AGRIGENTO Ospedale civile S. Giovanni di Dio - Ospedali d'Italia

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AGRIGENTO Ospedale civile S. Giovanni di Dio

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I contenuti di questa scheda sono presenti sul sito agrigentoierieoggi.it dei quali il Prof. Elio di Bella è autore e che si è reso prontamente disponibile nella condivisione del mio progetto

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L’ospedale di Agrigento, fondato nel 1235, svolse i suoi compiti istituzionali, sempre nello stesso edificio, fino al 1961 e cioè per ben 726 anni.
L’ospedale era destinato al ricovero di chi necessitava di interventi chirurgici od era affetto da gravi malattie, purché non fossero infettive (nel quale caso veniva imposto l’isolamento domiciliare o il ricovero in appositi lazzaretti in caso di epidemie come peste e colera). Non venivano altresì ricoverati gli affetti da malattie veneree.
Denominato indifferentemente come ospedale di S. Maria Maddalena, di San Giovanni Battista e del SS. Crocifisso, le più antiche notizie che lo riguardano sono del tempo in cui l’ordine monastico-militare dei Cavalieri Teutonici arrivò in Sicilia.
L’Ordine Teutonico aveva acquistato fama di essere difensore della fede cristiana e curatore dei crociati impegnati nella liberazione del sepolcro di Cristo fin dalla seconda crociata del 1149. Infatti, verso la metà del secolo XI, alcuni tedeschi di Brema e Lubecca, abitanti in Gerusalemme, aprirono un ricovero che esercitò molta carità a favore dei feriti e dei malati alla presa di S. Giovanni d’Acri. Si ottenne presto l’approvazione di papa Celestino III e dell’Imperatore e fu fondato l’Ordine di S. Maria di Gerusalemme dei Teutoni.
La fondazione ufficiale come ordine ospedaliero durante l’assedio di S. Giovani d’Acri è del 1180-90, la sua costituzione militare nel marzo del 1198 al delinearsi della terza crociata.
Un anno prima, nel 1197, l’Ordine ricevette dall’imperatore Enrico VI la ricca dotazione dei beni del monastero e della chiesa della SS.ma Trinità «La Magione» di Palermo, strappata con la forza all’ordine monastico dei Cistercensi.
La Magione di Palermo divenne allora un centro di raccolta di mezzi e di uomini polarizzati intorno alla Terra Santa e quindi posto logistico di rilievo per gli arrivi e le partenze, anche per l’ubicazione del vicino porto di Palermo.
Essa ebbe irradiazioni subordinate in tutto il Regno di Sicilia ed una di queste fu ad Agrigento, città dotata tra l’altro di un ottimo punto di approdo.
E appunto dal Tabulario della Magione, cioè dalla raccolta delle pergamene dell’antica chiesa, attentamente studiate dal Mongitore, dal Mortillaro e dal Rocco Pirri nella sua Sicilia Sacra, che risulta come nel febbraio dell’anno 1235, 8a Indizione, Urso, vescovo di Agrigento, concedette la chiesa di S. Giovanni Battista entro le mura della città, ai Cavalieri Teutonici e per essi a frate Enrico da Taranto, precettore delle Magioni di Sicilia dell’Ordine Teutonico stesso. Vi venne impiantato un ospizio per i Cavalieri e per i pellegrini alemanni che capitavano in quella zona.
Successivamente, al tempo in cui ad Agrigento imperava la nobile famiglia dei Chiaramonte, nel 1339, Giovanni Chiaramonte fondava un ospedale vicino l’ospizio dei Cavalieri Teutonici, lo dotava di grosse rendite, ristrutturava l’antica chiesa di S. Giovanni, dandole il titolo di S. Maria Maddalena ed affidava il tutto alle cure ed alla gestione dei Cavalieri Teutonici stessi. Quando le cose si misero al peggio per i Cavalieri Teutonici, dopo 29 anni di loro amministrazione, subentrarono i Cavalieri Gerosolimitani del Gran Priorato di Messina, che fecero il loro dovere per un trentennio continuativo. Sotto re Martino rientrarono i Teutonici nell’antico possesso con diploma dato in Catania il 7 gennaio 1397.
L’altalena continuò tra i Chiaramontani e Bernardo Cabrerà, che succeduto nel patronato della chiesa, un anno dopo richiamava gli Ospedalieri Gerosolimitani.
