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Ringrazio l'amministrazione comunale di Nettuno per l'autorizzazione-
Per avere un'idea di quella che poteva essere l'assistenza sanitaria a Nettuno all'inizio del secolo 19° , e anche il genere di solidarietà che si praticava, significativo questo documento relativo all’anno 1805.
Gli ammalati o siano nettunesi o forastieri, ricevuto colla fede del medico e dell'Arciprete della Collegiata, che dovranno farla gratis e poi sottoscritta dal Priore del Luogo Pio, siano tenuti, subito posti a letto, confessarsi.
Che gli infermi o feriti o poveri siano visitati dal Medico e Chirurgo senza pagamento alcuno a tenore dell'antica e immemorabile consuetudine e che l'Ospedale sia obbligato somministrare loro baj quattro al giorno ed al Chirurgo rubio uno di grano all'anno come sempre si è costumato.
Che non si possano ricusarsi gl'infermi o feriti suddetti col pretesto di scrutinarsi prima, se siano poveri o no, ma tal ricerca si dovrà far poi a tenor della mente del Papa Innocenzo XII di Santa Memoria, come dalla Bolla che si conserva nell'Archivio, e nel caso di contravvenzione si incorra da chi farà ostacolo nella pena di scudi tre per ogni volta. Non essendo poi poveri, il Priore o Camerlengo dell'Ospedale possano esigere quanto fu loro somministrato anche per pagare i medicinali e le visite al medico e al chirurgo.
Che non avendo dette persone solvibile danaro pronto per soddisfare a quanto si è detto sopra, non perciò si possa ritenere gli abiti necessari agli infermi guariti, ma questi si dovranno restituire, contentandosi dell'obbligo scritto di pagare.
Che essendo li forastieri o nettunesi benestanti e comodi e volendosi sperare (curare?) da loro stessi potranno farlo e l'ospedale sia tenuto a somministrare loro solamente stanza e letto. Se poi saranno marinari si osservi lo stesso perché Santa memoria di Innocenzo XII unì il beneficio di San Nicola a questo luogo Pio anche per vantaggio dei medesimi marinai essendo poveri. Accadendo inoltre che qualche volta si fanno trasportare essendo infermi e condannati ad opus che stanno a Porto d’Anzo, si dovranno ancora ricevere questi e curare, ma però a spese della Reverenda Camera Apostolica.
Appartiene all’arciprete e suo Vice-
Che il Camerlengo debba conservare un libro ben legato, dove sia tenuto notare i nomi e cognomi dell'infermi, giorno, mese ed anno, che si ricevano nell’ospedale e così scrivere il giorno che dal medesimo partiranno o passeranno all'altra vita.
Le notizie che ci vengono dal libro Descrizione Topografica di Roma e Comarca di Adone Palmieri, del 1864, dimostrano che già «Evvi in Nettuno anche un piccolo Spedale, una Congregazione di carità che va questuando, ed un annuale dotazione di scudi 30 della famiglia Soffredini. Tale situazione era pronta a servire le necessità sanitarie di circa 1500 anime insieme all'opera di un medico retribuito con 240 scudi, un chirurgo con 200 scudi ed un 'unica farmacia di Tommasi figlio».
Da carteggi della famiglia Soffredini (1870) si evidenzia che le offerte da parte di questa erano nettamente superiori ai 600 scudi romani e tale rendita serviva per curare i forestieri di ambo i sessi che venivano a lavorare le terre dei Nettunesi.
Nel 1872 l'ospedale dei poveri venne sottratto dall'autorità ecclesiastica ed in un lettera autografa del canonico don Benedetto Brovelli si legge delle perplessità sull'andamento e sull'attività di tale pio istituto, essendo stato affidato esclusivamente all'azione del solo camerlengo.
Per gli anni successivi, prima la famiglia Soffredini e poi i Brovelli-
Una menzione particolare merita la congregazione di Carità di Nettuno, che fin dall’origine andava presso le famiglie più ricche della cittadina per trovare i soldi e curare i poveri.
Tali istituzioni seguivano le regole dettate dalla legge Crispi del 1890, successivamente modificata dal ministro dell'interno Giolitti.
Dopo il Regio decreto di Vittorio Emanuele III, si deliberava nel Consiglio Comunale di Nettuno che fossero riservate a spese di culto solo 1.300 lire, mentre alla Confraternita di carità rimanevano 5000 lire per l'assistenza sanitaria.
La verità degli effetti della legge fu che, restando sempre soddisfatte le giuste esigenze del culto, dovevano essere elargite somme più consistenti ai poveri di Nettuno.
