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Da: Rivista della beneficienza pubblica e d’igiene – 189…. Anita Malamani
L'ospedale degli Incurabili sorse a Pavia nel 1566 ad opera del nobile pavese A. Marco dei Conti Gambarana, dedicato esclusivamente al ricovero e all'assistenza dei poveri incurabili (per questo esclusi dagli ospedali) risolvendo un problema sociale che si era imposto a Pavia.
Nato verso la fine del XV secolo da nobile e antica famiglia si era presto acquistato fama di uomo colto tanto che era stato detto « Patriae urbis lumen ». La sua vita fu tutta dedicata all'assistenza di ogni categoria di bisognosi.
La donazione era a beneficio dei poveri infermi incurabili in primo luogo di Pavia, in secondo luogo del Principato, nel caso non ne esistessero in città, in terzo luogo « de forensibus »: secondo tale « ordine et modo » dovevano essere accolti gli infermi.
I redditi di questi possessi dovevano essere dispensati « ad usum et commodum dictorum pauperum infirmorum incurabilium pro victu atque medicamento».
Quanto al « governo », il testatore « ordinat et disponit » che l'ospedale e i redditi dei suoi beni vengano amministrati dal Viceministro e dalla Congregazione dell'ospedale S. Matteo e che sia eletta una persona « a que teneatur redditus distribuere et dispensare », la quale poi debba render conto, una volta all'anno, della sua attività alla Congregazione stessa.
Il documento imponeva poi che, nel caso fossero mancati infermi incurabili, i frutti dei beni fossero devoluti all'ospizio delle orfanelle di S. Gregorio, eretto nel 1547 su richiesta del Gambarana stesso e, « deficientibus dictis puellis » direttamente all'ospedale S. Matteo.
Si insisteva in modo particolare sulla questione dell'ingerenza ecclesiastica: infatti in maniera molto drastica il donatore disponeva che, se il Pontefice o qualunque prela-
Evidentemente le clausole aveva in vista le frequenti aggregazioni di istituzioni disposte dalla S. Sede e intendeva prevenirle.
Nel caso invece che una congregazione di laici si volesse prender cura dei poveri infermi, il Gambarana concedeva la sua approvazione e disponeva che la congregazione del S. Matteo trasferisse le sue attribuzioni alla nuova società. All'Ospedale Grande tuttavia rimaneva la « potestas visitandi, computta exigendi ac corrigendi excessus et dictam congregationem removendi». Agli amministratori spettava inoltre accogliere i ricoverati e scegliere se ne fosse capitato il caso, una sede più adatta e più ampia.
Quanto alla sede, dai documenti non risulta se la casa indicata dal fondatore come prima sede dell'istituto sia stata effettivamente occupata. Sicuro è però che più tardi l'ospedale si trova in contrada S. Maria in Pertica, dato che nel 1577 la signora Sacco Speciani stabilisce un legato a favore della casa dell'ospedale degli Incurabili posta nella parrocchia di S. Maria in Pertica»; prima dunque di tale data l'ospedale cambiò la sua sede e rimase colà almeno fino alla fine del XVII secolo.
Sembra fosse costituito da un unico dormitorio sopraelevato rispetto al livello della pubblica via, di considerevole lunghezza, con letti singoli da un lato e dall'altro. In mezzo però si elevava un altare che divideva il dormitorio in due sezioni: una per gli uomini, l'altra per le donne. Ad esse si accedeva da porte aperte da entrambe le parti dell'altare dove ogni giorno si celebrava una messa.
L’ospedale accoglieva malati « utriusque sexus » e il Giardini specifica che uomini e donne coabitavano separati.
Quanto al loro numero da una nota di pagamento del 17 ottobre 1585 del salario di un « lavandaro » calcolato sulla base del numero dei letti, si arriva ad una cifra di lire 99 (per l'anno 1584-
Per quel che riguarda l'ordinamento interno non troviamo nessuna notizia per questo secolo.
Quanto all'accettazione dei ricoverati si è visto come secondo le volontà del fondatore dovessero ricoverarsi prima gli incurabili della città di Pavia, poi del principato e, in mancanza di questi, i « forensi».