Questi gestirono l’ospedale per lunghissimo tempo e cioè finché durarono le fortune dell’Ordine. Ma quando nel 1522 vennero cacciati da Solimano dall’isola di Rodi, dove si erano ridotti, e si rifugiarono nell’isola di Malta concessa loro da Carlo V nel 1530, i contraccolpi di queste sconfitte arrivarono a farsi sentire anche nell’ospedale girgentino.
Mentre tramontava così l’influenza benefica del glorioso Ordine dei Cavalieri di Gerusalemme, un nuovo astro spuntava all’orizzonte per dare nuova luce alle vetuste stanze dell’unico stabilimento sanitario di Agrigento. Si trattava del grande Tommaso Fazello.
Tommaso Fazello, illustre storico, nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1498 e morto in Palermo nel 1570, domenicano, fu uno dei più famosi predicatori del suo tempo. Uomo di autorità, fu dieci volte priore del suo Ordine a Palermo e due volte provinciale di Sicilia. Scrisse il De rebus siculis decades duae, opera considerata, ancora oggi, fondamentale per gli studi sull’antica Sicilia.
Questo storico, nella quaresima dell’anno 1541 tenne un ciclo di prediche nella cattedrale di Agrigento. In tale suo soggiorno nella città egli dovette rendersi conto delle tristi condizioni in cui versava l’ospedale e ritenne suo dovere intervenire con tutto il peso del suo prestigio presso le autorità civili e religiose di Agrigento per migliorarne le condizioni.
 Come risulta da un atto del notaro Matteo Capizzi di Agrigento, stilato il 23 marzo 1541, «poiché l’antico ospedale sotto il titolo di Maria Maddalena esistente in questa Città di Agrigento, sorto per ospitare, alimentare e nutrire i poveri, gli infermi ed i bastardi di entrambi i sessi con le elemosine erogate dai fedeli «est fere derutum ita et taliter quod defectu reddituum et elimosinarum dictum hospitale caret lectis et mansiones dicti hospitalis non sunt abitabiles», i giurati della città di Agrigento, Matteo Pujades, Matteo Capizzi, Vincenzo Camarino e Giovanni Murria, «instigante reverendo magistro Thoma Faczello, Sacre Theologie professore», vollero «dicto hospitale rehedificare, reformare, augmentare» in modo che potesse ospitare e nutrire i malati, i poveri ed i bastardi di entrambi i sessi come avviene negli altri ospedali. A don Pietro de Aragona e Tagliavia, vescovo agrigentino, domandarono licenza per riedificare e riformare il detto ospedale, oltre all’autorizzazione a fondare una confraternita sotto il titolo del Crocifisso che avrebbe dovuto gestirlo.
Il vescovo autorizzò l’istituzione di questa confraternita, la cui data di nascita resta fissata il 23 marzo 1541. Tra i testimoni che controfirmarono l’atto, anche un «magnificus dominus Angelus de Straczando artium et medicine doctor». evidentemente doveva essere l’unico medico che in quel tempo esercitava la sua professione nell’antico ospedale.
Qualche giorno dopo, e precisamente il 1° aprile 1541, don Pietro de Aragona e Tagliavia, sempre con atto dello stesso notaro Matteo Capizzi, si impegnava a versare ogni anno e precisamente nel giorno della festa di Santa Maddalena, onze cinque a favore della detta Confraternita. Tali cinque onze erano il reddito che derivava al vescovo da un terreno di sua proprietà, posto in territorio agrigentino in contrada della Fontana, terre confinanti con quelle della «magnifica domina» Margherita Lo Porto.
Tale atto ebbe come testimoni lo stesso «reverendus magister Tomaso Fazello», nonché Geronimo Corbera e il nobile Iacopo de Montisoro.
La bolla del vescovo Pietro Aragona e Tagliavia, con la quale l’ospedale del Crocifisso veniva eretto in ente morale, è di un anno dopo e precisamente del 25 marzo 1542.
Vennero, pertanto, nominati i primi rettori dell’ospedale. Per gli uomini. Giovanni Di Marino, il magnifico Lisi Portuleva (Gerosolimitano), il magnifico Giovanni Lu Scamonio; per le donne: la magnifica Letizia di Lo Porto, baronessa di Sommatine, la magnifica Altobella di Calandrinis, la magnifica Lucia di Daiduni, la nobile Paola Xiarrabba.
