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Ringrazio l'Amministrazione Comunale di Schio per la condivisione dei contenuti della scheda che provengono integralmente dal testo: Il nuovo Ospedale di Schio
È storia recente e tutti la ricordano. Lo scorrere dei secoli poco o nulla aveva mutato del volto del Baratto l’antico convento di Frati che si pensò, in tempi remoti, di destinare ad ospedale: il vecchio, consunto edificio, era diventato casa del dolore, senza che adattamenti, ripieghi, sistemazioni, tutta la volontà possibile -
Non v'era cittadino di Schio che non soffrisse per simile situazione, che non rilevasse l'esigenza di provvedere in maniera più dignitosa alle necessità tecnico-
ln definitiva, il problema dell'Ospedale costituiva una piaga che gli Scledensi non riuscivano, nè potevano tollerare e che andava sanata, giacchè non si voleva più consentire che i malati fossero accatastati in meste corsie e nei corridoi, che si dovesse far la coda per beneficiare di un servizio igienico, che il paziente avviato alla convalescenza vivesse in promiscuità con quello roso dal dolore. Era, ormai, un problema cittadino vero e proprio: superabile non attraverso compromessi ma solamente con una radicale decisione.
E così Schio si rimboccò le maniche e, mattone su mattone, prese a costruire il « suo » Ospedale, che oggi è lì a mostrarsi opera moderna e meravigliosa, appagamento di un sogno che pareva destinato a far cullare solo delle povere speranze.
La storia dell'istituzione ospedaliera a Schio può essere fissata nelle seguenti quattro tappe:
dal 1300 Ospedale di San Giacomo;
dal 1611 Ospedale Baratto al Corobbo;
dal 1807 Ospedale Baratto nel Convento dei soppressi Minori Riformati annesso alla Chiesa di San Francesco;
dal 1956 il nuovo Ospedale Civile di Schio in località Caussa.
Giova avvertire subito che l'Ospedale di San Giacomo non fu un Ospedale nel senso moderno della parola, ma semplicemente un Ospizio per pellegrini, eppure proprio per il fatto di non essere stato un Ospedale, ma soltanto il precedente storico del primo vero ospedale che fu quello voluto dai Baratto sul Corobbo, si inserisce a pieno diritto nella storia ospedaliera della Città. L'esistenza a Schio di un Ospizio per pellegrini, precursore di un vero e proprio ospedale per la cura dei malati, corrisponde esattamente allo sviluppo storico di tali istituzioni in Italia ed in Europa, e ne riflette ordinatamente le fasi di evoluzione.
L’Ospedale di San Giacomo sorse come ospizio intorno al 1300.
In un documento dell’8/7/1383, a proposito di un fondo di beni situati in Schio, si parla di un “sedimen positum in contrata de porta de suptus apud hospitale de Scledo”; e in un altro del 2/12/1384 è indicato come “domus dey de Scledo”.
Nel testamento di certo Giovanni Tarolo del 1402 è chiamato “hospitalis Domus Dei de Schledo”; in quello di Colombo del 1417 “hospitalis fratellae battutorum Domus Dei de Scledo
Nella visita fatta dal Vescovo suffraganeo di Vicenza alla chiesa di S. Giacomo Maggiore il 26 aprile 1518 è chiamato “hospitale pauperum”. Finalmente ebbe anche il nome di Ospitale degli Esposti per il fatto che vi venivano accolti gli infanti abbandonati: non si sa bene se per essere quivi nutriti ed allevati, oppure soltanto per essere trasportati all'ospizio centrale di S. Marcello di Vicenza dove erano mantenuti a spese dell'istituto scledense.
Tutte queste denominazioni, con le loro varianti accessorie e le loro date, ci confermano che l’Ospedale fu fondato dalla Confraternita o Fraglia dei Battuti intorno al 1300, in contrada Porta di sotto, vicino alla Chiesa di S. Giacomo.