Ma questi « infirmi et aegroti» non devono essere ricevuti se prima i dodici « provisori dell'istituto o i quattro da loro eletti non avessero avuto la prova « per cedulam » da parte del loro notaio di aver di fronte realmente degli esclusi dall'ospedale maggiore. Nell'accettazione ha da essere dunque osservata la priorità prescritta: inoltre si ha da aver riguardo al grado di povertà e di « infirmitas » a discrezione dei « sig. dodici » e del medico.
Il « capitulum » mette in guardia dal cedere alle preghiere di chicchessia e di indulgere alla carità esagerando in misericordia.
Anche nel caso che in città si fermi un forestiero affetto da incurabile infermità e che costui non possa esser ricevuto dai « provisori » secondo le regole, allora, sempre sulla base della « cedula », i « signori dodici » potranno accettare tale ammalato.
Quanto al funzionamento non abbiamo documenti specifici; però da un brogliaccio ricaviamo che l'ospedale era governato da un viceministro.
Una nota dei « carichi ordinari dell'hospitale» ci informa che venivano retribuiti un « ospitaliero con moglie» e un chirurgo, 2 « lavandiere » e un sacerdote.
Il 19 maggio 1575 si assumevano come «infirmari» o ospitalari Gaspare de Vici con la moglie, i cui compiti erano di cucire e rattoppare panni di lino e di lana, e « facere omnia necessaria » per un salario di sei lire al mese oltre le « expensas cibarias ».
Un Antonio degli Ottini veniva assunto nel novembre 1583 per servizio come « ospitalario o infermiere » insieme con la moglie per un salario di 8 lire 12 soldi 4 denari.
Un G. di Muccia piacentino aveva un contratto nello stesso anno per lavare « linteamina, camisias, vitas, petias, tobaleas» e ogni panno con un salario di 4 lire per lettéria.
Nel 1593 entrava nell'istituto come infermiere Bernardo de Pisani coi soliti « onoribus et emolumentis » cioè 8 lire mensili.
Nelle spese cui l'ospedale doveva far fronte per sopperire alle necessità della sua vita interna, entravano retribuzioni ai padri di vari conventi incaricati di celebrare le messe quotidiane.
Ma l'istituto aveva anche un cappellano interno.
Quali differenze di mansione ci fossero tra tale cappellano interno e i sacerdoti esterni non è risultato chiaro.
L'ospedale teneva «in domibus » un forno che veniva regolarmente affittato: per tre anni dal 1593 a Pietro de Gualamini per 50 lire col patto però che cuocesse il pane per l'ospedale per soldi 9 al sacco.
L'ospedale aveva ottenuto vari privilegi tra cui tutti i privilegi e grazie concesse da papa Leone X nel 1515 all'ospedale degli incurabili di Roma.
Per quel che riguarda l'ordinamento interno possediamo il documento delle « regulae sive ordinamenta »: esso consta di una prologus» e dodici articoli in cui sono enunciate le norme per la « società del ridotto » cioè per il corpo direttivo; può essere pertanto considerato lo statuto dell'istituzione.
Richiamando gli insegnamenti evangelici, il « prologus » esalta « l'elemosina» (ossia la carità verso i miseri) che ci assicura un premio nella vita futura: l'assistenza della miseria altrui rappresenta dunque precisamente la prova di fedeltà che Cristo chiede ai suoi adepti, e in ogni povero si deve riconoscere Lui, il Cristo. Il bisognoso diventa quasi una « gratia et commoditas» per gli uomini che, aiutando chi ha bisogno, acquistano meriti presso il Signore; questo aiuto sarà reso centuplicato nella vita futura.
I « soci» del Ridotto, riconoscendo nella persona di ogni « infirmus et destitutus omni humana ope» la « persona» del Signore stesso, si impegnano a soccorrerlo con i « subsidiis » dovuti. Dalla volontà di ben organizzare questa « elemosina » nascono tutti i « capitula ».