Si poneva, intanto, il problema dei fondi per la gestione dell’ospedale. Il miracolo fu compiuto da Tommaso Fazello. Nelle sue prediche alla cattedrale di San Gerlando, egli certamente dovette quasi atterrire i presenti, sia i popolani come soprattutto i maggiorenti della città, descrivendo minuziosamente, quasi le avesse viste di persona, le pene a cui andavano incontro i poveri peccatori che sarebbero andati all’inferno. La descrizione fu così terrificante che i poveretti dovettero tirare un respiro di sollievo quando il domenicano, alla fine, li avvertì che avrebbero potuto essere emendati di parte dei loro peccati, devolvendo un congruo obolo in opere di bene e specificatamente in favore dell’ospedale che doveva essere ristrutturato. I risultati, infatti, si fecero subito vedere il  27 marzo 1542, il notaro Matteo Capizzi, in un suo lungo atto di oltre dieci pagine, scrive che «pro verbo dicti Reverendi predicatoris predicantis in pulpito dicte Catridalis Ecclesie die dominico et festivo, si aliqui vellent dotare, tradere et permictere dicto hospitali et Confraternitati aliquos redditus, infrascritte persone presentes et dotaverunt infrascrittos redditus dicto hospitali partim perpetuos et partim ad eorum vitae decursum».
Segue un lunghissimo elenco di nomi con le relative offerte. La lista era aperta dall’offerta del vescovo, di 5 onze; seguivano tutte le altre autorità civili e religiose di Girgenti, tra cui il castellano della città, Matteo Capizzi, Fabio Montaperto, Geronimo Corbera, tutti i canonici della Chiesa Agrigentina (Giovanni Pujades, Giovanni La Russa, Giovanni de Crescenzo, Giovanni de Gullo, Leonardo de Cardillicchia) nonché i giurati di Girgenti e tra gli altri l’«honorabilis Franciscus de Scalisio», aromataio (cioè farmacista), il quale molto modestamente si tassò per un solo tari…
Oltre a queste offerte, altri lasciti testamentari incominciarono ad arrivare in favore dell’ospedale. Si trattava quasi sempre di censi su case e terreni, di cui esiste una lunga lista che non mi sembra il caso di riportare. Ma non era sempre di censi che si trattava. Ed infatti dal testamento del ricchissimo Ottaviano Leonidi, di Firenze ma abitante a Girgenti, redatto in luglio 1555 dal notaro Giovanni Montefreddo    , si ricava da un elenco quasi interminabile di beni quali case, terreni, gioielli, mobili, libri, quadri, animali, armi ed altro (che il testatore lasciava in eredità a diversi individui) che l’unica cosa lasciata all’Ospedale della Maddalena fu «una cappa per cavalcari guarnita di villuto».
Dello stesso anno 1555, è l’ispezione della Chiesa di S. Giovanni e della Maddalena e dell’ospedale della città di Agrigento, da parte dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme.
Essa fu disposta dal Priorato dell’Ordine della città di Messina e fu effettuata dai frati Baldassare Bengiamo de Pancalex e Bartolomeo Vasco.
Oltre ad un lungo elenco di beni censuali descritto in 7 pagine fitte di scrittura, dal verbale di questa visita, riportato nell’atto del notaro Giovanni Montefreddo del 10 novembre 1555, si può rilevare una descrizione della cappella di S. Giovanni Battista e delle suppellettili dell’ospedale.
Queste ultime consistevano essenzialmente in dodici letti, di cui dieci segnati con le insegne della Famiglia Pujades e due no.
A levante della stanza, in cui erano sistemati i letti, c’era un altare maggiore ed a tramontana di detto altare la cappella di S. Giovanni Battista con due altari, uno per S. Giovanni ed uno per il Crocefisso. Il cappellano del tempo, fra Baldassare La Manda, aveva un salario di onze quattro annue; aveva a sua disposizione due stanzette con un poco di «cortiglio scoperto»; c’era, inoltre, la cucina per gli infermi. Ed infine verso mezzogiorno c’erano due campane, una di once 40 circa e l’altra di once 25 circa e poi un’altra piccola, di 5 once appesa ad una trave.
E’  ignoto però il motivo per cui si sia svolta questa visita ispettiva da parte dell’Ordine Gerosolimitano nel novembre 1555. Già cinque mesi prima gli ultimi Cavalieri dell’Ordine che si trovavano in Girgenti, Paolo di Fraberto, Battista La Caprera e Nicolò de Furnis, dietro licenza del loro Rettore, dimorante in Messina, don Claudio de Lasengle, a mezzo del suo procuratore Nicolò de Serio, con atto 11 giugno 1555 in notar Matteo Capizzi fecero donazione ai Giurati di Girgenti dei loro locali, istituendoli proprietari di tutti i loro diritti, frutti, proventi, rendite, emolumenti, terre, giurisdizioni, dignità, preminenze e poi, con altro atto del 21 aprile 1566, donarono tutti i loro mobili e letti all’Ospedale. Ed è appunto in tale data che si può considerare definitivamente conclusa la presenza dell’Ordine di S. Giovanni all’Ospedale di Agrigento.