Un'altra Pubblica Assistenza fu fondata nel 1903 col nome di Principe di Piemonte.
La loro opera era completamente gratuita. Nonostante la grande estensione del territorio di Nettuno, l'associazione riusciva a garantire l'assistenza a tutta la popolazione e portare gli ammalati all'ospedale.
Le malattie infettive erano le più pericolose, essendo l'entroterra una zona malarica. La squadra di soccorso partiva con qualunque mezzo per recuperare i malati. Intervenivano anche per incidenti o infortuni sul lavoro e per i malati di mente, in definitiva per ogni sorta di malanno.
Successivamente la Pubblica Assistenza fu dotata di barelle e perfino di un'autoambulanza trainata a mano. Molte calamità furono affrontate dai membri di questa associazione benefica, come durante il colera del 1909 e la famosa quanto triste spagnola del 1918, che seminò una grande quantità di vittime.
L'Ospedale dei Fatebenefratelli
La prima traccia di una richiesta per avere la presenza dell'Ordine religioso dei Fatebenefratelli sul territorio di Nettuno ci perviene da una lettera inviata il 30 settembre 1885 al vescovo di Albano, da parte del presidente della Congregazione di Carità di Nettuno. In questa missiva si chiedeva al vescovo di Albano di intercedere presso il Generale religioso di Roma: «I religiosi potrebbero sul momento occupare l’Ospedale dei poveri esistente ed in seguilo, con la contribuzione del municipio e di persone benefattrici, erigerne altro in posizione migliore e più confacente alla cura dei poveri infermi».
L'Ospedale dei poveri si reggeva sulle donazioni, specialmente quelle provenienti dai proprietari ter-
Nel giugno del 1889 venne stipulata la convenzione tra la Congregazione di Carità di Nettuno e Padre Orsenigo, grazie alla quale s'iniziò l'attività sanitaria nel vecchio Ospedale dei poveri.
Il 28 aprile del 1880 fu fatta la convenzione tra la Congregazione di Carità e il Comune per "la costruzione ed esercizio di un nuovo Spedale pei poveri in Nettuno". La Congregazione di Carità, amministratrice del vecchio Ospedale dei poveri di Nettuno, si impegnava a versare all'Orsenigo e suoi eredi un mensile di lire trenta libere da ogni tassa imposta e successivamente la prestazione medesima sarebbe aumentata fino a lire 4,30. La Congregazione dava all'Orsenigo tutti gli utensili esistenti nel vecchio Ospedale senza alcun compenso. Il Comune di Nettuno si obbligava a pagare in perpetuo al frate lire 500 annue per la gestione dell'Ambulatorio da aprirsi a servizio del paese e da tenersi aperto tre ore nella mattina e tre ore nel pomeriggio. L'Orsenigo e suoi eredi si obbligavano da parte loro ad acquistare nel territorio di Nettuno un'area di circa 5000 mq. nella quale costruire nel termine di tre anni a loro spese un Ospedale per gli uomini capace di 20 posti letto ed una camera separata di 5 letti per le donne povere. L'acquisto di due lotti di terreno di proprietà della Società Anonima delle Ferrovie Secondarie Romane per la costruzione del nuovo ospedale a Nettuno fu stipulato dall'Orsenigo nel giugno del 1889.
Tra il 1890 e il 1891 si ritrovano in archivio i contratti, gli acconti di pagamento e i saldi a favore delle varie ditte.
La ferrovia, che già dal 1884 collegava Roma a Nettuno, passando proprio di fronte al Sanatorio, co-
Nel Regolamento del Sanatorio Orsenigo dei Fatebenefratelli in Nettuno, le disposizioni generali trovate dattiloscritte dimostrano chiaramente come la gestione della Casa di Salute fosse molto simile ad un'odierna clinica privata. Dagli scritti, inoltre, si evince la convenzione con la Congregazione di Carità e con l'Amministrazione Comunale di Nettuno. Ad esse venivano applicate tariffe particolari per la degenza.
Si potevano ricoverare solo inferni di sesso maschile, con l'esclusione di pazienti affetti da malattie mentali o contagiose e l'accettazione era demandata al direttore dell'Ospedale. Alle donne era riservata solo una stanza per le urgenze, poiché come spesso capitava all'epoca, un altro ospedale era riservato alle donne nella vicina città di Anzio.