La Confraternita dei Battuti, fondatrice dell'Ospedale, è una varietà di quel complesso di sette o Congregazioni religiose derivate dai Flagellanti.
Che « Hospitalis » stesse a indicare precipuamente “Ospizio per pellegrini” e non altro, è confermato dalla persistenza accanto al vocabolo latino di « hospitale » di quello greco “ xenodochium”; infatti sul sigillo sepolcrale della Confraternita dei Battuti si leggeva: “Tres cum triginta huius xenodochii confratres” con allusione ai trentadue confratelli fondatori dell'Ospizio.
Questa iniziale e precipua funzione di ospizio per pellegrini si è perpetuata in tradizione presso la sede di S. Giacomo: infatti fin verso il 1900, quando ormai era cessato di esistere da un pezzo l'antico ospedale, la soffitta fu riservata come luogo di ricovero per i poveri viandanti senza tetto i quali vi potevano trovare dei giacigli per passarvi la notte; la chiave era in custodia del sacrista della Chiesa di S. Giacomo.
Che a Schio non esistesse ancora un Ospedale per il ricovero e la cura degli ammalati specialmente poveri, è dimostrato anche dal sorgere di una Congregazione religiosa che aveva come scopo principale l'assistenza dei poveri infermi a domicilio.
Col nome di Compagnia della Santissima Trinità ebbe origine nel 1576, in seguito ad una pestilenza che aveva fatto numerose vittime. Era composta di « pie e divote persone » che miravano alla propria elevazione spirituale attraverso le opere di carità. In modo particolare si prendevano cura degli infermi; per loro si tassavano con volontarie oblazioni che deponevano nella « cassella » posta a ricevere le loro limosine per aiuto degli Infermi » nella Cappella del Sottocoro dove si radunavano ogni domenica a suon di mattutino a compiere le loro devozioni; per loro, tratti a sorte, si adattavano alla questua ogni mercoledì al mercato e alle case; anche le donne si recavano con i loro cesti a questuare ogni venerdì e raccoglievano “pane,ovi, sale, denari ed altre cose” che venivano poi dispensate al bisogno di ciaschedun infermo. Alcuni fra i soci venivano addirittura designati alle funzioni di infermieri con l'obbligo di assistere i malati fino alla loro morte.
Se l'Ospedale di S. Giacomo avesse assolto anche alla funzione sanitaria di ricovero e cura organizzata dei malati poveri, non si sarebbe certo sentita l'esigenza di una tale istituzione, la quale giunse ad annoverare fino a 60 e più inscritti e si mantenne, attraverso varie vicende, fino al 1807 allorchè, per decreto 18 giugno del Governo Italiano, fu concentrata con il suo patrimonio nella Congregazione di Carità. Da allora l’istituzione, tolta alla soppressa Compagnia, prese il nome di Pia Opera di Carità.
Non doveva però passare molto tempo prima che sorgesse anche a Schio un vero e proprio ospedale per il ricovero e la cura degli infermi. Ciò avvenne all’inizio del 1600 per merito di due generosi scledensi: Cristoforo e Francesco Baratto che a questo scopo lasciarono la loro cospicua eredità.
Con testamento 3 aprile 1595 Cristoforo Baratto istituiva erede universale il nipote Francesco, figlio del suo defunto fratello Antonio e i di lui discendenti maschi: però, nel caso il nipote fosse mancato senza figli e discendenti maschi, era la sua volontà: in tal caso voglio che sii eretto Hospitale qui in Schio sostituendolo herede in tutti li detti beni et facultà et medesimamente nelli beni et facultà di esso mio nipote se così egli vorrà. E più sotto precisava: ordino et comando che sii fabricato detto Hospitale per ricetto di Poveri infermi di Schio, quali durante le loro infermità et non più oltre, siano spesati et curati in detto Hospitale con la debita provvisione di medico, così fisico come chirurgo secondo il bisogno loro et con la servitù di Priore e Prioressa.
