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Il contenuto della scheda è stato redatto dal Prof. Giuseppe Piotti , docente di storia e filosofia oltre che Responsabile dell'equipe archivistica di Salò
Com'è noto, l'ospedale in Antico Regime è sostanzialmente un ricovero, destinato in prima istanza ad ospitare i pellegrini di passaggio. Questa funzione caritativa si estende anche a persone che per età o handicap gravi non sono in grado di procurarsi un reddito ed hanno quindi bisogno per vivere della pubblica ospitalità.
Secondo quanto testimoniato dai documenti locali, nella Salò medievale dovevano esistere tre ospedali, sulla cui origine non abbiamo informazioni: l'ospedale di Santa Maria, non lontano dalla pieve, quello di San Giovanni Battista presso l'omonima chiesa in capite burgi, vicino alla porta della Rocca, e quello dei Disciplini all'inizio di borgo Belfiore fuori dalle mura.
Le notizie più antiche ricavabili dagli archivi locali relativamente agli ospedali riguardano gli istituti di San Giovanni e della Disciplina: si tratta di testamenti della fine del secolo XIV, in cui i due ospizi appaiono oggetto di donazioni. Verso la metà del XV secolo il governo comunale avverte la necessità di dotare la città di un ospedale più capace e funzionale dei tre esistenti, riunendo in un solo istituto gli ospedali di Santa Maria e di San Giovanni ed i rispettivi redditi, in modo tale che la nuova entità possa godere di una fonte di finanziamento più consistente, in grado di sostenere un'opera assistenziale di maggiore raggio e qualità.
Finalmente nel 1470 il lungo itinerario dell'unificazione avrà termine, quando, morto frate Gualtiero, già rettore dell'ospedale di San Giovanni, al suo successore, Armanno di Norimberga, verrà proposto di assumere la direzione dei due ospizi, quello di Santa Maria, ora detto della Misericordia, situato in Calchera e l'ospedale di San Giovanni, detto Zambellino per l'antica donazione del Bolzati. L'investitura, avvenuta in una cerimonia pubblica celebrata dal console, sarà sostenuta dalla unificazione di tutte le rendite dei due ospizi, che d'ora in poi costituiranno un solo istituto, senz'altro denominato ospedale di Salò o ospedale della Misericordia ed avrà come sede l'edificio del vecchio ospedale della contrada Calchera.
Nel XVI secolo non si accenna più all'ospedale di Santa Maria né a quello di San Giovanni, ma viene nominato sempre e solo l'ospedale della Misericordia, a testimonianza dell'ormai consolidata trasformazione.
Dal punto di vista della gestione, è sempre stato chiaro che l'ospedale di Santa Maria prima e poi quello unificato della Misericordia rientravano pienamente nelle competenze del comune, che attraverso il suo consiglio generale eleggeva periodicamente due o tre persone deputate al controllo dell'istituto e un priore o rettore dello stesso, incaricato di governare direttamente l'ospizio secondo le direttive comunali.
Per secoli l'attività assistenziale dell'ospedale proseguirà sul binario già tracciato, con l'offerta di ospitalità ai poveri infermi che chiedono di essere accolti o che vengono in qualche modo segnalati, nonché attraverso il sostegno a bambini abbandonati, che localmente vengono soccorsi secondo urgenza, per essere poi indirizzati all'ospedale di Brescia.
Riguardo a quest'ultimo servizio il comune concede alcune eccezioni, ospitando gli infanti per un periodo più lungo del solito in situazioni particolari, come accade nel 1576, quando, essendoci sospetto di contagio di peste a Brescia, si permette ai governatori dell'ospedale di tenere i bambini e di educarli spendendo soldi dell'ospedale, con l'avvertenza che i soldi spesi dovranno poi essere rimborsati dall'ospedale maggiore della città.
L'ospedale nel XVIII secolo
Dagli anni Trenta del XVIII secolo l'ospedale sembra godere di maggiore vitalità sia per quanto riguarda le sue disponibilità finanziarie sia per le iniziative che il comune assume nei confronti dell'istituto.
A conferma della maggiore attenzione pubblica verso l'ospizio della Misericordia registriamo innanzitutto nel 1736 la stesura di una serie di capitoli, integrati nel 1745, che riordinano ed assestano l'organigramma del nosocomio, individuando con precisione le figure che lo devono governare e definendo con chiarezza i rispettivi compiti. L'istituto è retto da sei eletti dal consiglio generale del comune: un priore, un governatore, due sindaci e due presidenti. I sei eletti hanno piena libertà d'azione nei limiti delle risorse disponibili e fatto salvo il potere di controllo e di decisione del consiglio. Le figure propriamente mediche sono due: il medico e il chirurgo.
A proposito dell'ampliamento dei servizi offerti, si mette mano anche alla ristrutturazione dello spazio religioso all'interno dell'ospedale e si sostituisce al precedente disadorno altare una vera e propria cappella.
Contestualmente, in considerazione della disponibilità finanziaria, viene rispolverata anche l'antica prassi di tenere nell'ospedale una scuola dei poveri, assumendo un sacerdote che si occupi di questa incombenza e delle messe nella nuova cappella.
Infine, pur rivolgendosi l'attività assistenziale dell'ospedale a persone certificate come povere, se non altro per lo spirito dei tempi si accentua gradualmente l'interesse degli operatori più evoluti per i progressi della medicina: quindi l'ospedale tende ad assomigliare sempre più ad un moderno istituto di cura fondato su basi scientifiche.