La retta giornaliera era di 3 lire per i ricoverati in sale comuni e 3,5 per i casi chirurgici. La camera singola era fissata a 5 lire al giorno. La pensione poteva variare in aumento o in diminuzione secondo il genere della malattia, le esigenze e la condizione degli infermi. Il regolamento dell'amministratore prevedeva che la gestione della Casa di Salute non avesse scopo di lucro. In realtà somigliava molto all'attuale sistema assicurativo privatistico americano, imponendo all'infermo di pagare un anticipo, corrispondente all'importo di circa 15 giorni con eventuale conguaglio finale. Tale deposito poteva essere sostituito dalla garanzia di persona solvibile o di una amministrazione pubblica o privata. In mancanza di adeguate garanzie di pagamento, l'infermo poteva essere respinto o congedato.
Il servizio sanitario era assicurato da un direttore, figura di spicco dell'ospedale, con le stesse attribuzioni dell'attuale direttore sanitario. Egli aveva compiti di sorveglianza su tutto il personale medico e paramedico e sul vitto. Aveva, inoltre, l'incarico di accogliere i reclami fatti dai medici, dagli infermieri e dagli infermi, e di trasmetterli subito all'Amministrazione. Questa poteva prendere gli opportuni provvedimenti. Il direttore doveva vigilare che gli infermi venissero trattati con «carità ed amo-
Due medici-
All'ingresso prendeva nota del vestiario dei pazienti e degli oggetti di valore, che venivano consegnati al direttore. Inoltre doveva essere presente alla visita dei sanitari e riferire eventuali fenomeni osservati.
Ad un farmacista, la cui nomina spettava all'amministrazione, competeva di preparare le medicine che venivano somministrate. Un cappellano era incaricato ogni mattina di celebrare messa nella chiesa della Madonna del Buon Consiglio, «cappella dello stabilimento», doveva somministrare i sacramenti ai malati, assistere i moribondi e accompagnare la salma dopo due ore dalla morte nella camera mortuaria, indicando all'infermiere capo la data e l'ora del decesso.
Era previsto del personale in guardaroba ed in dispensa, per provvedere ad ogni esigenza, sia di «casermaggio», sia di provviste con adeguato registro di carico e scarico.
Il segnale di una campanella avvertiva il personale della Casa che era giunta l'ora della distribuzione del vitto agli infermi, alle ore 11 e alle 17.
Dal rapporto statistico del movimento degli infermi nell'Ospedale Orsenigo di Nettuno nell'anno 1890, quando era ancora collocato nei vecchi locali dell'Ospedale dei Poveri, il medico dr. Norberto Perotti riporta i seguenti dati: il numero totale dei ricoverati è stato di 163 unità, tra questi 139 vengono dimessi guariti, 7 migliorati, 13 morti e 6 sono ancora ricoverati. La mortalità è del 7-
Le cause traumatiche (incidenti sul lavoro, ferite da armi) erano le lesioni chirurgiche più frequenti, mentre tra le forme mediche le infezioni malariche rappresentavano il 30% del totale dei ricoveri, rispetto al 4% degli ospedali romani, poiché il territorio di Nettuno abbracciava zone infestate dalla malaria.
La relazione si conclude con un augurio, che all'apertura della nuova Casa di Salute dei Fatebenefratelli si possa ricoverare un maggior numero di infermi ed in appositi locali assistere con caritatevole cura anche i convalescenti di Roma.
La gestione dell'ospedale Orsenigo ha oramai più costi che ricavi. I soldi non bastano neanche per rimborsare i prestiti fatti per la sua costruzione. La struttura sanitaria, il Sanatorio, finisce col cessare la propria attività, mentre sopravvive come Casa di salute. Il direttore padre De Giovanni nel 1910 stipula un accordo per proseguire l'attività di accoglienza con padre Benedetto Menni, fondatore delle Suore Ospedaliere del sacro Cuore, per l'assistenza femminile, chiamate le suore "spagnole". Nel 1914 vanno via anche le suore "spagnole". I Fatebenefratelli continuano a mantenervi solo le colonie estive per minori. Tentano di cedere l'edificio allo Stato, ma alla fine lo vendono al Vaticano il 29 gennaio 1921. D'ora in poi si chiamerà Casa della Divina Provvidenza e della sua gestione si occuperà il Comitato Romano di Previdenza e Assistenza Sanitaria, che lo affiderà alle suore del Piccolo Cottolengo. Il 2 giugno 1943 papa Pio XII decide di ripristinare l'ospedale, ma l'indicazione papale non ha seguito. Invece, un posto di pronto soccorso viene istituito dal Sovrano Ordine Militare di Malta il 1° ottobre 1944 nell'edificio di piazza San Francesco, dove sorge l'ospedale, intitolato a Urbano Barberini, principe di Palestrina. La Divina Provvidenza, abbandonata dal Vaticano, viene acquistata dal Comune di Nettuno nel 1975/6 per alloggiarvi scuole, uffici sanitari e associazioni locali.