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Questa scheda proviene dal Catalogo digitale del Patrimonio Culturale dell'Emilia Romagna pubblicato sul sito "https://bbcc.ibc.regione.emilia-
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La nascita dell'ospedale estense di Modena risale alla politica di riforma dell'assistenza perseguita dal duca Francesco III, sulla base dei doveri di un “buon principe” indicati da Ludovico Antonio Muratori, che nel febbraio del 1721 aveva istituito l'Opera della Carità, finalizzata all'aiuto, anche a domicilio, dei più bisognosi. Nel 1753 fu varato il piano per la costruzione di un Grande Ospedale degli Infermi, che doveva sostituire quello ormai fatiscente dell'Unione, con l'intento di destinarlo a ricovero degli invalidi e dei mendicanti. L'edificio occupò l'area del monastero e della chiesa di San Gerolamo e di alcune case di privati, adiacenti all'Ospedale della Santa Unione (Biondi).
I lavori cominciarono nell'aprile 1753; il 30 novembre 1758 venne inaugurato il nuovo edificio, portato a termine nel 1762 in seguito agli ampliamenti imposti dal grande afflusso dei ricoverati. Alle spese, che ammontarono ad oltre 1.000.000 di lire, contribuirono il duca, la Comunità di Modena, 34 comunità del distretto, le Arti, le Confraternite, la Congregazione dell'Abbondanza, la carità privata e gli introiti derivanti dalle prime soppressioni. Anche papa Benedetto XIV diede il suo contributo, detraendo dal reddito del vescovado modenese, allora vacante, la somma di lire 17.172 di Modena.
Il progetto, comunemente riferito al bolognese Alfonso Torreggiani, fu realizzato più probabilmente dal capo muratore e vice architetto ducale Giuseppe Sozzi, che predispose disegni supervisionati dal più famoso architetto. La pianta, “costituita da due bracci affrontati a forma di parentesi angolari molto aperte, uniti da un terzo braccio trasversale” (Bertuzzi), risulta originale rispetto alle tradizionali a corsia semplici o a crociera, ma si trattava di un accorgimento per mantenere separati i locali destinati alle donne, dividendo specularmente i reparti destinati rispettivamente agli infermi, ai feriti e agli incurabili. Un corridoio collegava il nuovo edificio ai vecchi locali della Santa Unione, destinati agli esposti, alle balie e alle gravide. All'ospedale venne annessa una Casa di Correzione, intesa come opera assistenziale per non “confondere la condizione di loro persone correggibili fra gli orrori delle carceri di castigo destinate dalla pubblica ragione di Giustizia alla viltà dei rei costituiti per enormi delitti” (Biondi).
Nel 1755 fu innalzato all'interno dell'ospedale, vicino alla chiesa di San Nicolò e al padiglione dei venerei, un edificio riservato ai malati di mente che vi soggiornavano per una degenza provvisoria: dopo la visita dei medici dell'Ospedale, che fornivano le prime cure, i malati, trattenuti in “forma sicura”, spesso in catene, venivano trasferiti a Reggio Emilia, all'Ospedale di San Lazzaro, in base a una convenzione del 1757.
Il nuovo Ospedale di Modena ospitava anche una Spezieria con funzione anche didattica: dopo la raccolta, infatti, i “semplici” venivano messi a disposizione degli studenti di botanica, insieme alle droghe medicinali e alle preparazioni chimiche che si svolgevano nel laboratorio. La Spezieria ottenne l'esclusiva della preparazione della “teriaca”, prima pertinente al convento di San Pietro.
Nel 1764, di fronte al “Grande Spedale” venne eretto il Grande Albergo dei poveri, per ospitare i mendicanti che la struttura sanitaria non riusciva a contenere. L'architetto modenese Pietro Termanini predispose un edificio che inglobava le fabbriche dell'arsenale militare e il convento degli Agostiniani. L'8 dicembre 1771, 150 indigenti furono condotti all'Albergo dei poveri, che, ultimato nel 1771, poteva accogliere da 400 a 500 mendicanti divisi per sesso e distinti nelle due classi sociali dei poveri miserabili e degli orfani di “civil condizione”. Ampi spazi furono destinati ai laboratori, mentre un'ala fu adattata a Casa di correzione.