TRENTO Ospedale infantile regionale Angeli custodi - Ospedali d'Italia

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TRENTO Ospedale infantile regionale Angeli custodi

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L’associazione Neonatologia Trentina  è stata fondata nel 1985 su iniziativa del Dr. Dino Pedrotti, in particolare per far fronte alle difficoltà generate dalla distanza fra la Sala Parto dell’Ospedale S. Chiara ed il Centro Immaturi dell’Ospedale Infantile. Circa 3 km separavano le due strutture e questo si traduceva in enormi difficoltà nella gestione dei neonati a rischio. Nel 1991, grazie alle iniziative di medici e genitori dell’associazione, finalmente il Centro è stato portato all’Ospedale S. Chiara, consentendo di attuare tutte le pratiche di prevenzione primaria nei confronti di madri e neonati nello stesso ambiente.
Grazie all'Associazione che m ha permesso di pubblicare il materiale di questa scheda oltre ad avermi inviato il testo:  C’era una volta... l’Ospedalino di Trento.  Storie di bambini e di mamme,
di cure, di speranze e di vita - 1919-2019 - a cura di Dino Pedrotti .
Sarà mia premura, quanto prima, estrapolare dallo stesso informazioni utili al lavoro di ricerca.


http://www.neonatologiatrentina.it/neonatologia/wp-content/uploads/2016/06/ANT-1_2019.pdf
http://www.neonatologiatrentina.it/neonatologia/wp-content/uploads/2019/11/NT-3-4_2019.pdf