All'inizio si dichiara che saranno ammessi alla « societas » indistintamente uomini e donne, tenuti a pagare un ducato ogni anno; il che costituirà l'unico patrimonio dell'istituto; quest'ultimo sarà pertanto gradito a Dio per l'assistenza che offre agli infermi abbandonati da tutti per le loro gravissime e lunghissime infermità (si che non occuparsi di loro significa ucciderli).
A capo dell'istituto saranno dodici « provisori » regolarmente iscritti che si riuniscano ogni mese ma in caso di necessità possano eleggere quattro a deputati i quali si riuniranno invece ogni settimana e avranno le facoltà concesse loro dai « provisori », eccettuata la facoltà di scegliere « officiales » e alienare beni immobili. I dodici « signori » avranno a loro volta un capo nella persona di un « priore» in carica per tre mesi:
tutti i signori dodici si avvicenderanno in quella carica. Ogni anno nel mese di dicembre devono poi essere eletti nuovi deputati e poiché la ricerca di persone adatte risulterebbe difficoltosa dato l'impegno che la carica comporta, si cercheranno i nuovi candidati tra tutti i « soci » della congregazione. I primi ad essere sostituiti saranno i quattro « in officio longiori tempore »: l'elezione dovrà avvenire alla presenza di tutti i « dodici ».
Il « ridotto », per il suo funzionamento avrà pure due « visitatori » eletti dal priore cui spetterà il compito di « visitare» l'istituto ogni giorno all'ora del vespro e di prospettare dopo colloqui con i ricoverati, le necessità dell'ospedale, i desideri e le « opportunitates» degli assistiti; tutto quanto inoltre sia opportuno, a loro parere, predisporre per un buon funzionamento dell'istituto e una buona assistenza spirituale e materiale degli infermi.
Il priore incaricherà inoltre altri due « visitatori » del delicato « ufficio » di apprestare gli aiuti d'ordine spirituale e « corporeo » a coloro che siano prossimi alla morte.
Della a societas » farà anche parte uno « scriba» nella persona di un notaio iscritto all'albo, eletto dalla maggioranza e tenuto in carica coi voti dei « signori dodici ».
I suoi compiti saranno quelli di un comune notaio, oltre all'obbligo di redigere il « libro» del Ridotto; non potrà però stendere un mandato o un « apodisia » di beni se non sia apposto sul foglio il sigillo dell'istituto, non gli sarà neppure lecito a fare procure o scrittura di alienazione di beni immobili se non per mandato dei dodici o di almeno nove di essi.
Per sei mesi e senza possibilità di riconferma, sarà eletto tra i « soci » un « capserio » che dovrà amministrare il denaro dell'ospedale, previa apodisia di pugno del notaio, con impressione del sigillo: verrà ogni mese controllato direttamente dai dodici o dai loro « deputati ». A lui verranno consegnate tutte le elemosine per l'istituto che saranno autenticate con il nome del donatore, dal sigillo notarile.
Per far partecipare all'organizzazione dell'ospedale anche le donne, vi saranno dodici a matrone vedove che avran cura del ridotto, e che eleggeranno due « prioresse »; queste ultime affideranno ad altre due l'ufficio di « visitatrici », parallelo a quello dei « visitatori ». Tutte insieme con i signori dodici si occuperanno delle necessità degli infermi.
Il problema della distribuzione delle spese minute sarà poi risolto da uno « spenditorem » scelto dai dodici e tenuto a render conto della sua attività.
Due « inquisitori » avranno il compito di cercare « a per vicos et voltas et alia loca » gli infermi, di informare il priore, il quale li sottoporrà alla decisione sulla base delle regole della accettazione o anche nel caso di espulsione.
Infine presteranno la loro opera anche un medico, un chirurgo, un sacerdote con l'obbligo della visita giornaliera; il sacerdote preferibilmente abiterà nel ridotto per aver cura delle anime, ascoltare le confessioni; dovrà invitare alle medesime i nuovi accettati: gli verrà concesso un salario di 50 lire oltre il vitto (a meno che non si offra per « amor di Dio »).
Al medico verranno date quaranta lire e al chirurgo venticinque (i quali onorari sembrano sufficientemente elevati).