Aggiungeva inoltre di voler che fosse fabbricata una chiesa in contrà del Corobo anexa et conexa con detto Hospitale.
Quattro anni dopo, il nipote di Cristoforo, Francesco Baratto, con suo testamento 31 maggio 1599 disponeva che “ tutta la sua facoltà delli beni stabili solamente vadi doppo la morte di Zuana sua moglie all’Hospedale […]
Non si conosce la data di morte dei due Fondatori dell’Ospedale; certo però dovette avvenire prima del 1609 perchè il 25 maggio di quell'anno, da parte degli esecutori testamentari, cioè Arciprete, Sindaco e Governatore della comunità di Schio, venne stipulato l'atto di acquisto di una casa in contrada Corobbo allo scopo di edificarvi l'Ospedale.
Si diede subito mano ai lavori di costruzione che furono compiuti nel 1611, e l'Ospedale entrò in funzione nell'ottobre di quell’anno. Si stesero le norme per il buon andamento dell’Istituto le quali, sotto il nome di Capitoli et ordini formati per la buona amministrazione della Heredita Baratta et dell’Hospitale de’ poveri della Terra di Schio, furono approvate dal Doge di Venezia Marc'Antonio Memmo e fatte stampare per la loro debita essecutione.
Questi capitoli, stilati con saggezza e competenza, contenevano disposizioni precise per una retta amministrazione e per un buon funzionamento dell'Ospedale. Sappiamo, fra l'altro, che non vi si potevano accettare malati che non fossero di Schio.
Non si poneva un limite al numero ed alla condizione dei malati dovendo nella quantità di essi poveri regolarsi li Signori Governatori con le forze et entrate dell’Hospitale, e nella qualità loro con quella indifferente carità che si conviene. Sappiamo tuttavia che l'Ospedale aveva mezzi sufficienti per accogliere dodici infermi poveri, oltre quelli della pubblica milizia.
Il personale sanitario era costituito da un Medico Fisico, Chirurgo e da uno Speziale; c'erano un infermiere ed infermiera chiamati “priore e priora”. Il Cappellano doveva essere di età matura, di buona vita, esemplare, atto e sofficiente all'obbligo et officio suo.
Schio aveva finalmente il suo ospedale; e se ne dovette constatare la opportunità ed utilità non molti anni dopo la erezione, in occasione di quella tremenda pestilenza del 1630 che nel corso di quattro anni mietè ben 4.000 vittime dimezzando la popolazione.
Ma col passare degli anni volsero tempi difficoltosi: incuria ed imperizia degli Amministratori, malversazioni, fallimenti e difficoltà di esazioni causarono una progressiva diminuzione del suo patrimonio, cosi che un po' alla volta venne spogliato dei beni stabili che possedeva al punto da esserne gravemente compromessa la sussistenza.
Si giunse a tal punto da doversene interessare la pubblica Autorità; ed infatti nel 1713 vennero pubblicati nuovi Capitoli et Ordini confirmati per levare gli abbusi fin qui corsi nella Amministrazione del Pio Ospitale Baratto. Nei 18 nuovi capitoli si rilevavano l'irregolarità e l'abuso di ogni singolo servizio e si davano precise diposizioni per la loro eliminazione.
Malgrado questi provvedimenti pare che la situazione, anziché migliorare, andasse aggravandosi se in un ricorso del giugno 1744 presentato dai Comnissari Amministranti « al trono del Serenissimo Principe » si tornava a lamentarsi della cattiva amministrazione dell'Ospedale e della precaria situazione del suo patrimonio.
Fu allora che giunse proprio in buon punto la provvidenzialecospicua eredità di Carlo Fantinelli.
Con questa vigorosa risorsa, il primitivo ospedale potè essere ingrandito con ampie sale e cortili per i convalescenti, si potè aumentare il numero dei letti da 12 a 24 come era nel desiderio del testatore “a benefitio per maggior numero de poveri Infermi”.
