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Il contenuto della scheda proviene dal sito ufficiale dell'Ospedale di Valdoltra oggi in territorio Sloveno
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La parte meridionale delle colline di Muggia a cavallo del 20° secolo era diventata una meta delle associazioni triestine che si occupavano dell’organizzazione della cura della tubercolosi, la più grave malattie di quel tempo, connessa con la vita degli ambienti poveri delle città industrializzate. Ma perché avevano scelto proprio questa parte della costa istriana? L’area di Valdoltra aveva un clima molto favorevole, con molti giorni di sole, al riparo dal vento, e l'acqua del mare era molto pulita. Tutto ciò era molto utile per la cura della tubercolosi. Non c'è da meravigliarsi quindi che qui avessero aperto contemporaneamente due istituti per la cura della tubercolosi: a Valdoltra il centro di convalescenza in riva al mare per i bambini, ad Ancarano invece il sanatorio per la tubercolosi polmonare
Nel 1884 era stata fondata a Trieste la Società degli Amici dell'infanzia con il compito di prendersi cura dei bambini poveri e malati. La Società aveva aperto a Trieste il primo asilo nido, introducendo l’alimentazione nella scuola, inaugurando e sostenendo le colonie di vacanza (nel 1899 aveva inaugurato la colonia di montagna a Hrpelje) e altre attività, tuttavia la preoccupazione maggiore era dedicata al centro di convalescenza in riva al mare per i bambini scrofolosi e fragili che aveva mantenuto fin dal suo inizio fino al 1904, ma era aperto solo in estate, rivelandosi non molto rivelante per il successo della cura. Perciò un grande desiderio della Società era di aprire un centro di convalescenza in riva al mare che restasse aperto tutto l'anno, tale desiderio era poi stato coronato dopo 25 anni di attività con l'inaugurazione di un centro di convalescenza in riva al mare per i bambini aperto tutto l’anno a Valdoltra, era il 21 dicembre 1909.
Si trattava dell'istituto di cura più moderno di quel tempo, organizzato per la cura conservativa e chirurgica di tutte le forme di tubercolosi delle ossa e delle articolazioni, per il trattamento delle malattie ortopediche e lesioni del sistema scheletrico-
Il centro di convalescenza consisteva di 7 padiglioni: il padiglione principale, l’attuale padiglione A con 240 posti letto; il padiglione chirurgico, l’attuale padiglione C, costruito e attrezzato secondo le esigenze della chirurgia più moderna; la lavanderia e disinfezione; la cucina con la sala da pranzo; la sala macchine e la sala caldaie; la stanza di isolamento; la veranda sulla spiaggia per la terapia con l’aria buona. Aveva una propria fornitura di acqua e di energia elettrica, il riscaldamento a vapore, un collegamento telefonico (tra i padiglioni, tra i piani del padiglione principale e Trieste), una canalizzazione ben sistemata (che dalle vasche di depurazione veniva incanalata fino al mare aperto, quindi lontano dal centro di convalescenza), aveva ben sistemate anche le connessioni di trasporto (via mare da una nave a vapore fino a Capodistria e da qui fino a Valdoltra, in estate vi era anche un collegamento diretto Trieste-
Prevaleva in modo particolare il trattamento conservativo con la talassoterapia, elioterapia e idroterapia. I bagni invernali si tenevano in vasche di legno rotonde con acqua di mare riscaldata, a cui un po’ più tardi avevano aggiunto una piscina.
Per 20 anni il medico primario Emilio Comisso (1875-
I buoni risultati della cura, attiravano in questo ospedale sempre più pazienti, cosicché nel 1914 aveva già 300 posti letto (270 fissi e 30 supplementari). Il suo sviluppo era stato interrotto con la prima guerra mondiale; ai primi di luglio del 1915 non era più attivo; il complesso era stato occupato dall'esercito austriaco trasformandolo in una struttura militare. Gli italiani lo avevano bombardato dall'aria (danneggiando seriamente il padiglione con la cucina e gli edifici adiacenti), e, infine, i soldati austriaci lo avevano anche saccheggiato.
