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L’Istituto ISUC (http://isuc.crumbria.it/-
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Le prime notizie che giungono intorno alla tubercolosi nella città si legano per un lungo periodo con le malattie mentali; infatti insieme ai pazzi si inseriscono e trovano alloggio idioti, epilettici, dementi e tisici.
Nella necessità di creare un vero spazio terapeutico alternativo al manicomio, viene attuato nel tempo quello che precedentemente l’ospedale aveva fatto per togliersi la sua funzione di cronicario col fine di occuparsi solo di malattie. Prende così spazio la proposta di creare servizi destinati ai casi acuti negli ospedali generali.
Nel 1739 Monsignor Innico Caracciolo, visitatore apostolico a S. M. Misericordia sopprimendo e confiscando beni di diversi ospedali della città e del territorio come l’ospedale dei Calzolari, riservava però a favore di Santa Maria della Misericordia un fabbricato con casette annesse per istituirvi l’ospedale “de’Pazzi e dei Tisici” che troveremo registrati nel movimento degli infermi di S. M. della Misericordia con dicitura “Fontenovo” o “San Crispino dei calzolai”.
In una memoria inviata nel 1807 dai Decemviri del Comune al Cardinale Della Porta, Visitatore apostolico dell’Ospedale si legge [...] che prima […] che si erigesse lo Spedale in Fonte Novo, i tisici e i pazzi e poveri si ricevevano dall’ospedale e separatamente si ponevano in camere distinte vicino all’Infermeria.
Il ricovero in locali separati dalle comuni infermerie non riguardava perciò solo i folli ma anche i tisici. Qui ovviamente l’isolamento veniva effettuato per motivi di contagio. Forse un secondo criterio sembra guidare le collocazioni dell’isolamento, cioè quello del disturbo che certi malati possono arrecare con il loro comportamento agli altri ricoverati.
…”Può succedere che alcuni infermi [...] tormentati da gravi dolori (emettano) giorno e notte incessanti e lamentevoli grida, imperciocchè in tali casi gli altri infermi, o (contraggono) un peggior male, che non avevano o il loro morbo si (aggrava) […] a cagione dell’impedito riposo in tutte le malattie sì giovevole, anzi ancor necessario”.
Le registrazioni dei ricoveri riguardanti persone affette da pazzia o tisi riportano la dizione “messo nella stanza nuova”, o addirittura “di prigionia” o la scritta a margine, “infermieria segreta”;
Il venti maggio 1815 venne emanato un Rescritto, su progetto del Cardinale Rivarola, visitatore apostolico dell’ospedale, con il quale si sopprimeva il monastero benedettino di Santa Margherita e si confiscavano i beni a favore dell’ospedale Grande, con l’intento di migliorarne la situazione economica e mettere a disposizione dei dementi e dei tisici ricoverati in Fontenuovo locali più consoni. “
Ma ci volle ancora molto tempo per arrivare alla separazione dei malati affetti da tali patologie dagli altri e ciò si realizzerà con la costruzione del manicomio proseguita nell’arco di quasi un secolo.
Solo fra il 1932 e 1935, comunque nell’ambito del piano fascista contro la lotta antitubercolare, si iniziano i lavori per la costruzione di un ospedale sanatoriale ad opera dell’INPFS in un terreno sito in zona Pallotta donato dalla Fondazione Agraria.
Elevato fu l’impegno nel periodo fascista a Perugia per il miglioramento dell’igiene che era vieppiù importante per debellare il fenomeno della tubercolosi. Insieme ai supporti dati ai sanatori e ai dispensari si intensificò la costruzione di acquedotti in città e in campagna, si adeguò il precario sistema fognario che in molti punti era ancora quello etrusco-
Vennero inoltre costruite e intensificate istituzioni per l’infanzia e la maternità al fine di sviluppare al meglio il fisico dei giovinetti attraverso una costante attività fisica.
Nel 1927, con atto podestarile, Perugia veniva dotata di un nuovo regolamento edilizio che, fra le misure previste, poneva ad esempio il divieto di utilizzare materiali di costruzione malcotti o pregni di umidità per le pareti esterne.
Era sempre più evidente che non si sarebbe potuta realizzare una efficace azione antitubercolare senza un sistematico risanamento edilizio.
