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Il contenuto della scheda deriva da un lavoro degli studenti dell'Accademia di Brera coordinati dalla Prof.sa Chiara Nenci
http://architetturemanicomiali.altervista.org/manicomio-
Nel 1869, di fronte all’urgenza di ritirare da Aversa i mentecatti provenienti dal proprio ambito amministrativo, la Deputazione napoletana si orienta al recupero di una struttura religiosa, resa disponibile dalle soppressioni, in grado di accogliere un considerevole numero di folli. Viene scelto il convento di Santa Maria dell’Arco in Sant’Anastasia, riedificato alla fine del XVI secolo, il quale era stato già trasformato in ospizio di mendicità.
Nel 1871 si attua un veloce riadattamento della struttura a sede provvisoria del manicomio provinciale. Il direttore Giuseppe Buonomo, sulla base delle concezioni psichiatriche coeve e dell’esperienza maturata nel morotrofio di Aversa, pur nel limitato spazio a disposizione non rinuncia a impiantare laboratori per l’ergoterapia, come quelli per calzolai e falegnami. Anzi, integra queste attività con la lavorazione dello sparto, in uso nel Manicomio di San Niccolò di Siena, chiedendo al nosocomio toscano di inviare un tecnico specializzato che potesse insegnarne il procedimento. 1872 la struttura è considerata inadeguata dallo stesso direttore, supportato dall’alienista Biagio Miraglia che la stigmatizza come “un purtido brulicume”. Un programma medico corretto è la sola guida sicura per la costruzione architettonica “tanto singolare di Ospizio di pazzi”.
Nel 1873 la Provincia propone di destinare come sede definitiva l’ex monastero di San Francesco di Sales, edificio seicentesco. Il Sales era divenuto un ospizio per giovani donne non abbienti. Dibattito acceso per la decisione: troppo ventilato data l’elevata altitudine del luogo, la sua posizione all’interno dell’abitato urbano e soprattutto lo sviluppo dell’edificio su quattro piani, pericolosa per i folli e non funzionale per la separazione tra le patologie psichiatriche. A sua volta, Miraglia ribadisce che le caratteristiche del Sales contraddicono tutte le regole basilari per l’istituzione di un manicomio: è un “fastellone” del tutto inadattabile e “appena riducibile per una pessima caserma”. Un buon manicomio deve essere costruito “di pianta” dai tecnici e “di programma” dagli alienisti, al di fuori dal contesto urbano, in totale isolamento, e il solo pensare di fondare “una Casa di pazzi in mezzo ai rumori dell’abitato è molto più che deplorevole”.
Nel 1881, dopo interventi di consolidamento alla struttura preesistente, il Sales apre i battenti ai folli, limitati dal 1883 ai soli maschi, mentre le donne rimangono temporaneamente all’Arco, dove nel 1888 si decide di trasferire i malati cronici, trasformando la prima sede in Asilo di mendicità per folli inguaribili. Inoltre, fino a quanto non inizieranno i lavori per il nuovo manicomio di Capodichino, si registrano ulteriori ripensamenti. Nei primi anni del Novecento, i due nosocomi non sono ormai più in grado di ospitare gli alienati della provincia, scesi al numero di 1245.
Nel 1906 l’Arco viene reso inagibile dall’eruzione vesuviana e chiuso definitivamente, mentre il Sales, dopo l’entrata in funzione del “Nuovo Manicomio provinciale” nel 1909, verrà progressivamente dimesso.
Una descrizione più dettagliata la potete trovare nel sito di " Spazi della follia " -
http://www.spazidellafollia.eu/it/complesso-