Nel 1797 la Repubblica Veneta cadde: si costituì sotto Napoleone il Regno Italico; soppressi numerosi conventi, il dominio Austriaco fece proprio il Convento dei Frati Minori Riformati annesso alla Chiesa di San Francesco, esistente fin dal sec. XV.
Nel 1807 gli Amministratori dell'Ospedale, per facilitare l'attivazione di un Tribunale in Schio accettavano le proposte del R. Governo di trasferire l’Ospedale nel vecchio Convento dei Francescani: la permuta fu fatta senza atti formali e senza alcun compenso da alcuna delle due parti.
Un vecchio convento di frati non era funzionalmente una sede ideale per un Ospedale: comunque dal 1807 e per vari anni si trattò di una sistemazione provvisoria, con i più urgenti ed elementari adattamenti.
Caduto Napoleone nel 1825 venne compilato un nuovo piano disciplinare ed economico dal quale risulta che il personale interno era composto da un medico, un chirurgo, un cappellano, un priore economo, una priora (guardarobiera), un infermiere, una infermiera, una serva. I letti erano ridotti a 7 per gli uomini e 7 per le donne; in totale 14 contro i 24 esistenti nell’antica sede del Corobbo prima del trasferimento.
Nel 1840 l’Ospedale disponeva di 37 letti.
Dal 1840 al 1867 ebbero luogo lavori per una generale sistemazione e regolarizzazione dell'ambiente ospedaliero, lavori resi possibili per le numerose e generose elargizioni di benefattori sotto forma di eredità e legati.
Nel 1852 vennero chiamate a disimpegnare il servizio dell'Ospedale le R. R, Suore di Carità che da oltre un secolo, quindi, prestano la loro opera assidua e preziosa nelle corsie a vantaggio e conforto dei malati. Il nuovo Statuto e regolamento del 1870 fissava l'organico del personale interno in un direttore medico, un chirurgo, un farmacista, due infermieri, due infermiere, una ispettrice-
Lo stesso Statuto sanzionava l'accettazione di malati inviati a spese di altri Comuni ed a pagamento; usanza che, iniziatasi intorno al 1835, costituiva una assoluta novità rispetto all'ordinamento del primo Ospedale che, per volere dei fondatori Baratto, escludeva l'ammissione di « forestieri » e limitava il ricovero ai soli infermi poveri.
Nel 1900 col fondo lasciato da Suor Alessandrina Rossi, già superiora delle Suore di Carita dell’Ospedale sorse il “Padiglione Rossi 1900” per i casi sospetti di contagio; in questo padiglione isolato, mancando esso allo scopo per cui era sorto, furono provvisoriamente alloggiati, a partire dal 1903, i tubercolotici fino allora ricoverati nelle sale comuni, e qui rimasero fino al 1907-
Nel 1902 fu aumentato il personale di infermeria; nel 1904, l'illuminazione ad olio e petrolio fu sostituita con la luce elettrica; nel 1905 fu completata la sostituzione totale degli antiigienici pagliericci con reti metalliche; nel 1907 fu installato l'impianto di riscaldamento a termosifone in sostituzione dei vecchi caloriferi ad aria calda Reynard.
Dal 1905, i locali non erano più sufficienti di fronte alle sempre numerose richieste di ricovero, tanto che nel 1906 si dovettero respingere i malati. Ma con la donazione della Villa Santorso fatta dai figli del Senatore A. Rossi e con il conseguente trasferimento dell'Orfanotrofio femminile, poterono essere utilizzati per l’ampliamento dell'Ospedale.
Così uno dei grandi dormitori fu adibito a sala chirurgica per le donne, il refettorio e le scuole furono adibiti nel 1907 a reparto maternità, mentre dal dormitorio superiore furono ricavati quattro camerini per dozzinanti.