Nel 1931 la Provincia richiedeva la costituzione del Dispensario antitubercolare creato successivamente nel 1933.
L’ospedale sanatoriale “P. Grocco” venne costruito a Perugia nell’ambito del piano sanatoriale dell’INFPS tra il 1932 e il ’35. ”….. Nell’anno tredicesimo, l’attrezzatura sanatoriale dell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza sociale erano state aumentate di dodici unità di ospedali, fra cui quello di Perugia, per un complesso di 4.000 posti letto. Con queste nuove realizzazioni l’Istituto dell’INFPS poteva disporre di trentacinque ospedali sanatoriali, queste si uniscono ad altre opere per una migliore e più vasta assistenza sanitaria ai lavoratori […]”.
L’ospedale sanatoriale sorse sul lato sud ovest del colle perugino in un’area che ancora non era urbanizzata ma rispondente agli studi progettuali del dott. Morelli. Il modello del sanatorio, quello di tipo sud, prevedeva l’ingresso nello stesso lato delle verande di cura, anche l’unico possibile, per via dell’orografia di un terreno fatto di terrazzamenti scoscesi.
La sua capacità ricettiva era di 333 posti letto completamente rispondente ai canoni del progetto di massima definito a Roma. Le camere, grandissime, seguivano tipologie fisse sei metri e cinquanta per sei (con 1,2,3,4, o 6 letti), con ampia porta finestra scorrevole che dava sulla veranda larga due metri e quaranta.
Gli edifici seguivano norme scrupolose descritte dalle ricerche del dott. Morelli insieme ad architetti e ingegneri e adottate nelle costruzioni dell’INPS, similari in tutta Italia.
Grandi passaggi d’aria e di sole quindi. La divisione per sessi in piani separati.
Scrupolosi dettami sulla pulizia, l’igiene e una particolare attenzione per il materiale impiegato per la costruzione del mobilio. Grandi camere per attività come cinema, teatro, conversazione e lettura, solo per citare alcune tipologie ricorrenti in tutti i sanatori del territorio. L’inceneritore, i servizi termici, la disinfezione e la lavanderia erano sempre separati e lontani dalle camere di degenza se non addirittura dall’edificio. Lo scrupolo igienico era superiore alla norma: le divise indossate dagli inservienti e dal personale venivano cambiate e igienizzate più volte al giorno dopo ogni mansione e l’uso dei guanti e delle mascherine era tassativo. La qualità del cibo e la sua cottura, le cucine, la sala mensa e le particolari divise delle cuoche e delle inservienti erano oggetto di continua pulizia. I pavimenti e le verande venivano lavati con acqua e truciolato di legno (poi smaltito nell’inceneritore), al fine di meglio assorbire la polvere e continuo era il passare delle aspirapolvere, di cui il Grocco si dotava nel 1966. Il parco circostante l’ospedale venne creato ex novo, forte essendo la convinzione che fosse di grande ausilio alle malattie polmonari. Questo venne diviso in due parti per permettere la frequenza in contemporanea dei due sessi. Nella zona nord-
I degenti che potevano farlo erano obbligati a compiere una quotidiana passeggiata, che aveva la duplice funzione del movimento e dello svago all’aria aperta, il tutto corroborato dalle particolari proprietà balsamiche sprigionate da alcuni alberi presenti, appositamente scelti.
Nel parco troviamo quindi oltre a piante di valore estetico, piante con proprietà terapeutiche, scelte per le affezioni polmonari. Alcuni alberi infatti sono in grado di sprigionare oli essenziali producenti resine che mescolandosi con l’umidità dell’ambiente saturano l’aria di aromi ottimizzanti la respirazione. Tra questi alberi, il pino domestico, il cipresso comune, l’abete rosso. Alberi, cespugli arborei, inseriti con elementi di arredo, come vialetti, fontane, pozze d’acqua, gazebi e luci, creavano un ambiente di sicuro sollievo che contribuiva a rendere psicologicamente meno gravoso il forzato ricovero dei tisici.
Inizialmente il sanatorio era chiamato Pallotta, dal nome della via dove era sito, nel 1940 gli si cambiò il nome, dedicandolo al noto medico Pietro Grocco.