Tra le tante donazioni o lasciti che pervennero all’ospedale di Girgenti, nel corso di oltre quattro secoli, ne esiste uno un poco particolare. Nel 1562 moriva il cav. Luigi Portuleva e con suo testamento del 21 novembre 1562 in notaro Giovanni Montefreddo istituiva l’ospedale del Crocifìsso di Girgenti suo erede universale, con un legato di onze 50 annue a carico dell’ospedale stesso da pagarsi ad una donzella tra le consanguinee discendenti dalle sue sorelle, per dote o di monacato o di maritaggio, allorché   sarebbe pervenuta all’età di anni 15 e con preferenza alla più grande di età tra le concorrenti.
Le notizie reperibili su questo legato Portuleva sono numerosissime e si tratta per lo più di azioni legali intentate contro l’ospedale da presunte persone aventi diritto, le quali, anche a distanza di tre secoli, ritenevano di essere le legittime discendenti delle sorelle del Portuleva.
I titoli di parentela col Portuleva comunque venivano rilasciati con sentenza della Gran Corte Vescovile di Girgenti e fu cosi, ad esempio, che il barone don Antonio Gangitano e Grillo chiese che a sua moglie, donna Marianna Velia, che era morta lasciandolo erede universale, venisse assegnato il legato di 50 onze, essendo la Velia consanguinea del Portuleva come risultava da sentenza vescovile del 12 dicembre 1815.
Nell’anno 1854 le pretendenti al legato Portuleva erano 14 ed accampavano pretese di parentela col Portuleva anche se di undicesimo grado.
L’amministrazione dell’ospedale pagò anno per anno le 50 onze del legato dal 1563 al 1841 e cioè per ben 278 anni; ma nel 1841, per motivi che allo stato attuale rimangono ignoti, decise di non pagarlo più.
Per il XVIII secolo, scarse notizie si deducono dall’esame delle visite vescovili fatte all’ospedale ed alla chiesa annessa.
Infatti dalle due visite fatte dal vescovo Lorenzo Gioeni, il 25 marzo 1732 ed il 24 aprile 1747  si ricava che le spese sostenute dall’ospedale erano essenzialmente quelle per il pagamento dello stipendio al medico, allo «spedaliero», quelle per medicamenti e compensi al barbiere ed alla lavandaia ed infine alle nutrici dei bastardelli; il tutto per un totale di circa 140 onze annue.
Notizie più precise si hanno del periodo dell’amministrazione borbonica. Per l’anno 1817, i documenti riportano che si ebbe il  rinascimento dell’ospedale», perché venne iniziato il libro degli introiti e degli esiti che non esisteva nella precedente amministrazione e vennero nominati un soprintendente, Giuseppe Sanzo, ed uno scrivano, don Gaspare Passarello.
L’Ospedale aveva molti censi su case e terreni (di cui è riportato l’elenco completo) ed era proprietario di 5 fosse granarie al caricatore di Girgenti. il principe della Cattolica, il marchese di Delia, il barone Vittorio Tramontana ed il marchese Contarmi versavano a vario titolo altre somme.
Nell’anno 1840 fu fatto un censimento assolutamente dettagliato di tutti i fabbricati urbani della città di Girgenti, al fine di stabilire l’entità della tassa fondiaria da applicare. Dall’esame di quei dati si ha una descrizione completa del fabbricato dell’ospedale. Lo stabile aveva tutto il prospetto rivolto sulla strada maestra, cioè sull’attuale via Atenea, ed era composto da un salone, due camere da letto, un camerino, camera da letto grande, anticamera, da un quartino di tre camere per l’infermiere e cioè sala, camera da letto e cucina, dalla cucina dell’ospedale, da una cameretta ed un camerino per il corpo di guardia, da un quartino per il Cappellano formato da due stanze, da tre botteghe, tre piccoli catodi ed una pagliera. Nel retro dello stabile, nella Salita S. Giovanni, l’Ospedale possedeva un giardino.