Durante la prima guerra mondiale l’Ospedale prestò la sua assistenza, oltrechè alla popolazione civile, anche ai militari feriti o malati.
Il vecchio convento francescano aveva esaurito il suo compito, il problema di un nuovo ospedale si fece più serio finchè nacque il disegno del nuovo ospedale in località Caussa; il 21 aprile 1952 si iniziò la costruzione che terminò il 27 ottobre 1956.
Il 29 ottobre avvenne il trasferimento dei malati.
Nel nuovo Ospedale si concreta ogni più attuale frutto degli studi tecnici, ogni più moderno ritrovato in fatto di attrezzatura.
E’ un monoblocco a tre braccia, disposto a ipsilon; nel progettarlo, i tecnici hanno avuto riguardo alla necessità di isolamento degli infermi, oltrechè alla esigenza di luce e di aereazione specie per i piani inferiori.
Sistema del blocco unico, a differenza di quello a padiglioni isolati, è stato adottato per la possibilità di realizzare una non trascurabile economia nelle spese di gestione.
La capacità ricettiva è di 350 posti-
Le sale operatorie sono sei: per la chirurgia generale, per la settica, per il parto, per la traumatologia, per la otorinolaringoiatria e per l'oculistica, A queste si aggiunge un attrezzatissimo gabinetto radiografico.
Le comunicazioni interne sono assicurate da apparecchi telefonici, che possono entrare in collegamento anche con l’esterno e che sono installati in ogni locale.
Ogni vano è collegato inoltre ad un impianto centrale di diffusione sonora, mentre le numerose sale di soggiorno offrono, dalle ampie vetrate, sono dotate di televisori e di comodissimi arredi.
Al riscaldamento dell'intero fabbricato si provvede con centrale termica unificata; la temperatura è costantemente condizionata da apposito impianto.
Un impianto centrale di gasoterapia assicura la distribuzione dell'ossigeno e del protossido di azoto nelle sale operatorie.
Due ascensori, due montalettighe e tre montavivande assicurano in senso verticale le comunicazioni, in senso verticale, tra gli otto piani dello stabile. nel quale trovano posto anche due cucine capaci di approntare le vivande per 500 persone, frigoriferi, lavanderie a vapore, essicatoi, locali di deposito e di disinfezione, tutti provvisti di macchinari modernissimi, completano le attrezzature dell'istituto, assieme ad un orologio pilota ed a una trentina di satelliti, che scandiscono il tempo al dolore e alle speranze dei degenti.
Perchè il nuovo Ospedale non è stato costruito a padiglioni separati per singola specialità, oppur con esteso sviluppo orizzontale?
Il Decreto 20 luglio 1939 “Approvazione delle istruzioni per le costruzioni ospedaliere” al paragrafo 5 precisa:
Il numero dei fabbricati componenti un ospedale, per ragioni di economia, deve essere limitato, e si deve perciò dare la preferenza alla costruzione a blocco. Se questa ha sviluppo verticale, deve avere un numero di piani terra non superiore a sette.
Nel 1980 l'antico ospedale Baratto venne acquistato del comune di Schio e sottoposto ad un radicale restauro per ospitare la biblioteca civica, che si trasferì nella nuova sede nel 1988.
Sopra il portale d'ingresso della chiesa una lapide recita: Dio ottimo massimo. I commissari che eseguirono la piissima disposizione curarono, con questo nuovo e più ampio edificio, che venisse più decorosamente costruito e adattato, a maggior conforto degli infermi, il sacello da tempo dedicato ai santi Cristoforo e Francesco e l'ospedale apprestato per gli infermi di Schio con beni di Cristoforo e Francesco Baratto, gli aumentati redditi vincolati da Carlo Fantinelli attribuiti in prima e seconda sentenza, aggiuntavi l'invocazione di san Carlo. Anno del Signore 1747.