Le notizie inerenti a questo Ospedale sono raccolte in sei grandi faldoni al cui interno è possibile consultare registri, fatture, circolari e altro materiale vario di natura amministrativa, che vanno purtroppo solamente dagli anni 1968 al 1974. Dallo spoglio sistematico e dalla lettura di tali documenti sparsi è stato possibile ricostruire un’immagine dell’organizzazione della conduzione del ”Grocco”. Molte piccole notizie riportate in seguito potranno sembrare superflue, ma sono state registrate con l’intento di dare una più ampia visione della quotidianità e, soprattutto, dello scrupolo presente in questa struttura nei confronti dei suoi “particolari” pazienti. Un micromondo perfettamente organizzato fin nei minimi particolari, per non lasciare spazio all’improvvisazione o all’inefficienza. Tutto rigidamente controllato, dalla cura dei malati alle spese inerenti al loro trattamento. Un “universo” a sé, composto da medici, degenti, tecnici ed infermieri, religiosi e inservienti; personale dalle più svariate qualifiche. Scandito da precise regole, orari e consuetudini scrupolosamente osservati, e in cui anche il più piccolo particolare andava registrato o verbalizzato.
Le prime notizie interessanti che troviamo sono i giudizi di merito dati al personale, vere e proprie pagelle di colore rosa che cominciano con notizie circa il soggetto e cui seguono le descrizioni delle note di qualifica.
Nel 1967 con una circolare veniva stabilito che le note di qualifica non dovessero più essere compilate per quei funzionari aventi qualifica di direttore del sanatorio, farmacista, ispettore amministrativo superiore della casa di cura, assistenti tisiologo, specialisti, chimico, consulente amministrativo ma direttamente verificati dalla Direzione generale.
Molti altri documenti riportano notizie inerenti alla pulizia e l’igiene e dalla loro lettura si avverte che lo scrupolo era altissimo, collegato alla particolarità della malattia. Durante i pasti venivano indossate delle tute blu per servire a mensa, vi era tassativo l’uso di mascherine e guanti; le tute vennero in seguito sostituite di colore per il personale maschile perché potevano ingenerare confusione con quelle da lavoro. Terminato il desco, veniva cambiata la divisa e messa una bianca; l’ambiente, dopo il pasto doveva essere ben aerato, il pavimento doveva essere lavato e così il mobilio.
Le uniformi dovevano essere perfette, sempre pulite e igienizzate, e venivano spesso controllate. Le inservienti donne per decoro dovevano munirsi di cuffie e non avere abiti particolarmente svolazzanti sotto al grembiule. I rifiuti della pulizia venivano raccolti con cura da un salariato che doveva provvedere a portarli all’inceneritore. Le pentole dopo che si era cucinato, venivano sterilizzate, stesso valeva per i rifiuti alimentari destinati alla cessione come mangime. I vetri e le latte vuote erano separate dalla spazzatura comune e da quella sanitaria, che veniva poi bruciata nell’apposito inceneritore. C’era un controllo continuo sul personale presente e sul suo stato igienico. Anche in rapporto alle norme infortunistiche sul lavoro (circ. minist. 09-
Veniva richiesta e controllata la massima efficienza sui guanti di gomma, dispositivi di protezione come scale, maschere antigas, nonchè grande attenzione per la pulizia delle zone interessate al deposito della nafta e alle caldaie. Giornaliera era la pulizia dei terrazzi che venivano lavati con acqua e truciolato per meglio assorbire la polvere, materiale che veniva poi bruciato nell’inceneritore. Nel ’66 l’ospedale venne munito di aspirapolveri che erano usati nell’edificio almeno tre volte al giorno.
Dopo l’utilizzo dell’aspirapolvere nelle camere il filtro andava invece cambiato e disinfettato nella camera di formalina. Tutti gli inservienti erano dotati di apposite mascherine, guanti e grembiali per lo svolgimento dei propri compiti. Venivano fatte disinfezioni da topi e blatte annualmente e venivano sottoposti ad analisi chimiche la maggior parte degli alimenti comperati (burro, latte, pane, pasta, pasticceria, vino e olio) e anche lo stesso combustibile. Anche il bar interno al ”Grocco” somministrava liquidi mediante tazzine sterilizzate e non venivano usati cartoni o plastiche, il gerente inoltre doveva sempre lavarsi scrupolosamente le mani prima di servire ed usare, oltre la divisa, guanti appositi.