Non si hanno più notizie nè di vicende intervenute nè di mutamenti di sede fino alla fine del XVIII secolo.
Per quel che riguarda la situazione finanziaria, non ci sono pervenute notizie di un aumento del patrimonio fondiario dell'ospedale: è lecito perciò ritenere che le sue entrate continuassero ad esser costituite dagli affitti delle varie possessioni del XVI sec.; non sappiamo neppure di altre donazioni o lasciti da parte di privati.
Allo stesso modo è lecito ritenere che l'Ospedale continuasse ad annoverare tra le sue entrate anche il diritto di questua che sappiamo aveva ottenuto nel XVI secolo.
I doveri degli assistiti infine si trovano delineati nelle « Regole ed ordini per il buon governo del P.L. Incurabili » che ci sono pervenute stampate in un documento del XVIII secolo: essi consistono in un elenco in cui prevalgono le proibizioni.
Il regolamento consta di 24 articoli; essi prescrivono per la maggior parte un rigoroso contegno morale e una scrupolosa osservanza dei precetti religiosi: tali norme ci illuminano sulla « indole» di questo « Pio Luogo ».
Uomini e donne indistintamente erano tenuti in tutte le feste principali a ricevere il « Santissimo Sacramento dell'Eucaristia »; non avevano la possibilità in linea di principio di confessarsi fuori dall'istituto; in caso di negligenza circa le confessioni e le comunioni di tali feste, venivano puniti con pene che dalla a reclusione in casa » arrivavano all'espulsione. Al mattino, al Vespro e alle ore fissate, un campanello chiamava gli infermi alle orazioni: l'inadempiente veniva privato per tre giorni della pietanza.
Per assicurare l'osservanza del regolamento era previsto un Assistente; era tenuto ad « invigilare acciò li trasgressori fossero irremissibilmente puniti »: aveva quindi compiti prevalentemente disciplinari e di controllo.
Tutti i ricoverati avevano inoltre l'obbligo della Messa quotidiana; a questo scopo erano state disposte panche in ognuna delle quali ciascuno conservava il suo posto: i più vicini all'altare erano riservati ai « ciechi ».
Era severamente vietato proferire « parole ingiuriose a Dio, alla Beata Vergine, ai Santi »: i bestemmiatori dovevano piegarsi alla penitenza « in presenza di tutti » ed inoltre erano privati del cibo, obbligati a compiere le più umili mansioni, e al « sequestro in Casa » per otto giorni.
Appena alzato, ciascuno doveva rifare il proprio letto senza farsi aiutare da alcuno. Spettava all'assistente concedere permessi d'uscita e stabilire le punizioni ritenute opportune a quanti non rientrassero in tempo per i pasti e le orazioni (« digiuno » parziale cioè privazioni del vino e del pane o « digiuno » totale).
Ciascun assistito aveva il suo mobilio nella propria stanza e gli era rigorosamente proibito portarlo fuori dall'istituto: anche per questo era previsto un controllo da parte dell'assistente.
Gli uomini e le donne stavano in ambienti separati ed era necessario un permesso agli uomini per entrare nei locali delle donne e viceversa: in caso di trasgressione essi rischiavano il « sequestro » per 15 giorni; le donne poi, in particolare, trovate a « parlare a persone estere» erano passibili di « licenziamento ». Quando qualcuno veniva ricoverato in gravi condizioni, l'assistente doveva riunire tutte le sue cose in una apposita cassetta e conservare la chiave per impedire che qualcuno si impadronisse di oggetti non suoi; in caso di morte se ne faceva un inventario da inoltrare al Viceministro.
Tutti dovevano obbedire al « signor Assistente » e rispettarlo. In caso contrario si commetteva un delitto che poteva esser meritevole di « licenziamento »; i ricoverati dovevano anche tenerlo informato di tutte « le occorrenze » affinchè potesse provvedervi; suo compito era anche di provvedere all'assistenza ai moribondi e agli infermi che dovevano esser affidati ad altri ricoverati in numero di due; sua incombenza era pure d'impedire che alcuno pernottasse fuori dall'ospedale senza licenza.