A proposito delle botteghe di cui sopra, deve dirsi che, nell’aprile del 1858, l’Intendente ordinò che non venisse fatto fumo nelle botteghe sottostanti l’ospedale perché questo disturbava i malati, E così pure quando venne rifatto a nuovo il prospetto dell’ospedale, i proprietari delle case sottostanti vennero obbligati a rifare i loro prospetti, naturalmente a loro spese, ai sensi del Regio Decreto 21 dicembre 1857.
Nell’anno 1844 finalmente, l’acqua potabile e per gli altri usi arrivò all’ospedale tramite acquedotto. Fino a quel momento, il rifornimento idrico veniva effettuato, come da tempo immemorabile avveniva, a mezzo barili trasportati dagli asini. Per la conduttura dell’acqua che, partendo dal cantone della casa dell’Intendenza sarebbe arrivata fino all’orto dell’ospedale, venne prevista una spesa di ducati 102,37 (11).
Un quadro preciso degli oggetti esistenti nel Civico Ospedale nell’aprile del 1851, riporta che questo era dotato di 291 tavole da letto, 190 scanni di ferro, 544 lenzuola, 126 paglioni, 80 coperte di lana, 55 copertine di barracano, 138 cuscini di lana, 212 salviette, 112 camelie (gavette), 105 posate, 100 boccali per acqua, 100 boccali per vino, 35 tavolini e 24 sedie.
Il 16 settembre dello stesso anno 1851, il principe di Satriano, comandante supremo militare in Sicilia, disponeva, per servizio dei soldati infermi della guarnigione ricoverati, un invio di 62 cuscini di lana, 56 lenzuola, 300 camicie, 20 coperte di lana, 300 berretti di tela, 100 berretti di lana, 100 cappotti di lana bianca e 76 sedie, nonché 300 pantaloni.
L’interessamento del principe di Satriano era dovuto al fatto che la massima parte dei ricoverati dell’ospedale erano militari. Ed infatti in una ispezione fatta nel nosocomio dal Brigadiere Generale Rossarol, vi furono rinvenuti 111 individui di truppa e 5 soli non militari. Per tali motivi il principe di Satriano scriveva all’Intendente di Girgenti, chiedendo che l’amministrazione dell’ospedale non fosse affidata esclusivamente alla Deputazione Civile ma che questa fosse integrata da un Commissario di Guerra e da un Capitano a scelta del Colonnello del 5° di Linea «anche perché nello stabilimento non manchino la disciplina e quell’obbedienza che i soldati sono usi a prestare soltanto ai loro superiori».
Riferendomi, pertanto, a tutto il periodo del governo dei Borbone, ritengo si possa tranquillamente affermare che l’ospedale civico di Girgenti, bene amministrato e controllato dagli efficienti Intendenti del tempo, ben sussidiato di mezzi e rifornimenti di ogni genere, svolse i compiti istituzionali per cui era stato fondato, non dando luogo a lamentele di alcuna sorta.
Nel 1862 il Comandante militare di Agrigento chiese al Prefetto il permesso di occupare la chiesa di S. Giovanni attigua all’ospedale, perché il numero dei ricoverati era aumentato e l’ospedale non era in grado di ospitarne di più.
Interpellato in proposito il Vicario Capitolare di Girgenti, Gaspare Gibilaro, rispose che la chiesa era mezza diruta ed umidissima, per cui non si poteva destinare ad ospedale senza grave dispendio della salute dei ricoverati se non dopo l’erogazione di ingenti somme per il suo ripristino.
Da un quadro statistico inviato al ministero dell’Interno nell’anno 1882, è possibile, infine, avere dati precisi sull’ospedale di Girgenti, a 22 anni di distanza dallo sbarco di Garibaldi a Marsala. In questo quadro l’ospedale veniva denominato «Civico» sotto l’antica denominazione del SS.mo Crocifisso e della Maddalena. Veniva chiarito che vi si accoglievano malati di ogni specie esclusi i paralitici o «accidentati» che non possono più avere rimedio; che la media degli ammalati che vi si accoglievano ogni anno, desunta dall’ultimo triennio, era di 166 poveri a carico dell’ospedale e di 455 malati a pagamento (civili, militari e di altri corpi organizzati dello Stato) e veniva chiarito che questi erano gli operai che lavoravano alla costruzione della nuova linea ferroviaria e al porto di Porto Empedocle.
Veniva, infine, chiarito che l’ammissione dei militari era cessata dal 1° ottobre 1881, stante essersi impiantata ad Agrigento l’infermeria reggimentale.

 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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