Dai documenti esaminati si può ricostruire l’organizzazione gerarchica dell’ospedale. Nella categoria direttiva c’erano il Direttore sanitario, il Direttore ortopedico, il Dirigente del laboratorio, il Dirigente radiologo, l’Ispettore amministrativo superiore alla casa di cura, il Dirigente amministrativo capo, il Consigliere amministrativo capo. Seguiva poi la categoria di concetto in cui troviamo il Segretario amministrativo, il primo segretario di ripartizione e i vari applicati. Nella categoria dell’esecutivo abbiamo il Tecnico speciale capo di laboratorio, il Tecnico speciale capo di radiologia e terapia fisica, il Tecnico speciale capo preparatore di anatomia-
Il personale medico era composto di venticinque medici affiancati da sette assistenti.
Il personale contemplava anche figure di religiosi. Vi era una Superiora caposala, una infermiera diplomata, una suora-
L’estensione dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie ai religiosi e il rimborso per la spesa per l’acquisto dei medicinali, da parte interessata, doveva essere chiesto all’ENPDEP (Ente Nazionale di Previdenza Dipendenti Enti di diritto Pubblico) e quindi non si giustificavano spese interne o dal dispensario farmaceutico (es. medicinali o uso di acqua Fiuggi). Le religiose dovevano inoltre usufruire del riposo settimanale previsto dall’art. 10 della convenzione; in caso di assenza per cure termali dovevano produrre regolare certificato; non potevano avere permessi speciali. Le presenze e assenze dovevano essere riportate in uno speciale registro.
Vi era poi l’autista della Casa che guidava il mezzo addetto al “movimento malati” ma gli spostamenti dovevano essere piccoli (lire sessanta al chilometro più un compenso forfettario di lire diecimila mensili). Se ci fosse stata necessità di lunghi percorsi si doveva prendere contatti con il locale comitato provinciale della Croce Rossa Italiana per addivenire alla stipulazione di tariffe di favore. Molte le circolari legate al problema degli scioperi.
In una circolare INPS (riproposta nel 1965 ma con testo del 1946) indirizzata a tutti i Direttori sanitari, alle Case di cura, agli Stabilimenti termali si portavano a conoscenza la volontà dell’Ispettore compartimentale Pellegrini a proposito degli scioperi del personale sanitario e dell’eventuale comportamento da tenersi.
”Premesso che lo sciopero dei lavoratori ospedalieri trova limitazione in norme penali e che indiscriminatamente la lotta sindacale potrebbe concretare reati contro la vita e l'incolumità malati […]. In particolare il personale addetto ai servizi di assistenza diretta agli infermi e della cucina, nonché servizi connessi (centrale termica, disinfezione ecc.) dovrà essere richiamato a considerare – data la particolare delicatezza dei compiti ad esso affidati-
Nel 1967 vennero istituite camere di allattamento all’interno dell’ospedale e per molti anni si discusse sull’opportunità di istituirvi un nido. La casa di cura per i figli dei lavoratori era da decenni convenzionata con un nido O.N.M.I.( Opera Nazionale Maternità e Infanzia) in via Pinturicchio (forse l’unico nella zona che teneva bimbi da zero a tre anni dalle ore otto alle sedici con tre pasti al giorno con un costo di lire tredicimila mensili). Negli anni Sessanta i bambini dei lavoratori al “Grocco” presenti oscillavano da due a dieci. Venivano poi istituiti ogni anno dei contributi per le colonie estive per i figli dei dipendenti.
Nel 1968 il “Grocco” diveniva una Casa di cura – sanatorio. Con la legge 132 del 12.2.1968 riportata nella G.U. n. 9 del 13-
La particolare malattia curata al Grocco e i lunghi tempi di degenza forzata imponevano di occuparsi dei pazienti a tutto tondo e curare anche l’aspetto psicologico. Non mancavano quindi spazi per attività di socializzazione (che avevano un capitolo a se stante: spese per attività complementari) come noleggi di pellicole per cineforum con dei relatori appositamente chiamati. Inoltre vi erano spese per piccoli doni per i malati da darsi in occasione delle festività.
