominio spagnolo e nel trapasso al poco amato governo Sabaudo. L'ospedale unificato di Santa Marta, soggetto all'amministrazione comunale, aveva subito nel corso del conflitto la distruzione dello stesso edificio, e col materiale ricavato dalle macerie erano state rinforzate le fortificazioni cittadine, sicché non è rimasta che la nuda proprietà del suolo; il comune per ricostruirlo aveva contratto un pesante mutuo e soltanto verso il 1580 era riuscito ad acquistare una casa abbastanza ampia con botteghe sottostanti, ma restava ancora ingente, nonostante si fosse da poco recuperata una piccola cascina in precedenza ceduta ai creditori. In realtà l'ospedale di Santa Marta e gli altri confluiti nell’ente unificato possedevano ancora “multa bona stabilia” dai quali si ricavano circa 300 scudi l'anno, amministrati da un fattore sotto il controllo dei magnifici domini magistri. Il fattore era stipendiato dall'ospedale con un compenso di 18 scudi annui e, insieme con un servitore, pagato 4 scudi, doveva provvedere affinché gli infermi fossero diligentemente assistiti e accudire la tenuta dei beni fondiari, rendendo conto annualmente della sua amministrazione ai magistri alla presenza del vescovo. Nel 1585 l'ospedale, tuttavia, si dibatteva in gravi difficoltà economiche, anche per la cattiva gestione dei suoi amministratori, sì che la Bussola finiva per supplire alle carenze dell'ente pubblico. Di tale situazione ebbe chiara contezza il visitatore apostolico che nel 1585 richiamò con severità all'ordine il responsabile dell'ospedale: risultava infatti che gli incaricati dal comune riscuotevano direttamente parecchi redditi dell'Ospedale per un totale di oltre 1700 scudi e che molti affittuari erano morosi per notevoli somme di denaro. Ordinò dunque la consegna dei libri dei conti dal cui esame risultò che il comune aveva stornato dai redditi dell'ospedale la bellezza di oltre 4300 scudi, destinandone 1760 in proprio usus. Proprio la “mala administratione” comunale dell'ospedale aveva dunque costretto i mercanti a ricorrere alla Bussola dei poveri. Siccome la normativa conciliare autorizzava l'autorità ecclesiastica a sottrarre ai Consigli Comunali l'amministrazione dell'assistenza, sotto tale minaccia il visitatore apostolico ammonì i consiglieri affinché cessassero le malversazioni e obbedissero ai precetti del Vescovo; riformò anche la composizione del direttivo dell'ospedale aggiungendo ai quattro magistrati nominati dal comune un Canonico della Cattedrale e uno di San Secondo, scelti dal vescovo di Asti, il quale a sua volta fu ammonito di vigilare meglio sull'amministrazione dell'ospedale tramite visite semestrali e revisione annuale dei conti. Nella stessa occasione ampliò le competenze dell'ospedale di Santa Marta imponendo l'accoglienza degli esposti, dal momento che non vi erano in Asti luoghi a ciò deputati: va detto che in seguito tale incombenza finì per diventare funzione precipua di Santa Marta che dal 1620 si caratterizza infatti come ospedale degli esposti. Alla fine del Cinquecento, comunque, l'ospedale offriva al piano superiore 9 letti abbastanza forniti, quattro dei quali, nel 1585, erano occupati da infermi, in un altro edificio separato venivano ospitate le inferme con una disponibilità di tre letti. Non avendo riscontrato spazi per ospitare poveri in salute separatamente da quelli infermi, il visitatore stabilì che fosse approntato un ulteriore locale con un numero di letti da stabilirsi, in quanto non era opportuno che i malati fossero disturbati dalla presenza di vagabondi o di pellegrini. In ogni caso tanti i poveri ammalati quanto i poveri viatores venivano accettati, come anche presso l'ospizio di Sangiuliano, soltanto se muniti di licenza scritta rilasciata dai magistrati.