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Il contenuto della scheda è tratto integralmente dal testo: L’Ospedale civile del Cadore: note storico-
Manca tutta la parte del nuovo Ospedale Giovanni Paolo II che, essendo successivo alla “Casa di Cura Cadore” è sorto sicuramente dopo gli anni 60.
Il 27 agosto 1943 cessava di vivere il comm. Severino Vascellari di Calalzo, lasciando per testamento una somma considerevole e un gruppo di immobili siti a Pieve, come primo fondo da destinare per il finanziamento di un ospedale. Il testatario disponeva che l'Ospedale stesso dovesse sorgere nel territorio del comune di Pieve, oppure in quello di Calalzo. Dovevasi anche costituire un consorzio, sotto il patrocinio della magnifica Comunità, mediante il quale arrivare alla realizzazione dell'opera.
Il testamento prescriveva: Qualora i due comuni o per ragioni di competenza o per qualsiasi altro motivo non potessero dare pronta attuazione allo scopo del legato, la mia erede universale dovrà accantonare, con giusto impiego, sia la somma capitale, sia i redditi, sino a che i due comuni di Pieve o di Calalzo o l'autorità tutoria siano in grado di presentare alla mia erede soddisfacente progetto perché il presente legato abbia attuazione.
Il 10 febbraio 1944 con decreto prefettizio i due comuni erano autorizzati ad accettare il lascito. Cosí, tenuto presente che da parte della Comunità di Cadore era stata presa l'iniziativa di costituire un consorzio fra la stessa e i comuni suddetti, con statuto già approvato dal prefetto e dalla commissione sanitaria provinciale, i beni patrimoniali passavano al consorzio stesso, purché si provvedesse ad erigere l'ospedale.
Il 4 luglio 1944, con decreto prefettizio venne formulato lo statuto del consorzio per l'erezione e la gestione dell'Ospedale civile del Cadore.
Finita la guerra, con tutte le conseguenze provocate dal conflitto, il problema dell'ospedale riemergeva immediatamente anche per la preoccupazione che il movimento inflazionistico dovesse influenzare negativamente, come è avvenuto sulla somma liquida del lascito Vascellari. Veniva perciò costituito un comitato che, per prima cosa decise l'ubicazione dell'opera.
Il 12 gennaio 1947 veniva bandito un concorso nazionale, fra ingegneri e architetti per il progetto. Il bando precisava che il costruendo ospedale avrebbe dovuto avere 115 letti con possibilità di aumento fino a 150. Doveva comprendere: ingresso principale, direzione, amministrazione, accettazione, guardia medica, saletta per adunanze, biblioteca, alloggio per il personale medico. Il padiglione di chirurgia doveva avere 43 letti, sala operatoria e relativi servizi; quello di medicina e pediatria 37 letti: quello di ostetricia e ginecologia 20 letti; il reparto isolamento 12 letti e il reparto di radiologia e terapia fisica 4 letti. Il progetto doveva logicamente prevedere anche: cucina centrale, dispensa, celle frigorifere, impianto
centrale per generatori di calore a vapore e a acqua calda, magazzino, ascensori e montacarichi; inoltre dormitori separati per 10 suore, 12 infermiere, 6 infermieri e 6 altre persone di servizio; stabulario per animali da esperimento; bagni interni, cappella, camera mortuaria, laboratorio chimico batteriologico e autorimessa per 4 vetture.
Intanto il concorso per il progetto faceva arrivare i vari elaborati, che si trovano conservati nell'archivio della Comunità. Il costo del concorso assorbì tutta la somma disponibile avendo l'inflazione decimato il valore del capitale liquido.
Essendo ridotto alla semplice amministrazione dei beni immobili il consiglio si scioglieva e il prefetto, il 22 marzo 1955 nominava il commissario che resse la carica sino alla definitiva chiusura della gestione.
Gli immobili tornarono all'erede universale dietro versamento di una somma che servì per la costruzione di due asili d'infanzia, uno a Calalzo e uno a Pieve, intitolati entrambi al nome di Severino Vascellari. Si chiuse cosí un capitolo delle vicende sanitarie del Cadore con un nulla di fatto, nonostante le aspettative e la buona volontà di alcune persone.
Si faceva però, sempre più strada l'opinione che avrebbe potuto sorgere, a Pieve, una istituzione privata.
Il consiglio comunale deliberava di accettare la proposta della casa di cura privata, fatta dalla stessa società che aveva rilevato l'ospedale di Auronzo.
Venne acquistata, dalla società della casa di cura, l’Ex Villa Sacerdoti.
L'immobile offriva oltre a una posizione ideale, per la tranquillità che vi si gode e per il meraviglioso panorama che la circonda, anche uno scoperto di 10 mila metri quadrati.
Con alcune opere murarie in aggiunta, la villa fu trasformata in casa di cura.
II 1° giugno 1950 la Casa di cura Cadore accoglieva i primi malati, dando cosí inizio alla sua attività, che durò diciotto anni.
Vi furono ampliamenti del fabbricato, apportati in fasi successive, tanto da far accantonare il problema dell'ospedale civile del Cadore, tornato invece alla ribalta in forza della legge Mariotti.
Un momento tragico della storia locale, quello provocato dal disastro del Vajont vide la casa di cura Cadore preparata ad affrontare le impellenti necessità del caso. Le sue strutture ressero validamente, sia sul piano organizzativo e professionale sia sul piano dell'apporto umano.
Due altri aspetti sociali che meritano di essere ricordati e per i quali la Casa di cura Cadore ebbe una parte importante fu la formazione di gruppi di infermiere volontarie della Croce Rossa italiana e la creazione delle sezioni cadorine dei donatori di sangue.
Ben a ragione la Casa di cura Cadore è ritenuta madre legittima e naturale dell'Ospedale civile e ad essa, che ha chiuso molto onorevolmente il suo ciclo di attività, va riconosciuto il merito di avere anticipato una istituzione pubblica senza la quale, forse, il Cadore sarebbe ancora alla ricerca di una soluzione del suo secolare problema sanitario.