Quanto ai pasti in un primo tempo ciascuno si serviva da sè di minestra: poi si istituisce un servizio di distribuzione in equa misura in scodelle di stagno di egual capienza: al riguardo era severamente proibito « vendere » la propria porzione di carne; il che significa che avvenivano scambi.
Il corretto comportamento da adottarsi dai ricoverati escludeva il «far » giochi di qualunque genere e specie con poste di danaro.
L'ultimo articolo riguarda la rigorosa ripartizione delle attività degli assistiti nella giornata: alla regolarità veniva attribuita la massima importanza; l'orazione e la meditazione erano i momenti culmine nella giornata.
Alla regolare osservanza di tali norme per « maggior gloria di Dio» e per « adempimento della mente dei signori testatori », provvedeva sempre l'assistente; esso era tenuto ad informare i Superiori del regolare andamento di tutte le varie occorrenze che meritassero provvedimento.
L'Assorbimento della Istituzione nel Pio Albergo Pertusati (1796)
A differenza di altre istituzioni, l'istituto degli Incurabili non era stato investito dalle riforme di Giuseppe II. Esso aveva conti-
Il locale veniva sgombrato dai poveri infermi; alcuni, in numero di sedici, venivano accolti nel « Pio Luogo » Pertusati provvisoriamente riattivato dopo la burrasca delle riforme; altri venivano rinviati ai parenti con una pensione di 20 soldi, altri ancora ricoverati nel S. Matteo. Il Pio Albero Pertusati era stato eretto per volontà di monsignor Pertusati, vescovo di Pavia, con suo testamento del 1762 che istituiva suoi eredi universali i poveri della città e della diocesi.
Il suo patrimonio veniva integrato da varie donazioni e « soccorsi » da parte del marchese Olevano, patrizio pavese, dell'allora vescovo monsignor Durini e della stessa imperatrice Maria Teresa d'Austria.
Nel 1774 vi era stato aggregato l'antico Ospedale dei « Tre Re Magi » fondato fino dal 1374 dal nobile Melchiorre Cani: in seguito a questa unione l'ospizio pare potesse ampliarsi e raccogliere nuovi ospiti. Aveva avuto vita autonoma e tranquilla fin quando era stato coinvolto nella nuova sistemazione delle opere pie iniziata insieme alle riforme di ogni settore della vita pubblica da Maria Teresa e continuate da Giuseppe II.
Da queste riforme e particolarmente da quelle che riguardavano il clero e le opere in cui esso agiva e che controllava, erano stati investiti anche gli enti di beneficienza esistenti, particolarmente sotto Giuseppe II.
L'imperatore nel campo della beneficienza aveva voluto togliere di mezzo l'intermediario del clero affidando dal 1767 l'amministrazione dei LL.PP. D una « Giunta Economale ».
Nel 1784 l'imperatore aveva disposto l'erezione di una Giunta delle Pie Fondazioni, amministratrice dei loro beni, e successivamente di una « commissione » delle medesime, affiancata al « Consiglio di Governo » .
Quattro dipartimenti dovevano presiedere agli istituti, rispettivamente per vecchi, per orfani, alle elemosine, agli ospedali. Le singole istituzioni vennero sottoposte ad un minuto controllo circa il loro patrimonio, la loro destinazione, il numero degli assistiti e alla fine vennero riunite quelle che « erano della stessa specie », che tendevano al medesimo scopo; si stesero i regolamenti per le diverse categorie di istituti; si concentrarono i ricoverati in meno sedi e si unificarono i patrimoni. In seguito alle disposizioni imperiali il P. L. Pertusati fu aggregato al ricovero Triulzi di Milano; qui furono inviati tutti i ricoverati; questi erano 45, più due serventi e un portinale.
Soltanto quattro anni dopo, un dispaccio governativo del 20 gennaio ripristinava il L. Pertusati, ma essendo stato nel frattempo venduto il locale e il mobilio, i poveri che allora erano in numero di 30, dovettero rimanere parte al P. L. Triulsi, parte furono accettati nell'Orfanotrofio pavese della Colombina, parte tornarono alle rispettive famiglie col sussidio di 12 soldi.