Molti non lo ricordano più, perché oggi, quando un bambino ha bisogno di cure ospedaliere, ci si rivolge al Pronto soccorso pediatrico del S. Chiara, con ricovero in una “Area pediatrica “ integrata nell’Ospedale di Trento. Ma nei decenni scorsi, quando un bambino stava male, il genitore doveva affrontare una stretta salita di 300 metri; quando un neonato stava male presso la sala parto o il Nido dell’ Ospedale S. Chiara, il pediatra doveva andare di corsa dall’ altra parte della città e non sempre arrivava in tempo; quando una neo-mamma aveva suo figlio ricoverato, poteva vederlo ed allattarlo solo dopo diversi giorni.
L’era dell’ Ospedalino è durata poco più di settant’anni, dal 7 dicembre 1920 fino al 15 giugno 1991. Per più di cinquant’anni è stato autonomo; nel 1972, assieme all’Ospedale S. Chiara e Ospedale ortopedico Villa Igea, è stato assorbito nei cosiddetti “Istituti Ospedalieri di Trento” .
L’ubicazione dell’ Ospedalino era decisamente sbagliata. Lo si raggiungeva per una stradina molto stretta e ripida. Quando nevicava forte la strada poteva rimanere bloccata per parecchie ore! In ogni caso, quando vi erano emergenze, potevano verificarsi ritardi notevoli. Quando dalla sala parto del S. Chiara  chiamavano per un neonato grave, si impiegavano non meno di 20-30 minuti per arrivare ad assisterlo. L’ultimo ostacolo per un’ambulanza era l’ ingresso al Pronto Soccorso, progettato solo per ambulanze basse. Quando arrivava l’ambulanza alta l’incubatrice o la barella dovevano essere scaricate fuori dalla tettoia. Per anni si discusse sulla possibilità di costruire una funicolare o un ascensore dalla cava di pietre sottostante. Si invocò inutilmente un collegamento con un piccolo bus dalla città. La strada è rimasta uguale, il bus è stato istituito nel maggio 2006.
Negli anni Sessanta i genitori non potevano stare vicino al figlio ricoverato “per motivi igienici”: potevano vederlo, ma solo attraverso i vetri  e solo il giovedì e la domenica dalle 14 alle 16.
Le infermiere tenevano i bambini in braccio e rassicuravano alla meglio i genitori. Chi aveva possibilità economiche oppure chi aveva una mutua che lo consentiva, ricoverava il figlio in un reparto al terzo piano denominato “Solventi” (con prima e seconda classe). L’allattamento al seno non era molto favorito. Iniziava ad allattare solo il 60% delle madri (dati ONMI, 1960) e alle prime difficoltà si proponeva l’allattamento artificiale. C’erano regole fisse, tabelline molto dettagliate per cui i neonati dovevano mangiare ad ore fisse quantità fisse di latte. E questo perché molti, troppi lattanti erano ricoverati per distrofia e malassorbimento. In quegli anni la Pediatria imponeva delle regole per avere bambini più sani (anche se certe madri diventavano più nevrasteniche). Solo negli anni Settanta si è cominciato a parlare di umanizzazione dell’ospedale. Solo nel 1973 è stato aperto alle madri le porte del “Centro Immaturi” ed è iniziata l’attività della Banca del latte materno, una delle prime d’Italia. Solo nel 1982, tra i primi in Italia, si è riusciti ad emanare una Legge provinciale che garantiva il diritto dei genitori ad essere sempre presenti in ospedale.
Le infermiere, eccezionali angeli custodi, venivano chiamate “infermiere”, ma in realtà il personale femminile era quasi tutto senza titolo di studio; imparavano i loro compiti sul campo di battaglia, giorno dopo giorno. Tutte rigorosamente nubili: fino a metà degli anni Sessanta c’era un dormitorio ed era vietato rientrare dopo le 22.
Fu uno shock quando verso il 1965 la prima infermiera rimase in servizio dopo il matrimonio.
I turni erano di 12 ore al giorno con una sola infermiera per reparto di notte. E vi erano anche turni di 20-30 notti consecutive. Le cosiddette “infermiere” idratavano i bambini col contagocce ed anche con sondini gastrici o con ipodermoclisi. Aghi, siringhe, sondini venivano bolliti più volte al giorno e con la pietra da arrotino si affilavano gli aghi spuntati per decine e decine di volte. I neonati gravi venivano assistiti da puericultrici che li rianimavano, facevano iniezioni, mettevano sondini gastrici.
Non c’erano incubatrici da trasporto e così il personale andava con l’ambulanza al S. Chiara o in ospedali periferici e metteva il neonato in una valigetta di cm 60X30 con un piccolo finestrino, un tubicino collegato alla bombola di ossigeno e una boule d’acqua calda. Molti neonati gravi  arrivavano dalla periferia addirittura in taxi, in braccio al padre o altra persona.
Nessuna meraviglia che morissero in Trentino 30-40 neonati ogni 1000 nati.
Alla fine degli anni Sessanta i medici erano una ventina, tra pediatri, chirurghi pediatri, neuropsichiatri, anestesisti, laboratoristi, radiologi. Le guardie notturne si prolungavano fino al pomeriggio del giorno seguente. Il lavoro (per 300-400 ricoverati al giorno) era intenso e non permetteva di avere incontri di aggiornamento o di promuovere iniziative o di partecipare alla vita delle società scientifiche nazionali.
Negli anni Sessanta i problemi pediatrici erano affrontati con un alto tasso di interventi: si era arrivati a togliere le tonsille e/o l’appendice fino al 5% dei bambini, si prescrivevano molte scarpe “correttive” e cicli di ginnastica posturale. Tutti i traumi cranici dovevano essere ricoverati per almeno sette giorni, anche per 20 giorni se c’era anche la minima frattura. Per  ogni caso di trauma si prescriveva come antiemorragico una fiala di Botropase, un farmaco derivato dal veleno di un serpente brasiliano, il Botrops jararaca. Molti bambini con febbre ricevevano due – tre antibiotici; le tonsilliti si curavano con supposte di Bismocetina; si consumavano ettolitri di Betotal e milioni di unità di vitamina D. I neonati con disturbi respiratori ricevevano Sympatol, Micoren, Lobelina e persino gocce di cognac (erano utili, secondo ricerche pubblicate a quell’epoca in Francia).
Nei frequenti gravi casi di gastroenterite erano “miracolose” le infusioni rapide di liquidi nel midollo osseo delle gambe (mieloclisi). Alla nascita i neonati sani (e le madri) rimanevano in ospedale per almeno sette giorni e il 10% era sottoposto a fototerapia per ittero. Diversi i morti per incompatibilità Rh, prima dell’ avvento delle gammaglobuline che hanno cancellato la malattia.
Le radiografie erano numerose e così le trasfusioni di sangue. Diversi operatori sanitari erano disponibili a donare il loro sangue (non si sapeva nulla dei rischi per epatite o AIDS […]); fu organizzata una discutibile, piccola banca del sangue! In caso di emergenze si poteva intervenire in pochi minuti senza attendere il sangue che  arrivava dal S. Chiara solo dopo un’ora.
Negli anni Sessanta il Centro per recupero dei poliomielitici ricoverava fino a 25-30 bambini, sottoposti ad interventi chirurgici e a rieducazione funzionale. Nel 1964 venne introdotto il vaccino antipolio (con qualche anno di ritardo in Italia). Il Centro fu chiuso nel 1967. Il Sanatorio era stato chiuso nel dopoguerra, ma era ancora attivo il Preventorio con 40-50 degenti per adenopatia tubercolare. Il ricovero durava da uno a tre anni e veniva spesso “contrattato” con gli ispettori ministeriali (cosi come gli altri ricoveri erano “contrattati” con gli ispettori delle numerose mutue di allora). Andavano regolarmente a scuola e ricevevano in Ospedale la prima Comunione e la Cresima.
Erano molto frequenti i riscontri di bambini positivi alla tubercolina, anche se non ammalati.
A molti neonati trentini venne praticato fino al 1974 il vaccino VDS con germi uccisi (vaccino diffondente Salvioli). Ma, negli anni Sessanta, si stava registrando dappertutto un repentino crollo nella diffusione del micobatterio tbc.
Il reparto “Lattanti e Divezzi” (questi ultimi in una camerata di 10 letti) era pieno di casi di gastroenterite, distrofia, bronchite [...]. I ricoveri per meningite arrivavano fino a 60 all’anno; decine i casi drammatici di gravissime sepsi da meningococco. Nel reparto Isolamento erano ricoverati in più stanze una decina di degenti. Erano numerosi i casi di epatite, di salmonellosi, di pertosse e malattie esantematiche. Molti i bambini operati o con traumi nel reparto di Chirurgia-Ortopedia, molti i casi di peritonite dovute ai purganti (dati ancora in abbondanza, secondo tradizione), molti i casi di incidenti domestici. Arrivavano bambini ustionati cosparsi a casa con farina gialla. Molti i casi gravi di avvelenamento da farmaci e  pesticidi agricoli oltre a qualche caso mortale di intossicazione da alcool. La mortalità era molto alta tra i neonati ricoverati (più del 20%) ed anche tra i bambini affetti da infezioni e tumori. Tutti i casi di leucemia erano ad esito infausto. In caso di morte i parenti, pensando alle molte imposte che avrebbero dovuto pagare per ogni comune che attraversava il trasporto funebre,  scongiuravano di dimettere il bambino come se fosse vivo ( “dimesso in gravissime condizioni”, si scriveva sulla cartella clinica): centinaia di morticini furono così portati a casa subito dopo il decesso.


 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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