L'amministrazione militare italiana, subito dopo l'occupazione del Litorale, aveva cominciato a ricostruire l’ospedale e in luglio del 1919 poteva già accogliere i primi pazienti. Nonostante l'ausilio della gioventù americana della Croce Rossa (che per due anni ricopriva le spese delle cure per centinaia di pazienti, e della Missione americana che inviava qui i bambini di Vienna per le cure, la Società degli Amici dei bambini non poteva più sostenere questa istituzione, cedendola per tale ragione il 1° settembre del 1920 al comitato triestino della Croce Rossa italiana. Con il nuovo patrocinio, l’istituzione era fiorita in tutti i settori. La stessa regina madre, la duchessa Elena d'Aosta, aveva preso sotto sua tutela l’istituto e sotto la quale aveva anche ottenuto una nuova denominazione nel novembre 1921: Ospizio Marino "Duchessa Elena d'Aosta”, ma alla fine degli anni 20 anni aveva ottenuto finalmente la denominazione di ospedale: “Ospedale Marino Duchessa Elena d'Aosta”.
Negli anni 1930-
L'ospedale era stato attrezzato molto bene per la cura conservativa, il trattamento chirurgico e la fisioterapia, aveva la propria strumentalizzazione per le radiografie, la sala gessi, aveva introdotto moderni metodi di trattamento della tubercolosi ossea e delle articolazioni. Aveva ampliato le terapie precedenti anche con la attinoterapia e introdotto la ginnastica per i pazienti meno gravi, per quelli più gravi invece aveva introdotto degli esercizi di respirazione.
Si prendeva cura dei pazienti nella loro totalità: con fondi di beneficenza si costruì un palco dove gli stessi pazienti recitavano, ma venivano anche spesso degli attori amatoriali triestini e gruppi musicali. Una volta alla settimana si proiettavano anche dei film. Già nei primi anni dopo la prima guerra mondiale, la Croce Rossa italiana aveva organizzato una scuola d’istruzione per bambini; le lezioni si tenevano in un’aula ma per i bambini che non potevano muoversi si tenevano lezioni a parte nelle camere.
Dopo la seconda guerra mondiale, il territorio in cui si trovava l'ospedale passò sotto l’amministrazione militare jugoslava, il personale ospedaliero e i pazienti civili furono trasferiti in Italia.
Il suo destino circa l’appartenenza restò poco chiaro ancora per qualche anno. Per via delle condizioni favorevoli, il governo jugoslavo lo aveva inserito nella sua rete di cura anche se non era ancora compreso nello Stato jugoslavo. Era diventata la prima istituzione in Jugoslavia del dopoguerra che aveva iniziato a curare la tubercolosi ossea e delle articolazioni (OAT). Nel 1947 si era perfino trasformato in un Istituto federale per lo studio della tubercolosi ma solo per un periodo molto breve. Con la costituzione del Territorio libero di Trieste aveva smesso nuovamente di funzionare, ma nel 1951 iniziarono i lavori di restauro ponendo le basi dell’odierno Ospedale ortopedico di Valdoltra.
Il progetto ambizioso di ristrutturazione era stato bloccato dal Trattato di pace di Parigi che all'inizio di ottobre del 1946 aveva segnato una nuova linea di demarcazione nella regione dell’ex Venezia Giulia stabilendo che la maggior parte del Litorale e dell'Istria sarebbero spettate alla Jugoslavia, mentre nella stretta striscia di territorio tra il fiume Quieto e Duino si stabiliva una nuova formazione statale: il Territorio libero di Trieste, ancora una volta diviso in due zone con due amministrazioni militari. Nasceva in tal modo per l'ospedale una nuova situazione giuridica, di conseguenza il 7 febbraio 1947, tre giorni prima della firma del trattato di pace tra l'Italia e la Jugoslavia, era stato trasferito insieme alle attrezzature e ai pazienti nell’Istituto di Rovigno.
Qui termina la storia italiana e inizia quella jugoslava poi Slovena