All’epoca dell’INPS, il Grocco gestiva un fondo degenti avente come funzione il corrispondente assegno ai ricoverati che si trovano in particolare stato di bisogno, oppure l’allestimento di spettacoli in prosa, musicali, arte varia, per contribuire a spese durante le festività natalizie o pasquali, per acquistare,“generi tipici che allietano l’animo di persone provate dal dolore”. Detto fondo era alimentato dal pagamento del canone d’affitto dato dal gestore del bar interno. Interessante era anche l’impegno che l’ospedale cercava di portare avanti fra le assunzioni utilizzando invalidi di guerra ma soprattutto di alcuni ex TBC che spesso già prestavano servizio come salariati.
Nel 1974 la nuova politica che l’Ente inaugurava una stagione di rapporti con l’esterno. Vennero stipulate tredici convenzioni con i maggiori Enti mutualistici (mentre ai tempi della gestione INPS venivano ricoverati solamente gli assistiti dell’Istituto o di altri istituti consorziati: vedi consorzio del Ministero della Sanità); nel contempo si ammisero al ricovero d’urgenza tutti i cittadini italiani o stranieri.
Grande attenzione, era rivolta al controllo delle spese in genere, a cominciare dall’uso del telefono. Spesso si legge nelle circolari interne che le telefonate di servizio non sempre specificavano l’argomento della conversazione e il numero degli scatti e quelle fatte fuori provincia non vengono segnalate. Si provò a consegnare dei cartellini per le telefonate, a fare ripagare quelle in eccedenza a medici o ricoverati, e, addirittura, si arrivò a chiudere il telefono che veniva aperto dal portiere solo dopo la compilazione di un apposito registro. Le telefonate autorizzate dal medico di reparto passavano alla portineria interna che provvedeva all’inoltro alla centralinista. In gravissimi casi il medico di famiglia o di guardia poteva autorizzare telefonate interurbane e il personale doveva fare richiesta al Direttore sanitario o al dirigente amministrativo; se la telefonata era privata si versava il denaro all’incaricato delle riscossioni.
Stesso valeva anche per le spese energetiche: con una circolare interna si richiamava l’attenzione di tutto il personale sull’uso dell’energia elettrica, perché troppe erano le luci lasciate accese specialmente da coloro che smontavano il servizio alle ventidue.
I medicinali da comperare venivano segnati in una cartella base, a cui seguiva una gara d’appalto a cura della II ripartizione dietro precise e dettagliate richieste della Farmacia sui generi da acquistare e le ditte da interpellare. L’ultima decisione spettava al Direttore sanitario.
Le gare d’appalto venivano istituite anche per l’approvvigionamento di frutta e verdura per l’approvvigionamento della dispensa e quant’altro.
In parallelo a quanto stava già avvenendo all’ospedale di Monteluce, anche al “Grocco” iniziava l’opera di lenta laicizzazione del personale.
Il 6 settembre del 1974 avveniva il cambio della dicitura a seguito della fusione dell’Ente ospedaliero provinciale “P. Grocco” con l’Ente ospedaliero regionale “Riuniti ospedali di Santa Maria della Misericordia e San Niccolò degli Incurabili di Perugia”, di cui col decreto del Presidente della Giunta Regionale 22-
Intanto con l’evolversi della medicina e delle nuove tecnologie si era deciso di dare l’avvio alla costruzione di un nuovo ospedale lontano dal centro abitato, di grandi dimensioni in località Sant’Andrea delle Fratte, la cui prima pietra veniva posta il 22 dic. 1970 – poi definitivamente attivato nel 1986 con il nome di Silvestrini, allievo di Pietro Grocco ( oggi Santa Maria della Misericordia.)
Con la legge 132/68 l’ospedale sanatoriale Pietro Grocco veniva eretto a Ente autonomo ospedaliero.
Il Grocco diviene reparto ospedaliero a direzione ospedaliera “Divisione tisiopneumologica”; lo ritroviamo infatti citato come tale nella Convenzione del 1974 tra Università e Amministrazione ospedaliera, dove l’ex sanatorio è incluso come per un totale di n. 100 Posti letto, “mantenendo della sua vocazione originale, essendo ormai la tubercolosi sotto controllo, la dedizione alle affezioni dell’ apparato respiratorio”.
Sarà nel 1986, all’attivazione del nuovo ospedale “Silvestrini” -
Il Comune rileva poi la struttura e con questo passaggio nasceva il progetto, poi realizzato, di fare di una porzione della struttura una Residenza per Anziani intitolata al professor Alessandro Seppilli.