Certamente l'ospedale deve aver registrato un crescente afflusso di ammalati, militari e civili, se in più occasioni il personale medico si presenta agli eletti per chiedere aumenti dell'onorario, avanzando a propria giustificazione lo straordinario aumento del proprio impegno professionale.
Una nuova sede
E proprio il sempre più massiccio ricorso alle cure ospedaliere deve aver motivato l'esigenza del comune di trovare al nosocomio un'altra sede, costruendo un nuovo edificio più ampio e più adatto alle esigenze di un moderno servizio medico.
I tecnici locali si mettono all'opera e dopo un anno alcuni disegni sono stati confezionati, ma perché ciò che sui fogli è stato tracciato divenga realtà si ritiene necessario coinvolgere e consultare un professionista dell'ingegneria edile, che venga sul posto per un sopralluogo e produca un suo progetto ed un modello in scala. I salodiani individuano questa figura nell'abate Gasparo Turbini, famoso architetto bresciano, al quale decidono di rivolgersi.
Il Turbini accoglie l'invito e, dopo aver visitato il luogo deputato per la costruzione, nel giro di un anno produce i disegni richiesti ed anche il modello tridimensionale. Su questa base il consiglio generale ritiene di avere tutti gli elementi per decidere e il 10 giugno 1781 delibera la nuova costruzione, dando mandato agli eletti all'ospedale di fare tutte le relative scelte opportune nel rispetto del progetto approvato.
I lavori preparatori cominciano quasi subito, tanto che all'inizio di luglio il terreno prescelto per la fabbrica risulta già spianato e liberato dalla terra asportata. D'altra parte, è già stata demolita parte della muraglia per fare posto all'erigendo nuovo ospedale, che si affaccerà sulla strada delle Fosse.
Dopo qualche anno di stasi, tra il 1786 e il 1787 la costruzione prende effettivamente l'avvio, come si apprende da alcuni verbali del collegio degli eletti, che in quegli anni riportano discussioni su alcune soluzioni architettoniche dell'interno dell'edificio e della facciata verso la via delle Fosse. Risultando necessario ridurre la costruzione rispetto al progetto originario, stanti le ristrettezze finanziarie già note, si consulta ancora l'architetto Turbini e, ricevuto il suo assenso, il consiglio comunale riconosce agli eletti piena libertà nel risolvere gli ultimi problemi costruttivi.
Nel 1789 il nuovo ospedale è pienamente operativo e, data anche la sua maggiore capienza rispetto a quello antico, l'affluenza dei malati aumenta in proporzione con conseguente maggior lavoro per il personale, che inizia ad avanzare pressanti richieste di aumento dei propri compensi.
Con il 1796 ci avviciniamo all'epilogo della lunga esperienza di Salò come capoluogo della Comunità di Riviera, che precederà di pochi anni la conclusione della breve vita del nuovo ospedale. Arrivano le truppe francesi, che si stanziano nel territorio salodiano e inviano i propri numerosi malati al nuovo nosocomio. Nonostante le pressioni del comune e del provveditore, i francesi continueranno a pretendere di poter usare l'ospedale, finché dopo la fine del dominio veneto, lo dichiareranno nazionale e ne affideranno la gestione al comune per conto della Repubblica Bresciana.
Negli anni successivi l'ospedale, sempre sotto la pressione delle truppe occupanti, vivrà di nuovo periodi di sbilancio finanziario, che porteranno almeno in un caso, sotto la temporanea dominanza austriaca, ad una riduzione dei salari del personale. La guerra e l'occupazione militare, bresciana, francese o austriaca, producono per l'ospedale uno stress notevole a causa dell'alto numero di soldati feriti e malati che hanno bisogno di ricovero. Le risorse finanziarie su cui l'istituto si regge non bastano a soddisfare i bisogni minimi dell'attività sanitaria e il comune è costretto a rivolgersi alla generosità dei privati per far fronte alle necessità.
Verso l'ospedale ottocentesco
Trascorsi i burrascosi anni della guerra e delle occupazioni militari, la situazione di Salò tende gradualmente verso una più tranquilla normalità, ma quella dell'ospedale resta precaria, tanto che il consiglio comunale istituisce una commissione per studiare una sistemazione organica dell'istituto. Sulla base delle risultanze di un'indagine compiuta, viene convocato il consiglio in seduta straordinaria il 28 marzo 1803, in cui i dati raccolti vengono esposti ai consiglieri per decidere il futuro dell'ospedale. La discussione continua ancora per anni, concentrandosi sostanzialmente sulla collocazione del nosocomio, se nell'edificio appena costruito in contrada delle Fosse o nel monastero delle Benedettine, appena liberato in conseguenza della soppressione dell'istituto religioso.
L'incertezza si risolve verso la fine del primo decennio del secolo, quando la Congregazione di Carità chiede esplicitamente a tre sanitari salodiani un parere sulla questione, ricevendo l'unanime preferenza dei sanitari per la scelta dell'ex monastero.
Il dibattito prosegue, anche se nel 1810 si effettua il trasloco di malati ed attrezzature dall'ospedale vecchio al nuovo, senza però una sanzione ufficiale e definiva della decisione. Solo nel 1820 si arriverà ad una scelta formale ed irrevocabile, quando si dovrà procedere ad un adeguamento strutturale dell'architettura dell'edificio destinato ad ospitare il nosocomio per adeguarlo alle esigenze della medicina attuale: allora si dovrà decidere se restaurare ed adattare ad ospedale l'antico monastero o perfezionare l'ospedale costruito pochi decenni prima. In quel momento si riaccenderanno le polemiche e la Congregazione di Carità riuscirà a convincere le autorità superiori della convenienza sanitaria ed economica della scelta dell'ex istituto religioso.