Per quel che riguarda l'ordinamento interno è pervenuto un regolamento del P. Luogo che indirettamente possiamo considerare valga anche per i ricoverati provenienti dall'Istituto degli Incurabili almeno per gli ultimi anni del secolo XVIII. Consta di vari articoli di cui il primo riguarda l'accettazione dei ricoverati: vi si escludono in maniera drastica tutti coloro che abbiano a male alcuno cronico o attaccaticcio ».
Gli articoli che seguono come già il regolamento degli Incurabili, prescrivono varie orazioni distribuite nel corso della giornata, l'obbligo quotidiano della messa (oltrechè naturalmente nelle festività principali insieme alla comunione): viene imposta rigorosamente la puntualità e la prontezza nel rispondere ad ogni suono di campanello che chiami i ricoverati al loro doveri.
Quanto al contegno morale, si impone la decenza e la serietà nel vestire con l'abolizione di ogni frivolezza e di ogni concessione alla moda (specie per le donne).
Si punisce gravemente l'ingiuria all'indirizzo non solo di Dio, ma anche dei compagni, nonchè la beffa, il motteggio, il sarcasmo.
Sono regolamentate anche le uscite che vengono di norma concesse dal direttore per gli uomini, dalla superiora per le donne.
Importantissima inoltre à la richiesta di corretto comportamento collettivo in occasione di funerali, delle processioni, delle benedizioni.
I poveri del Pio Luogo non possono introdurre persone esterne, né pernottare fuori.
Ad essi sono affidate varie incombenze come la cura della chiesa, la pulizia del Dormitorio e del refettorio, oltre al « Lavorerio » per le donne.
Gli ammalati debbon essere assistiti dai compagni con attenzioni particolari e non possono ricevere medicamenti se non prescritti nè alcunchè di commestibile se non permesso.
All'ora del sonno i ricoverati hanno da ritirarsi nei dormitori ciascuno nel suo letto e « in camiscia» decorosa.
A tavola è proibito « vendere, donare e cedere » la propria porzione di cibo o bevanda. Nessuno deve appropriarsi di « cose spettanti al P. Luogo o ad altri del P. Luogo ancorchè morti », nè può fare alcuna sorta di giochi di « lotte » o di « danaro ».
Come il regolamento degli Incurabili, anche questo si conclude con l'obbligo di obbedienza agli « Ufficiali » e agli ordini impartiti: in caso di trasgressione si rischia l'espulsione dall'Istituto.
Un'altra novità rispetto al regolamento degli Incurabili era la disposizione circa il vestiario: nella « convocazione » del 19 gennaio 1778 veniva adottato il principio dell'uniformità del vestito per le donne; esso consisteva in una veste di colore scuro.
Nel 1804, a detta del segretario provinciale Rolla, si convocava la congregazione del Pertusati e le riunioni proseguirono fino al 1807 anno in cui per « sovrane disposizioni », evidentemente del vicerè, le amministrazioni di tutti i «pii stabilimenti » vennero concentrate nella Congregazione di Carità.
I ricoverati all'inizio della nuova sistemazione, non avevano che la pensione di dodici soldi al giorno: questa sopravvenendo a la carenza dei generi, fu aumentata provvisoriamente di tre soldi oltre naturalmente al gratuito ricovero nel P. Luogo ed a qualche gratuita somministrazione di legna e carbone specialmente in inverno, ed oltre ad alcune regalie in denaro in alcuni giorni di solennità.
Finalmente nel 1813, in seguito al Regio Decreto contro la mendicità, tutti i poveri inabili al lavoro dovettero essere sussidiati nelle loro case o ricoverati in ospizi: in virtù di questo la Congregazione decise di acquistare il locale del soppresso convento in S. Croce e vi raccolse anche quei poveri incurabili che ancora erano sparsi in parte nel P. Luogo Triulzi e in parte nelle loro case: tale sistemazione fu alfine la definitiva.